Pensioni, finestre più larghe dal 2025? Le ipotesi sul banco della maggioranza
- 29/08/2024
- Welfare
Le pensioni sono da sempre un tema elettorale forte, facile da comprendere per i cittadini, quanto difficile da sostenere per un Paese alle prese con una profonda crisi demografica. Negli scorsi giorni, lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito che “nessuna riforma pensionistica tiene con questa denatalità”.
Eppure, qualcosa si dovrà fare per rallentare il tracollo del welfare pubblico. In questo senso, i tecnici del ministero pensavano di aver trovato la quadra per sanare la frattura interna alla maggioranza sulle pensioni. Invece, così non è stato e le modifiche sulle pensioni, cruciali per il futuro del Paese, rischiano di cadere sotto la scure poco lungimirante delle prossime campagne elettorali per le elezioni regionali.
La proposta di Giorgetti sulle pensioni
Alla Lega non è piaciuta l’ipotesi di prolungare le finestre per l’accesso alla pensione anticipata dagli attuali 3 mesi fino a 6 o 7 mesi per chi intende uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41) e indipendentemente dall’età anagrafica.
In materia pensionistica, le “finestre” sono il tempo che una persona deve aspettare dopo aver maturato i requisiti necessari (in questo caso l’anzianità contributiva) prima di poter effettivamente andare in pensione. Le “finestre” rappresentano quindi un periodo di attesa obbligatorio. In pratica, “prolungare le finestre” significa allungare il periodo di attesa tra il momento in cui una persona raggiunge i requisiti per la pensione e il momento in cui può effettivamente uscire dal lavoro e ricevere la pensione. Di conseguenza, l’età effettiva a cui si può andare in pensione verrebbe posticipata a 43 anni e 5 mesi per gli uomini e 42 anni e 5 mesi per le donne.
D’altronde, al netto degli slogan elettorali, bisogna spingere gli italiani a rimanere al lavoro il più possibile per evitare o quanto meno posticipare il collasso del welfare pubblico. In questo senso è già intervenuto il ministro Giorgetti con la stretta sulle pensioni anticipate dato che già da quest’anno sono state allungate le finestre per Quota 103 (da 3 a 7 mesi nel caso dei lavoratori del privato e da 6 a 9 per quelli del pubblico). Per il 2025, l’ipotesi del ministro è estendere il prolungamento delle finestre alle pensioni anticipate ordinarie.
La restrizione sarebbe in continuità con le ultime due Manovre che hanno ridotto sensibilmente il numero delle pensioni anticipate:
- La nuova Quota 103 presenta delle penalizzazioni per chi sceglie di usufruirne, a partire dal ricalcolo contributivodell’assegno (meno corposo del calcolo retributivo);
- La nuova Opzione donna aumenta di 1 anno i requisiti di uscita anticipata (a 61 anni e non più 60 senza figli; a 60 anni e non più 59 con un figlio; a 59 anni e non più 58 con due o più figli);
- La nuova Ape sociale aumenta di 5 mesi l’età necessaria per l’uscita anticipata, che passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.
Ora però, con diverse elezioni regionali sullo sfondo, la maggioranza non è compatta nell’appoggiare la nuova stretta proposta da Giorgetti.
Contrasti interni sulle pensioni
L’idea di allargare le finestre non piace allo stesso partito del ministro dell’Economia: “Non so se c’è qualcuno nella Ragioneria che cerca sempre di trovare i numeretti e quindi innalzare questa soglia ma le finestre non si toccano”, ha commentato il leghista Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro.
Il tema pensionistico, inoltre, rischia di diventare l’ennesimo campo di confronto tra Lega e Forza Italia, con quest’ultima che è uscita rinforzata dalle elezioni europee 2024. Rispetto allo scorso anno, Tajani sente di avere la forza politica per esigere e puntare sull’innalzamento delle pensioni minime, da sempre un caposaldo di Forza Italia. Da giorni, il segretario forzista nonché ministro degli Esteri, Tajani dichiara: “L’aumento delle minime è una nostra priorità”.
Il leader della Lega, Salvini, ha fatto del superamento della legge Fornero un pilastro della propaganda leghista degli ultimi anni. Insomma: Tajani vuole alzare gli importi delle pensioni minime, Salvini vuole abbassare i requisiti per la pensione, mentre Giorgetti vuole sgombrare il campo da qualsiasi promessa elettorale alla luce delle enormi difficoltà demografiche del Paese. Di certo, l’accordo sulla previdenza va definito prima del 20 settembre, data entro cui il governo dovrà inviare a Bruxelles il Piano strutturale di bilancio, in vista della Manovra 2025.
Le promesse pensionistiche sono insostenibili
Le nuove regole del patto di stabilità non consentono deficit e il quadro è molto complicato: secondo l’ufficio studi della Cgia, entro il 2028 gli assegni erogati dall’Inps supereranno le buste paga di operai e impiegati anche al Centro e al Nord.
Con questo scenario demografico e di welfare qualsiasi promessa migliorativa è destinata a rimanere tale. Il riferimento è a:
– quota 41 (più volte rilanciata dal sottosegretario al Lavoro Durigon);
– innalzamento degli assegni delle pensioni minime;
– allargamento del bonus mamme alle lavoratrici autonome, che è impraticabile e rischia di essere un altro colpo per l’immagine della prima presidente del Consiglio donna italiana.
Come ha spiegato la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione, “Opzione Donna è stata di fatto annullata, mentre i requisiti di età per l’Ape sociale sono stati aumentati, rendendo sempre più difficile per le lavoratrici e i lavoratori poter accedere alla pensione. L’intenzione dell’esecutivo sembra mantenere i lavoratori, soprattutto nel pubblico impiego, al lavoro il più a lungo possibile, senza prevedere alcun turn over”.
Dal canto suo il ministero risponde con i numeri che rendono difficile, se non impossibile, una via diversa definendo “fantasiose e premature” le “indiscrezioni” sulla manovra circolate di questi giorni. Il Mef comunica inoltre che Giorgetti è “al lavoro sul piano strutturale per consegnare il documento a Bruxelles e in Parlamento nel rispetto dei tempi. Il ministro dell’Economia porterà il piano entro metà settembre in Consiglio dei ministri per l’approvazione”.
Il panorama italiano sulle pensioni
Come spiega l’Ocse, “L’Italia è uno dei nove paesi Ocse che vincolano il pensionamento legale per età alla speranza di vita. In un sistema contributivo, tale collegamento non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e per promuovere l’occupazione”.
Nel complesso, l’aliquota media di contribuzione effettiva per le pensioni nei paesi Ocse è del 18,2% del livello salariale medio nel 2022. L’Italia ha la quota obbligatoria più alta pari al 33% del livello salariale medio. Seguono la Repubblica Ceca con il 28% e la Francia con il 27,8%.
Nel 2025 si prevede che l’Italia per le pensioni spenderà il 16,2% del Pil, la più alta percentuale tra tutti i paesi Ocse, per cui le previsioni al 2025 prevedono una spesa media del 9,3%, 8,5% tra i Paesi Ue.
Ancora secondo le previsioni dell’Ocse, la spesa italiana per le pensioni salirà fino al 17,9% nel 2035 per poi ripiegare. Prima di allora, però, bisogna evitare che la crisi demografica credi danni irreversibili al sistema. La denatalità, unita al progressivo invecchiamento della popolazione e a un tasso di occupazione molto inferiore rispetto alla media Ue crea un mix letale per il Belpaese. I contribuenti attivi sono sempre meno mentre la spesa pubblica aumenta sia sotto il profilo pensionistico che sotto il profilo della sanità pubblica (mediamente una popolazione più anziana ha bisogno di più cure).
Nei prossimi anni la situazione è prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente, ma 11 province settentrionali, al pari della quasi totalità di quelle meridionali, già oggi registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte. Insomma, un alleggerimento delle regole pensionistiche, senza risolvere la crisi demografica, è ormai una chimera.
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