Nicolò Barella e Federica Schievenin aspettano il quarto figlio. C’entra solo la ricchezza?
- 12/01/2024
- Famiglia
In un’Italia che fa sempre meno figli e che li fa sempre più tardi, le eccezioni non mancano. Certo, in alcuni casi si tratta di eccezioni in tutti i sensi, come quella di Nicolò Barella, centrocampista dell’Inter e della Nazionale, che a 27 anni (li compie il prossimo 7 febbraio) diventerà padre per la quarta volta. Sua moglie, invece, la modella Federica Schievenin, di anni ne compie 34 anni il prossimo 19 marzo.
Insomma, una coppia che ha messo sin da subito al centro il valore della famiglia e della natalità. Sposi dal luglio 2018, i due giovani sardi hanno già tre figlie: Rebecca (2017), Lavinia (2019) e Matilde (2021) e adesso aspettano il primo maschietto, come annunciata dalla stessa Federica Schievenin.
Nel post Instagram, la donna esprime anche la tristezza per aver perso un altro bambino durante la gravidanza, come già le era successo in passato. La coppia, infatti, era in attesa di due gemelli, ma uno di questi non ce l’ha fatta.
Il post di Federica Schievenin, moglie di Barella
“Siete arrivati insieme, ed è stata un’emozione immensa. Durante questo viaggio il più piccolo ci ha lasciato. Per noi che avevamo già vissuto questo dolore atroce, pochi mesi fa, è stato riaprire una ferita. Sono stati mesi difficili, anzi un anno difficilissimo. Con tuo papà vicino è stato tutto un po’ più semplice. Ora esplodiamo di gioia sapendo che tu stai bene e non vediamo l’ora di vederti. Ti stiamo aspettando PICCOLO BARELLA”, ha scritto la moglie del calciatore nerazzurro su Instagram.
Le particolarità demografiche
Non vi è dubbio che il caso di Nicolò Barella rappresenti una bella eccezione demografica nel panorama italiano, ma come se la passano i suoi colleghi?
Anche gli altri calciatori, spesso, hanno figli sin da giovanissimi, seppure arrivando raramente a quota 4 come (per ora) la famiglia Barella-Schievenin. Tuttavia, basta dare un’occhiata alle biografie dei calciatori di Serie A per vedere come mettano su famiglia molto prima rispetto alla media degli italiani, che lasciano a casa a 30 anni. A quell’età un calciatore è già considerato un po’ “avanti” con l’età, anche se negli ultimi anni la carriera si è allungata.
Sulla scelta di fare figli da giovanissimi rispetto ai coetanei italiani influiscono principalmente due fattori:
- il reddito, infinitamente più elevato di quello medio italiano;
- la diversa maturità dei calciatori professionisti. Il calciatore professionista, infatti, lascia casa ancora nella prima adolescenza per andare a fare carriera, sognando la massima serie.
In un paese in cui a 40 anni vieni ancora considerato giovane, questi ragazzi si trovano a vivere da soli e maturare molto precocemente.
C’è, poi, l’aspetto economico che permette loro di avere figli senza alcuna preoccupazione. Baby-sitter, asilo nido, colf: ogni servizio è accessibile per chi ha un reddito con molti zeri.
In un’indagine Ipsos per Save the Children si evince che le mamme di bambine e bambini tra 0 e 2 anni testimoniano un vissuto di solitudine e fatica, dall’evento del parto alla ricerca di un nuovo equilibrio nella vita familiare e lavorativa. Ben 6 mamme su 10 non hanno accesso al nido, risorsa chiave per la loro partecipazione al mercato del lavoro. In più di 1 caso su 4 ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico. Se l’atleta è donna, invece, le cose diventano molto più delicate ed estreme.
Negli anni, infatti, abbiamo assistito a incresciosi casi di discriminazione per le atlete neomamme, ma anche a momenti in cui a queste donne è stato riservato ogni tipo di assistenza psicologica e materiale, come testimoniato recentemente da Francesca Lollobrigida. Il fine, chiaramente, è quello di farle tornare presto competitive per il bene della società e/o della federazione, ma non va sottovalutato il fatto che questa tendenza sia sempre più avvalorata anche dalle aziende private, soprattutto dopo lo scandalo Alysia Montaño.
Denatalità, un tema culturale o economico?
Non vi è dubbio che l’aspetto economico non sia l’unica molla che spinge Nicolò e Federica ad avere quattro figli alla loro giovane età, ma per avere un quadro generale occorre vedere qualche numero, a partire dall’ottavo rapporto di Save the Children.
Qui si legge che, in Italia, tra le famiglie con figli 1 su 4 è rischio povertà e, nonostante il sentimento di gioia per la maternità sia prevalente nella grandissima maggioranza delle madri, il 43% dichiara di non desiderare altri figli: tra le cause la fatica (40%), la difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), la mancanza di supporto (26%), la scarsità dei servizi (26%).
Mentre all’inizio del millennio la contrazione riguardava soprattutto il calo dei secondi figli e successivi, oggi l’abbassamento si manifesta già dai primi figli. I primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008. Istat stima che tra le donne nate negli anni ‘80, quindi vicine alla fine della loro fase riproduttiva, ben un quarto siano senza figli, e poco più della metà (51,3%) ne abbiano avuti due o più, mentre una su quattro ne ha solo uno.
In Italia il tasso di fecondità si attesta attorno all’1,2 figli per donna, quota ben lontana dal tasso di sostituzione demografica, pari al 2,1 figli per donna.
Collegato a questa statistica c’è l’età il progressivo ritardo della maternità: le donne in Italia diventano madri sempre più tardi. Dal 1995 al 2010 è cresciuta la fecondità nelle età superiori ai 30 anni e la tendenza al recupero (ovvero le nascite che avvengono ad età più avanzate da parte di chi ha posticipato l’arrivo di figli), si ha solo a partire dai 35 anni. L’età media al parto rispetto al 1995 è di due anni più alta, e oggi raggiunge i 32,4 anni. Nel 2021, inoltre, l’età al primo figlio si è spostata di tre anni rispetto a quanto succedeva nel 1995, posizionandosi ora a 31,6 anni.
Definire in che proporzione la denatalità sia figlia della povertà, piuttosto che del cambiamento culturale cui spesso ha fatto riferimento il presidente Giorgia Meloni, non è semplice.
Giova però evidenziare che, sempre in base al rapporto Save the Children, il 12,1% delle famiglie con minori in Italia (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e 1 coppia con figli su 4 è a rischio povertà. Le famiglie in povertà assoluta sono il 22,6% tra le famiglie con cinque o più componenti, l’11,6% tra quelle con quattro, mentre cala al 7,1% per le famiglie con tre componenti e si ferma al 5% per quelle con due figli.
Riflessioni conclusive
D’altra parte, la storia della demografia conferma almeno in parte la tesi della ministra per le Pari opportunità, la famiglia e la natalità Eugenia Roccella secondo cui: “la denatalità accompagna spesso nel nostro tempo la conquista del benessere, lo sviluppo economico e sociale, la democraticità dei sistemi politici, la diffusione dei diritti, la parità fra uomo e donna. In qualche modo, la stasi è indice del fatto che stiamo meglio di un tempo”.
È chiaro come, nel mezzo, ci sia chi non fa figli semplicemente perché non può perché non riesce a sostenerli economicamente o a crescerli. Non tutte le famiglie possono permettersi di rinunciare anche solo temporaneamente al lavoro. Diventa sempre più necessario che entrambi i genitori lavorino, e laddove questo non è una necessità, resta comunque un sacrosanto desiderio di entrambi i genitori. L’aumento dell’importo del congedo parentale è una buona notizia per gli italiani che vogliono diventare genitori, ma è solo un piccolo vico del lungo percorso che va intrapreso e che suggerisce la stessa ministra Roccella: “accrescere lo sviluppo, i diritti, le libertà, rendendo la genitorialità sempre più compatibile con i nuovi bisogni, i desideri di oggi, i nuovi stili di vita. È con questo che bisogna fare i conti, è su questo piano che dobbiamo trovare soluzioni. Non soltanto in Italia”
Pur non avendo la sfera di cristallo, riteniamo che non tutti gli italiani replicherebbero la scelta dei giovani Nicolò e Federica, neanche se milionari. D’altronde, sul desiderio di avere figli la politica non può intervenire direttamente. Ma su stipendi, welfare e servizi di assistenza neonatale sì, e c’è ancora tanta strada da fare.
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