Natalità, -30% di lavoratori entro il 2050 in Italia
- 09/05/2024
- Welfare
La popolazione mondiale diminuisce ogni anno e l’Italia sembra essere la protagonista del fenomeno in Europa. A quanto pare, infatti, nel 2100 si registrerà il primo calo della popolazione mondiale dalla metà del XIV secolo. In alcuni Paesi, la popolazione sarà dimezzata. Questo è quanto è emerso dallo studio di Simona Costagli, Paolo Ciocca e Stefano Ambrosetti, economisti di Bnl Bnp Paribas. Ma scopriamo insieme previsioni e numeri del calo demografico nazionale.
Popolazione in calo: ma ovunque?
Per prima cosa, è bene chiarire che la popolazione mondiale diminuisce, ma non proprio ovunque. Secondo lo studio, infatti, la gran parte della crescita fino al 2050 toccherà 14 Paesi, tutti in Africa e in Asia. Tra il 2050 e il 2100 l’aumento sarà generato dal continente africano, che tuttavia riuscirà solo in parte a compensare il calo atteso negli altri luoghi del mondo. Per semplificare: se si suppone pari a 100 la popolazione nel 2022, l’Africa arriverebbe, considerando il trend attuale, a 278 con il picco di 300 delle regioni subsahariane.
Il caso italiano
Il calo costante della fecondità e l’aumento della longevità hanno fatto dell’Italia uno dei Paesi con la maggiore percentuale di popolazione anziana. In Europa, il calo maggiore a fine secolo avverrebbe proprio qui dove, considerando i tassi di crescita, si scenderebbe a quota 63 (con parametro 100 per la popolazione al 2022), mentre in Francia a 94 e in Germania a 83.
A metà 2023, infatti, il 12,7% dei residenti aveva un’età inferiore ai 14 anni di età; il 63,5% tra 15 e 64 anni; il 23,8% oltre 65 anni. Secondo le previsioni, nel 2050 le tre fasce di età arriverebbero a rappresentare rispettivamente l’11,2, il 54,3 e il 34,5% del totale. Negli Stati Uniti, invece, si registrerebbe un lieve aumento (117) e in India, il paese più popoloso al mondo, si arriverebbe a 109. In Cina, dove già oggi la popolazione tra i 21 e 30 anni è scesa dal picco di 232 milioni del 2012 a 181 milioni nel 2021, il calo dovrebbe accelerare nel corso del decennio 2040, portando il paese con meno di 100 milioni di persone in questa fascia di età per la metà del 2050.
Denatalità, quali conseguenze?
“Calo demografico e graduale invecchiamento comportano contrazione della forza lavoro, della produttività, della capacità innovativa e imprenditoriale”, ha spiegato Simona Costagli. Per quanto riguarda il comparto occupazionale e lavorativo, le proiezioni dello studio annunciano una riduzione del 30% della popolazione in età lavorativa, cioè tra i 20 ai 64 anni, tra il 2023 e il 2050. In Europa, lo stesso fenomeno sarebbe parli a poco più del 21%. Lievemente positiva è attesa la crescita negli Stati Uniti, mentre sarà ancora una volta l’Africa, con una crescita della popolazione 20-64 anni del 117% circa, il bacino della forza lavoro mondiale.
Il ruolo dell’Ai
Secondo gli esperti, un aiuto alla gestione del declino demografico arriverà dalla tecnologica.
Ma quanto e in quali tempi le macchine riusciranno ad imparare a generare nuove idee a supporto dell’uomo? Il dibattito è aperto. Queste dinamiche influenzano negativamente anche il “tasso di imprenditorialità”, la percentuale di popolazione tra i 18 e i 64 anni che gestisce o avvia un’impresa, decisamente più bassa nei paesi con età mediana più alta.
In un contesto dominato dall’età avanzata della popolazione, un’attenzione particolare deve essere prestata alla spesa per le prestazioni sociali. Scrive Paolo Ciocca: “In Italia, la quota di spesa destinata alla vecchiaia si è ridotta dal 55% del 1995 al 47%, rimanendo, comunque, significativa. All’interno dell’Unione europea, solo Grecia e Romania presentano valori più elevati, mentre la media dei 27 si ferma al 40%, con la Francia al 38% e la Germania al 36%. Alla vecchiaia, l’Italia destina il 27,6% del totale della spesa pubblica al netto degli interessi, il valore più alto nell’Unione europea, che, in media, si ferma quasi 5 punti percentuali sotto, con Francia e Germania intorno al 22%”.
Longevità italiana: tra pensioni e sanità
La spesa relativa alle pensioni, intanto, ha già raggiunto i 300 miliardi di euro, che significa poco più del 30% del totale delle uscite delle amministrazioni pubbliche al netto degli interessi. Si tratta del valore più alto nell’ambito dell’Unione Europea la cui media si ferma sotto il 26%, un livello simile alla Francia, mentre la Germania è poco sopra il 24%.
Secondo le stime della Commissione europea riprese, contenute nel Def, in Italia il rapporto tra spesa pensionistica e Pil è destinato ad un aumentare raggiungendo il picco nel 2040, a causa dell’incremento dei pensionati rispetto agli occupati. Ciò avverrà quando i baby boomer abbandoneranno il lavoro senza il dovuto ricambio generazionale.
Nella spesa pubblica per l’invecchiamento rientra anche quella per la sanità. Negli scorsi anni, la spesa ha raggiunto i 135 miliardi (14% del totale al netto degli interessi), circa 2 punti percentuali meno della media dei 27 paesi dell’Unione europea.
“La stima della ricchezza attualmente detenuta dalle classi di età più anziane – ha sottolineato Stefano Ambrosetti, che ha curato proprio la parte della ricerca riservata a demografia e risparmio privato in Italia – lascia pensare che, con gli attuali livelli di consumo e di pensioni, queste classi termineranno il loro ciclo di vita con valori di ricchezza positivi e significativi che si trasferiranno alle generazioni più giovani”.
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