Congedo parentale 2025: tre mesi all’80% dello stipendio, cosa cambia per i genitori
- 28 Maggio 2025
- Popolazione Welfare
L’Inps ha ufficializzato l’estensione del congedo parentale per i neogenitori italiani. Con la circolare numero 95, l’istituto ha dato attuazione alle disposizioni della Legge di Bilancio 2025, portando a tre i mesi di congedo parentale retribuiti all’80% dello stipendio, mentre ora solo il primo è retribuito in questa misura.
Un altro piccolo passo verso chi sceglie le coppie che scelgono di avere figli, che in Italia sono sempre meno anche se, finora, gli incentivi economici non hanno attenuato la crisi demografica del Paese.
Congedo parentale, cosa cambia
Il primo mese di congedo parentale mantiene l’indennità all’80% della retribuzione, beneficio già introdotto dalla Legge di Bilancio 2023. La vera novità riguarda il secondo e terzo mese: il secondo passa dal precedente 60% all’80%, mentre il terzo compie un balzo ancora più significativo, dal 30% all’80% dello stipendio.
Questa progressione riflette una comprensione più matura delle esigenze familiari nei primi anni di vita del bambino, quando la presenza genitoriale risulta cruciale per lo sviluppo psico-fisico del minore. I tre mesi possono essere utilizzati da entrambi i genitori, singolarmente o in condivisione, anche in forma alternata o simultanea. Una flessibilità che consente alle famiglie di organizzare la cura dei figli secondo le proprie specifiche necessità, anche se nella maggior parte dei casi il congedo parentale viene usufruito solo dalle neomamme: il 73% dei padri italiani fa uso del congedo di paternità (di appena dieci giorni), ma solo il 20,4% opta per il congedo parentale. Da qui la proposta di un congedo parentale all’80% solo per i papà.
Chi può beneficiare delle nuove disposizioni
Le nuove regole si applicano esclusivamente ai genitori lavoratori dipendenti che hanno terminato il congedo di maternità o paternità dopo il 31 dicembre 2024 e che fruiscono del congedo parentale dal 1° gennaio 2025 in poi. La misura si estende anche ai casi di adozione o affidamento, riconoscendo pari dignità a tutte le forme di genitorialità, anche in caso di genitore solo.
Per accedere all’indennità maggiorata, i periodi di congedo devono essere fruiti entro il sesto anno di vita del figlio, oppure entro sei anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento. Una finestra temporale che riconosce l’importanza dei primi anni di vita, quando si consolidano i legami affettivi fondamentali.
Il limite massimo di congedo parentale per ogni coppia genitoriale è di dieci mesi (elevabili a undici mesi se il padre si astiene dal lavoro per un periodo intero o frazionato non inferiore a tre mesi). Il congedo va utilizzato entro i 12 anni di vita del figlio o dall’ingresso in famiglia del minore, di cui:
- alla madrespetta un periodo indennizzabile di tre mesi non trasferibili all’altro genitore;
- al padrespetta un periodo indennizzabile di tre mesi non trasferibili all’altro genitore;
- a entrambi i genitori spetta anche un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di tre mesi, da fruire in modalità ripartita tra gli stessi.
Se, invece, si vuole accedere alla ‘retribuzione aumentata’ va usufruito entro 6 anni dalla nascita o dall’ingresso in famiglia e non entro 12 anni.
Cosa succede dopo i primi tre mesi
L’architettura del congedo parentale non si ferma ai primi tre mesi. Il limite massimo rimane di dieci mesi per ogni coppia genitoriale, elevabili a undici nel caso in cui il padre si astenga per un periodo non inferiore a tre mesi. Dal quarto al nono mese, l’indennità resta fissata al 30% della retribuzione, mentre l’ultimo mese può non essere retribuito, salvo situazioni di reddito particolarmente basso.
Questa struttura a gradini riflette una logica precisa: massimo sostegno economico nei primi mesi, quando l’impatto sulla famiglia è più intenso, per poi graduare l’intervento pubblico.
L’evoluzione normativa
La riforma attuale rappresenta il culmine di un percorso iniziato nel 2023. La Legge di Bilancio 2023 aveva introdotto il primo mese all’80%, quella del 2024 aveva aggiunto un secondo mese inizialmente al 60% poi elevato all’80%, mentre ora la Legge di Bilancio 2025 porta il terzo mese dall’originario 30% all’80%. Una progressione che testimonia la volontà politica di rafforzare gradualmente le tutele per la genitorialità per rispondere a una crisi demografica senza precedenti che vede l’Italia fanalino di coda in Europa per tasso di fecondità. Nel 2024, certifica l’Istat, in Italia sono nati appena 370mila bambini, 1,18 figli per donna, il numero più basso mai registrato nella storia del Paese.
L’impatto economico per le famiglie
Il passaggio dal 30% all’80% della retribuzione per il terzo mese comporta un incremento sostanziale del sostegno finanziario, ma a scadenza. Per una famiglia con uno stipendio di 1.500 euro mensili, la differenza tra il vecchio e il nuovo sistema ammonta a 750 euro aggiuntivi nel terzo mese. Un importo che permette ai genitori di dedicare più tempo alla cura dei figli senza subire un eccessivo impatto economico, ma non risolve i problemi di lungo termine che analizziamo sulle pagine di Demografica.
L’aspetto più interessante del ‘nuovo’ congedo parentale riguarda la flessibilità d’uso. I tre mesi possono, infatti, essere frazionati in giorni e ore, consentendo un utilizzo modulare che si adatta alle esigenze specifiche di ogni famiglia. Una madre può utilizzare due mesi e il padre uno, oppure entrambi possono fruire contemporaneamente del congedo per lo stesso figlio.
Le cause della crisi demografica
Stipendi bassi, welfare pubblico carente e welfare privato sviluppato solo nelle grandi aziende, scarsi servizi all’infanzia, gender gap domestico e lavorativo sono i fattori principali che, da circa un decennio a questa parte, hanno portato il Paese in una profonda crisi demografica.
Secondo una parte di esperti e di rappresentanti politici, c’è anche un aspetto culturale alla base della denatalità italiana: i giovani non vogliono più fare figli a prescindere dalle condizioni economiche come dimostra il fenomeno delle famiglie Dink.
L’errore sta nel voler individuare una sola causa o un solo insieme di cause che vada bene per tutti. La crisi demografica è figlia sia dei problemi economici/strutturali che di una cultura più solipsistica.
La crisi demografica innesca un circolo vizioso che renderà ancora più difficile fare figli, a meno di una clamorosa inversione di tendenza che (spoiler) non potrà cascare dal cielo. Accanto agli interventi necessari su salari e welfare, i flussi migratori hanno un ruolo centrale nelle dinamiche demografiche del Paese come ampiamente confermato dai dati e dagli esperti.
In tal senso, l’enorme espansione demografica prevista dalle Nazioni Unite per 126 Paesi, e in particolare nell’Africa subsahariana, lascia presagire che i flussi migratori non potranno diminuire, semmai aumentare. Il dibattito politico è sempre aperto, mentre anche Bruxelles cerca di attrarre lavoratori dall’estero, consapevole delle difficoltà demografiche del Vecchio Continente e l’Italia continua sulla via del contributo economico nel breve termine.