Referendum Cittadinanza, Dalla Zuanna: “Ne abbiamo bisogno, lo dimostra il Decreto Flussi”
- 27/09/2024
- Popolazione
Il Referendum Cittadinanza proposto da +Europa ha superato le 500.000 firme necessarie per far iniziare l’iter. Gli italiani saranno chiamati a votare probabilmente nella primavera 2025, comunque entro tre mesi dalla vidimazione delle firme. La modifica proposta punta a facilitare l’ottenimento della cittadinanza per 2,5 milioni di extracomunitari che dovrebbero risiedere in Italia per cinque anni, invece di dieci, prima di poter richiedere la cittadinanza italiana.
Abbiamo chiesto a Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all’Università di Padova e già senatore, che impatto avrebbe questa revisione sul futuro dell’Italia, minacciato da una profonda crisi demografica.
Dalla Zuanna sul Referendum Cittadinanza
Professore, gli eventuali due milioni e mezzo di nuovi cittadini poi trasferirebbero la loro cittadinanza ai figli in base al principio dello Ius sanguinis, aumentando la portata della modifica. Potrebbe essere questa la strada per fermare l’emorragia di nascite del nostro Paese?
“Potrebbe aiutare nel senso che tutte le azioni che accelerano l’integrazione possono essere utili. Però bisogna stare attenti: non è un riconoscimento formale che risolve il problema. Il vero punto sta nel creare le condizioni socio-economiche per cui gli stranieri possano soddisfare i motivi per cui vengono in Italia, cioè migliorare la propria situazione e avere una mobilità sociale. Se non facciamo questo, rischiamo di pensare che la cittadinanza formale possa sostituire quello che è sostanziale.
Il problema riguarda non solo gli stranieri, ma anche i figli di famiglie italiane di condizione modesta, soprattutto in termini di istruzione”, spiega Dalla Zuanna evidenziando il problema dell’ascensore sociale dell’istruzione, che in Italia è rotto.
Secondo i dati Inapp 2022, un figlio di un padre laureato ha oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi ha conseguito la terza media. Il divario si acuisce tra le famiglie degli extracomunitari, dove i genitori raramente hanno potuto studiare: “C’è una enorme differenza nei risultati scolastici tra stranieri e italiani, e anche tra le classi sociali. La scuola è organizzata in modo che chi proviene da famiglie che non riescono ad aiutare i figli, non ha molte possibilità di farcela. Il modello è ancora pensato per le famiglie che hanno la mamma a casa che deve seguire i figli quando tornano da scuola. Siamo uno dei pochi Paesi occidentali dove i ragazzi tornano a casa ancora all’ora di pranzo e questo implica un grave problema di gestione per le famiglie.
Questo non significa – sottolinea il professore – che il tema della cittadinanza vada sottovalutato. Molti giovani stranieri spesso non capiscono perché non possono diventare italiani, dato che sono qui da piccoli e non si identificano con il loro Paese d’origine. Si trovano in una sorta di apolidia. E siccome la cittadinanza è una cosa seria, non solo dà un senso di appartenenza, ma permette di evitare problemi concreti, come quelli legati ai viaggi all’estero o alla ricerca di opportunità”.
La presidente Meloni ha dichiarato che non vede la necessità di cambiare i termini per l’acquisizione della cittadinanza. Come si concilia questa posizione con gli interventi che l’esecutivo sta portando avanti per contrastare la denatalità?
Dalla Zuanna fa una premessa: “In questi giorni, molti politici stanno affermando che l’Italia è uno dei Paesi che concede più cittadinanze. È vero, ma c’è un problema di metodo: si confronta il numero di cittadinanze ora concesse con quello di diversi anni fa, ma questo non tiene conto del fatto che molti immigrati arrivati dieci, dodici anni fa, stanno ottenendo adesso la cittadinanza. C’è stato un boom migratorio nei primi dieci anni del secolo, e ora queste persone stanno ottenendo la cittadinanza. Questo spiega perché siamo il Paese che dà più cittadinanze rispetto ad altri Paesi europei”. Dalla Zuanna ricorda che: “Il saldo tra le cittadinanze che l’Italia sta concedendo e gli arrivi che ci sono stati in quel periodo è comunque negativo”.
C’è un altro elemento che sta passando in secondo piano nel dibattito pubblico, catturato dal dato numerico: “Anche se venisse modificata, la legge manterrebbe comunque condizioni stringenti: bisogna avere cinque anni di residenza continuativa, non avere avuto problemi legali, dimostrare un reddito sufficiente, e c’è anche una verifica della conoscenza della lingua. Non vedo alcun motivo per opporsi a questa riduzione, che, anzi, mi sembra una proposta molto sensata.
Quindi crede che le dichiarazioni che minimizzano la necessità dell’immigrazione siano di facciata?
“Sì, queste dichiarazioni sono più che altro politiche, puntano al consenso. Nella realtà, le industrie e le imprese continuano a chiedere lavoratori e l’esecutivo lo sa. Ad esempio, nel settore agricolo ci sono raccolti che devono essere fatti manualmente, e per fare questo servono persone che lavorano per sei mesi all’anno. La domanda di lavoratori continuerà ad esserci, anche se si cerca di bloccarla”.
In diverse occasioni il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato che gli extracomunitari verrebbero in Italia solo per prendere la pensione. Questa dinamica sarebbe esasperata dalla modifica proposta con il Referendum Cittadinanza.
Sul punto, l’ex senatore Dalla Zuanna ricorda: “Molti immigrati lavorano in Italia per decenni, versano i contributi, ma non raggiungeranno mai i venti anni di contributi necessari per ottenere una pensione, e quindi non riceveranno nulla. Alcuni chiedono la pensione sociale, ma è il minimo se si guarda il contributo che i lavoratori stranieri danno al nostro welfare e alla nostra economia”.
Il ruolo degli immigrati per la demografia italiana
Nel 2023 il saldo migratorio con l’estero complessivo è pari a +274mila unità, un guadagno di popolazione ottenuto come effetto di due dinamiche opposte. Da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (360mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (34mila), dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (108mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (55mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera (+326mila) e una perdita di cittadini italiani (-53mila). Ma la demografia italiana ha bisogno di una spinta molto maggiore.
“Abbiamo un problema demografico molto serio. – continua Dalla Zuanna – Se non ci fossero ingressi migratori, il Veneto, per esempio, perderebbe circa 30-40 mila persone in età lavorativa ogni anno, il che significherebbe una riduzione di 700 mila persone in 20 anni. Le persone che escono dal mercato del lavoro sono operai e persone con bassa istruzione, mentre chi entra è generalmente diplomato. Ma abbiamo comunque bisogno di persone per svolgere lavori a basso contenuto di specializzazione, come pulire corridoi o lavorare in cucina negli ospedali. Se manca questa forza lavoro, si ferma l’intero apparato”. Una situazione nota all’esecutivo, come dimostrano le decisioni prese in materia migratoria: “Il governo stesso ha dovuto aumentare il numero di ingressi tramite il decreto Flussi. Quindi, mentre si fanno certe dichiarazioni, si sa bene che l’immigrazione è necessaria”.
Le misure per incentivare la natalità
Il governo ha introdotto diverse misure per incentivare la natalità. Pensa che siano sufficienti?
“La mossa migliore è stata quella di confermare due strumenti introdotti dai governi precedenti quali l’assegno unico e il bonus asilo nido.
Il primo è molto importante perché dà soldi a tutte le famiglie con figli, indipendentemente dalla loro posizione lavorativa. L’unico requisito considerato è l’Isee. Questo è un grande passo avanti”. Molti ritengono irrisorio l’importo dell’assegno unico, critica non condivisa dal professore: “Per una famiglia che, in due, porta a casa 3.000 euro, 200 euro in più fanno la differenza. È un importo che copre quasi la metà delle spese necessarie per un figlio. È chiaro che per chi guadagna 10.000 euro al mese, l’assegno unico sia una briciola, ma è una condizione che riguarda poche persone.
Sicuramente l’assegno unico aiuta ad affrontare le situazioni di povertà, ma questo non significa necessariamente che abbia decretato un aumento delle nascite”, spiega Dalla Zuanna prima di sottolineare l’importanza del Bonus Nido: “Abbiamo visto misure analoghe in altre Regioni italiane, con un aumento dei secondi e terzi figli tra le persone con redditi modesti e una riduzione degli aborti volontari. In altri Paesi europei, come la Germania, misure simili hanno avuto effetti significativi sull’economia proprio perché viene corrisposto non solo ai poveri ma anche alle famiglie di reddito medio”.
Il vulnus, sostiene Dalla Zuanna, è l’orizzonte temporale con cui vengono pensate le misure pro natalità: “Gli interventi si concentrano sui primi anni di vita del bambino, quando spesso ci sono i nonni a dare una mano. Ma è quando i bambini diventano adolescenti che la situazione si complica. Il nostro sistema di welfare è ancora pensato per un modello di famiglia tradizionale, dove la madre sta a casa e il papà va al lavoro. In realtà, gli studi dimostrano che le coppie in cui entrambi i genitori lavorano hanno più probabilità di avere un secondo o terzo figlio, proprio perché il reddito è più alto”. Una risposta concreta all’eterno dibattito sul perché in Italia si fanno pochi figli, tra chi ritiene che la causa principale sia l’egoismo e chi vede nella matrice economica la causa principale della denatalità.
“Il costo dei figli – conclude Dalla Zuanna – è aumentato e anche il tempo che i genitori vogliono passare con loro è cresciuto. Inoltre, per molte categorie i salari non sono cresciuti al ritmo dell’inflazione, il che rende ancora più complicato per le famiglie gestire le spese legate ai figli”.
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