Pma, secondo ciclo più efficace nel 50% dei casi: i dati dello studio
Nel panorama in continua evoluzione della procreazione medicalmente assistita, una delle domande più frequenti – e cruciali – per le coppie che intraprendono questo percorso riguarda le reali prospettive dopo un primo insuccesso. La risposta arriva da uno studio condotto dal gruppo Genera e presentato al 41esimo Congresso dell’Eshre, la Società europea di riproduzione umana ed embriologia. La ricerca ha coinvolto oltre 1.200 coppie e ha analizzato in modo sistematico le possibilità di successo del secondo ciclo di Pma (procreazione medicalmente assistita) rispetto al primo. Dai risultati emerge che il secondo tentativo non solo può essere efficace, ma in un’ampia percentuale di casi si rivela più produttivo del primo. Con un elemento chiave fondamentale: il tempo tra un ciclo e l’altro può influenzare l’esito più di quanto si tenda a credere.
L’impatto sui parametri biologici
Lo studio ha incluso 1.286 secondi cicli di Pma eseguiti tra il 2015 e il 2021 in sette centri Genera distribuiti sul territorio nazionale. L’età media delle pazienti era di 39 anni, con un valore mediano dell’ormone anti-Mülleriano (Amh) pari a 1,2 ng/ml. Le indicazioni cliniche per ripetere il trattamento erano principalmente la mancata formazione di blastocisti (41% dei casi), il fallimento dell’impianto embrionale (20%), l’aborto (5%) e l’adozione del protocollo DuoStim (26%), che prevede due stimolazioni ovariche nello stesso ciclo mestruale. Tutti i trattamenti comprendevano stimolazione ormonale e fecondazione tramite tecnica Icsi con coltura a blastocisti.
Nella fase di analisi, i ricercatori hanno confrontato i parametri del primo e del secondo ciclo per ogni paziente. Il 48% delle donne ha prodotto un numero maggiore di ovociti nel secondo tentativo. La qualità ovocitaria è migliorata nel 40% dei casi, con un aumento medio del 3% del tasso di blastocisti per ovocita. Anche il numero di blastocisti formate è cresciuto nel 43% dei cicli successivi.
“Abbiamo voluto dimostrare con evidenze scientifiche che gli esiti clinici del primo ciclo non predicono quello che succederà dopo”, afferma Alberto Vaiarelli, responsabile medico-scientifico del centro Genera di Roma. “Spesso sono le pazienti stesse a tirare le somme sulla base della loro esperienza, pensando che se nel primo tentativo sono stati ottenuti, ad esempio, solo embrioni cromosomicamente anomali, allora anche i prossimi lo saranno”.
Secondo i dati raccolti, nel 90% dei casi in cui il primo ciclo non ha prodotto ovociti vitali, il secondo tentativo ha portato a una risposta positiva. Il 60% delle pazienti che non avevano ottenuto embrioni vitali nel primo trattamento li ha ottenuti nel successivo. L’analisi ha anche confermato che i risultati embriologici non sono strettamente legati all’esito del ciclo precedente, suggerendo un comportamento indipendente delle coorti follicolari.
Il fattore tempo
Oltre agli aspetti biologici, lo studio ha valutato l’intervallo temporale tra i due cicli di trattamento. È emersa una correlazione: ogni mese di ritardo tra il primo e il secondo tentativo è associato a una lieve riduzione delle probabilità di ottenere una gravidanza a termine. L’effetto del tempo, pur non essendo drastico, è statisticamente rilevante, soprattutto nelle pazienti con riserva ovarica già compromessa o in età riproduttiva avanzata.
“Ogni mese di ritardo è associato a una leggera diminuzione delle probabilità di successo”, spiegano gli autori dello studio. Vaiarelli precisa: “Anche sei mesi fra una stimolazione e l’altra fanno la differenza per le nostre pazienti”.
Questo dato si innesta in un contesto già complesso, in cui le coppie che affrontano un primo fallimento tendono spesso a prendersi una pausa o a rallentare il percorso. Il ritardo può derivare da ragioni personali, emotive o organizzative, ma l’evidenza clinica suggerisce che l’approccio più favorevole è quello che prevede la ripetizione tempestiva del ciclo, compatibilmente con le condizioni fisiche e psicologiche della paziente.
I dati dello studio
Uno degli obiettivi principali dello studio è stato valutare l’efficacia del secondo trattamento in termini di nati vivi, senza essere condizionati dal risultato del primo ciclo. È emerso che il tasso cumulativo di nati vivi al secondo tentativo è stato del 24%, indipendentemente dall’esito precedente.
Il dato si colloca in un contesto nazionale in cui, secondo l’ultimo report del Registro Pma dell’Istituto superiore di sanità, nel 2022 sono state 87.946 le coppie italiane che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita, con un incremento del 2,3% rispetto al 2021. Nello stesso anno, sono nati 16.718 bambini da tecniche di procreazione assistita, pari al 4,3% del totale dei nati vivi in Italia (393.333 secondo Istat).
Danilo Cimadomo, Research Manager di Genera, commenta così i risultati emersi: “Le coorti follicolari sono indipendenti fra di loro, anche se i parametri clinici come età e riserva ovarica restano invariati. Una paziente che ha avuto pochi ovociti o embrioni nel primo ciclo non è destinata a ottenere lo stesso risultato. La variabile decisiva è il tempo: prima si effettua il secondo pick-up, migliori sono le probabilità”.
L’approccio multiciclo si basa su questo presupposto: il risultato del primo ciclo non rappresenta una previsione automatica dei cicli successivi, ma solo una delle tappe di un processo più articolato, che può evolvere positivamente se gestito in modo continuo e tempestivo.
Come cambia l’approccio alla Pma
L’analisi proposta dallo studio Genera suggerisce un cambio di approccio nella gestione clinica e comunicativa dei percorsi di fecondazione assistita. La procreazione medicalmente assistita non dovrebbe essere interpretata come un evento singolo, ma come una sequenza integrata di tentativi, modulati sulle caratteristiche individuali della coppia. È la logica della “strategia multiciclo”, che si afferma come modalità di trattamento sempre più diffusa nei centri ad alta specializzazione.
“Non bisogna considerare la Pma come un singolo trattamento, ma come un progetto di genitorialità personalizzato, con obiettivi di medio-lungo periodo”, osserva Vaiarelli. “È necessario considerare la Pma come una strategia multiciclo, utile non solo per ottenere una gravidanza, ma per realizzare un vero e proprio progetto familiare, che può prevedere uno o più figli”.
Secondo i ricercatori, la corretta impostazione iniziale del percorso è essenziale: già dal primo colloquio, un counseling strutturato può aiutare a definire obiettivi realistici, evitare false aspettative e ridurre l’impatto emotivo in caso di insuccesso iniziale. I centri specializzati orientano sempre di più il proprio lavoro verso una presa in carico continuativa, basata su protocolli adattabili, sull’ottimizzazione delle tecnologie disponibili e su un monitoraggio costante dei parametri clinici.