Perché non dire “Ti voglio bene” ai propri figli è un errore sottovalutato
- 09/02/2024
- Popolazione
Eros Ramazzotti a Sanremo 2024, Sinner e Biagio Antonacci. Sempre più Vip sottolineano in pubblico quanto le scelte dei genitori siano cruciali per la crescita umana ed emotiva dei figli.
Seppure da diversi luoghi e diversi contesti, il cantante romano e il campione altoatesino hanno fatto un appello ai genitori di Italia e di tutto il mondo: lasciate ai vostri figli la libertà di decidere il proprio futuro.
Biagio Antonacci, invece, ha sottolineato l’importanza di dirsi “ti voglio bene”, frase che non si è mai sentito dire da suo padre, come ha rivelato a Domenica In. Lui, diventato padre per la terza volta a 58 anni, ha provato sulla sua pelle quanto l’anaffettività verso i figli faccia male anche se verbale: “Quando era sul letto di morte, io volevo dirglielo, ma avevo paura di fargli capire che erano i suoi ultimi giorni e me lo sono tenuto dentro”.
Una lezione che lui ha imparato bene: “Ai miei figli lo dico sempre ‘Ti voglio bene, ti voglio bene, ti amo, ti voglio bene’ perché non vorrei arrivare a quel punto di non aver regalato una sensazione così bella”, ha raccontato il cantante milanese nella trasmissione televisiva.
Spesso, ad avere difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti di affetto sono i papà, a loro volta vittime della mascolinità tossica che ha impregnato la nostra società: se piangi, ti offendi o dimostri troppo affetto non sei un vero uomo. Tutt’oggi gli effetti dell’anaffettività nel rapporto genitori-figli vengono ampiamente sottovaluti. Poca parte dell’opinione pubblica intercetta il collegamento tra queste lacune familiari e i problemi relazionali che ci sono fuori dalle mura di casa, troppe volte con esiti violenti.
“Un retaggio che resiste ancora oggi”
Un problema che Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, esperta di adolescenti e giovani, ha analizzato da vicino: “Si tratta soprattutto di un tratto culturale, un retaggio del passato che però resiste molto fortemente anche oggi”, dice Lucattini intervistata da Donna Moderna.
Negli anni qualche passo avanti è stato fatto, anche grazie a un percorso di sensibilizzazione: “Questo retaggio si è stemperato rispetto alla generazione precedente dei nostri nonni, che pensava che i figli andassero baciati nel sonno quando non se ne accorgono. Oggi – spiega la psicoanalista – sappiamo che questo è un concetto sbagliato e persino deleterio, che pian piano si sta scardinando. Certe credenze riguardano l’educazione fin da piccolissimi: ad esempio, un tempo si pensava che i neonati si dovessero lasciar piangere, perché ‘si aprivano i polmoni’, mentre dovrebbero essere tenuti in braccio, perché si nutrano del rapporto fisico e affettivo con la mamma e il papà. Lo stesso vale quando crescono: è importante manifestare apertamente i propri sentimenti ai figli”.
La paura di mostrarsi fragili non riguarda solo gli uomini e la percezione che hanno di sé stessi:
“Molti genitori temono di rendere i figli fragili se manifestano i propri sentimenti, mentre è vero il contrario: saranno più forti! Dire loro ‘Ti voglio bene’ o ‘Sei stato bravo’ nutre il loro IO. Non significa renderli narcisisti, ma aiutarli a strutturare la loro personalità tramite l’apprezzamento”, spiega ancora l’esperta.
Quali sono gli effetti dell’anaffettività verso i figli
In Italia, solo il 52% delle ragazze di quindici anni e il 61% dei ragazzi della stessa età sente di avere una famiglia capace di sostenerli e di dare loro supporto emotivo quando ne hanno bisogno è del 52% nelle ragazze e al 61% nei ragazzi di 15 anni, come ha rilevato l’Hbsc (Health Behaviour in School-aged Children).
Non solo. L’87% degli adolescenti ha dichiarato di subire una situazione di malessere psicologico legato alle liti familiari, per l’84% degli intervistati il malessere è legato anche ai disagi scolastici, come risulta da un’indagine di Sinpia.
I figli che crescono in un contesto anaffettivo hanno maggiore probabilità di riproporre questo schema nella loro famiglia quando diventano grandi. D’altronde è quello che è successo finora, come spiega ancora Lucattini: “C’è anche da dire che spesso i genitori che non parlano dell’amore che provano non lo fanno per scelta, ma perché non sono capaci, non sono stati abituati e non hanno appreso il linguaggio degli affetti, dello scambio relazionale positivo. Oppure perché si imbarazzano, si bloccano, come se parlando d’amore rendessero palese al mondo una loro fragilità. Ma se non sono parole vuote, cuoricini ed emoji, le parole d’amore esprimono proprio una certa sicurezza”.
Largo alle parole
Un retaggio culturale è anche quello che vede nelle parole qualcosa di vacuo, nei fatti l’unica cosa di educativo, di concreto. Eppure, come spiega ancora la psicoanalista su Donna Moderna: “Il comportamento da solo, se non è accompagnato da parole che lo spiegano e lo motivano, può essere frainteso. Un abbraccio molto forte a chi sente male, senza un ‘Ti voglio tanto bene’, può far pensare di aver commesso qualcosa di sbagliato. Le parole arricchiscono e la comunicazione umana è fatta di scambi verbali, soprattutto quando i figli crescono. Va bene, dunque, l’esempio, ma insieme alla spiegazione e, meglio ancora, alla dimostrazione pratica”.
Conclusioni
Le nuove generazioni vogliono urlare al mondo la loro condizione e quando la loro voce non è abbastanza forte, passano a gesti clamorosi per attirare l’attenzione dei “grandi”. Ben vengano quindi le scelte che aprono il cuore e le orecchie all’ascolto dei più giovani, ben venga lo spazio a chi denuncia problematiche spesso taciute, come fatto dai La Sad a Sanremo 2024.
Lo stesso palco da dove Eros Ramazzotti ha lanciato un appello a tutti i genitori: “Lasciate ai vostri figli il libero arbitrio”. Un messaggio accorato che ricorda le parole pronunciate da Jannik Sinner sui genitori pochi minuti dopo la vittoria degli Australian Open e poche ore prima di rifiutare l’invito di Amadeus: “Auguro a tutti di avere dei genitori come i miei, mi hanno sempre lasciato libero di scegliere, non mi hanno mai messo sotto pressione anche quando praticavo altri sport. Auguro a tutti i bambini di avere quella libertà che ho avuto io”.
“Sentirsi capiti – spiega Lucattini – significa che se un figlio fa uno sforzo e ottiene un buon risultato in qualunque ambito va incoraggiato: è un gesto che fa sentire amato e che passa dalle parole. Chiedere come si sente e che cosa prova è un tentativo di capire i figli, che fa loro interiorizzare la sensazione di essere amati, che c’è qualcuno che lo tiene nella sua mente”.
Insomma, “Essere espansivi fa soltanto bene!”.
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