La denatalità traccia il futuro delle pensioni: ecco come potrebbero cambiare dal 2025
- 02/10/2024
- Welfare
Andare in pensione sarà sempre più difficile, soprattutto per chi vuole lasciare il lavoro prima dei 67 anni. In compenso, il governo sta lavorando a degli incentivi per chi resta al lavoro anche dopo l’età pensionabile.
Le indiscrezioni che arrivano dai lavori della Manovra sono dolorose, ma del tutto preventivate. D’altronde, solo pochi giorni fa l’Istat ha lanciato l’allarme sulle troppe pensioni anticipate in Italia. Così tante che mediamente si va in pensione a 64,2 anni e non a 67. Un gap che il Paese non può permettersi con questa crisi demografica.
Ancor meno fattibile, e già esclusa, l’ipotesi proposta dalla Lega di introdurre Quota 41, ovvero la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. A inizio anno il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon aveva rilanciato questo canale di uscita anticipata dal lavoro, ma non si farà perché il sistema pensionistico è già in grave affanno. Non sarà inserita in Manovra neanche la versione light di Quota 41 che prevede il calcolo contributivo dell’intero assegno, esclusa a causa dei costi troppo elevati.
Stretta sulle pensioni anticipate
Dovrebbero essere prorogati i tre canali di pensionamento già esistenti e in scadenza il 31 dicembre:
- Quota 103: 41 anni di contributi e 62 anni d’età;
- Opzione Donna: che è stata spostata in avanti con la Manovra 2024 (a 61 anni e non più 60 senza figli; a 60 anni e non più 59 con un figlio; a 59 anni e non più 58 con due o più figli);
- Ape Sociale: già rivista aumentando di 5 mesi il requisito anagrafico per l’uscita anticipata, che passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.
Resteranno in vigore anche le restrizioni introdotte lo scorso anno, come il calcolo contributivo per Quota 103 e il tetto all’importo dell’assegno fino al compimento dei 67 anni.
La decisione di non introdurre nuove forme di pensionamento anticipato riflette la volontà (necessità) del governo di puntare su un prolungamento dell’età lavorativa, cercando di tenere a galla il sistema previdenziale.
Nelle scorse settimane, il ministro Giorgetti ha messo sul tavolo l’ipotesi di prolungare le finestre per l’accesso alla pensione anticipata dagli attuali 3 mesi fino a 6 o 7 mesi per chi intende uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41) e indipendentemente dall’età anagrafica.
Le “finestre” sono un periodo di attesa obbligatorio, il tempo che una persona deve aspettare dopo aver maturato i requisiti necessari (in questo caso l’anzianità contributiva) prima di poter effettivamente andare in pensione.
Se la proposta diventasse realtà, l’età effettiva a cui si può andare in pensione verrebbe posticipata a 43 anni e 5 mesi per gli uomini e 42 anni e 5 mesi per le donne.
In questo senso è già intervenuto il ministro Giorgetti con la stretta sulle pensioni anticipate dato che già da quest’anno sono state allungate le finestre per Quota 103 (da 3 a 7 mesi nel caso dei lavoratori del privato e da 6 a 9 per quelli del pubblico). Per il 2025, l’ipotesi del ministro è estendere il prolungamento delle finestre alle pensioni anticipate ordinarie.
Età lavorativa e cambiamenti in arrivo
Il Piano Strutturale di Bilancio (Psb), che il governo invierà a Bruxelles, prevede un possibile innalzamento dell’età pensionabile per i lavoratori pubblici. Attualmente, questi devono andare in pensione a 67 anni, ma potrebbe essere introdotta la possibilità di continuare a lavorare su base volontaria fino a 70 anni. L’ipotesi è già stata rilanciata dal ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo che ha aperto. Il provvedimento mira a tamponare la perdita di quasi un milione di dipendenti prevista entro il 2030, a causa di pensionamenti previsti e del blocco del turnover attuato tra il 2010 e il 2020, che ha ridotto l’organico di circa 300.000 unità.
Anche per i lavoratori del settore privato sono allo studio incentivi alla permanenza nel mercato del lavoro, con l’obiettivo di allungare il periodo di contribuzione e ridurre la pressione sulle casse previdenziali.
Perequazione delle pensioni
Una piccola nota positiva potrebbe riguardare la perequazione delle pensioni, ovvero l’adeguamento degli assegni all’inflazione. Attualmente, il sistema prevede una rivalutazione meno generosa per gli assegni superiori a quattro volte il minimo (circa 2.459 euro lordi al mese). Con la manovra del 2023, il governo ha tagliato l’indicizzazione per questi assegni, risparmiando circa 10 miliardi nel triennio e 36 miliardi fino al 2032.
L’attuale meccanismo scadrà il 31 dicembre 2024. Senza interventi, si tornerebbe a un sistema più generoso con rivalutazioni del 100% fino a quattro volte il minimo, del 90% tra quattro e cinque volte, e del 75% per gli importi superiori. Tuttavia, anche se il governo decidesse di migliorare la perequazione, gli aumenti sarebbero minimi, poiché l’inflazione è scesa dall’8% del 2022 all’1,5%.
C’è però il rischio che, se dovessero essere approvate misure che aumentano la spesa, come la maggiorazione delle pensioni minime, il Tesoro potrebbe richiedere di coprire questi costi riducendo proprio la perequazione.
Il nodo delle pensioni anticipate
Uno dei punti centrali del dibattito è il numero elevato di pensionamenti anticipati rispetto all’età legale di 67 anni, la più alta in Europa insieme a quella della Grecia. Il recente rapporto annuale dell’Inps ha lanciato un allarme: le pensioni anticipate assorbono ormai la metà della spesa pensionistica e rischiano di compromettere l’equilibrio finanziario del sistema previdenziale nel medio-lungo periodo.
Nel 2023, l’Istituto di previdenza ha chiesto oltre 10 miliardi di euro di fondi pubblici per pagare gli assegni, e la cifra è destinata ad aumentare nei prossimi anni.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha più volte sottolineato che la combinazione tra il declino demografico e il numero elevato di pensioni anticipate rende urgente una revisione delle politiche previdenziali.
Tutti gli elementi tratti in questo articolo riguardano la Manovra 2025, in attesa di una agognata riforma delle pensioni. Sul punto, Giorgetti è stato laconico: “Con questa denatalità, nessuna riforma delle pensioni terrebbe”.
Previdenza integrativa, torna il silenzio-assenso?
Laddove non arriva il pubblico, deve arrivare il privato.
Per questo, un altro fronte su cui il governo sta lavorando è quello della previdenza integrativa. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha proposto di aprire un nuovo periodo di silenzio-assenso per destinare automaticamente il Tfr ai fondi pensione di categoria. Questo meccanismo, già utilizzato in passato, permetterebbe di far confluire il trattamento di fine rapporto nei fondi pensione se il lavoratore non esprime esplicitamente la propria contrarietà entro sei mesi dall’avvio del periodo.
La previdenza integrativa potrebbe diventare una risorsa importante per chi desidera andare in pensione anticipatamente. Il Psb prevede che l’adesione ai fondi pensione sarà sempre volontaria, ma chi vi aderisce potrebbe utilizzare i contributi accumulati per raggiungere la soglia di pensionamento anticipato a 64 anni, a condizione che l’importo raggiunto sia pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (circa 1.500 euro al mese).
La diffusione delle pensioni private sarebbe incentivata da una basilare educazione finanziaria, su cui l’Italia ha un gap enorme con gli altri Paesi Ue. In questo senso, serve replicare l’esempio (sostenuto dal Ddl capitali) di alcuni comuni che hanno deciso di introdurre l’educazione finanziaria a scuola. Bisogna attivare diversi canali per evitare che la crisi demografica azzeri le speranze di una generazione senza colpe, ma con tanti debiti.
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