Vite spezzate, Napoli teatro di violenza: l’analisi del pedagogista
- 15/11/2024
- Giovani
Emanuele Tufano, Santo Romano e Arcangelo Correra avevano rispettivamente 15, 17 e 18 anni quando la violenza ne ha stroncato le giovani vite. Sono loro le ultime tre vittime di un fenomeno che ha sconvolto la città di Napoli e l’opinione pubblica nazionale.
Come da cliché, la colpa sarà addossata alla Camorra, quell’Anti-Stato che entra nelle case del Mezzogiorno per sopperire alla mancanza di servizi. Ma la verità è che il fenomeno della violenza giovanile è più grande, diffuso ormai in tutta Italia, e non riguarda più solo il crimine e neppure solo il Sud.
Le responsabilità, così come le opportunità per combatterlo, vanno ricercate nelle stesse famiglie e nelle stesse istituzioni contro le quali oggi puntiamo il dito.
Non ci si può girare più dall’altro lato e far finta di niente. Perché? “Siamo sul baratro di un’emergenza educativa che non sembra interessare né la politica e neanche l’opinione pubblica – ci spiega il pedagogista Daniele Novara -. Ragazzi e ragazze vagano nella solitudine di un mondo che non li aiuta a crescere, ma sembra, anzi, fare di tutto per portarli in situazioni insostenibili”.
Come evitarlo? “Dobbiamo lavorare sulla capacità dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, di affrontare le contrarietà, di vivere le frustrazioni, di accettare il conflitto come motivo di crescita, come occasione per conoscere altri punti di vista. Il conflitto non deve essere più vissuto come una minaccia”. Ma cosa c’è dietro questo fenomeno e dove lo Stato e le istituzioni possono (e devono) intervenire?
“Favorire attività di gruppo”: sì, ma dove?
La scuola, secondo il pedagogista Novara, “dovrebbe urgentemente sviluppare il metodo della discussione, abbandonato da decenni. Dovrebbe favorire le attività di gruppo, sollecitare il confronto anche divergente tra alunni. Questo sosterrebbe davvero l’educazione alla comprensione reciproca. L’antidoto – conclude il pedagogista – alla violenza è imparare l’arte del vivere con se stessi e con gli altri”.
Si parla, quindi, della necessità di “attività di gruppo” e “confronto tra coetanei” che però viene a mancare quando mancano spazi di ritrovo, di aggregazione e di sviluppo del pensiero sociale e critico di un adolescente. A Napoli, infatti, ci sono solo 3,6 biblioteche per 1.000 abitanti minori. Molte scuole faticano a restare aperte a causa dei tagli ai personali. E, per una panoramica più ampia, meno della metà delle scuole italiane (46,4%) ha una palestra, con una percentuale che varia dal 41,5% per le scuole primarie al 53,2% per quelle secondarie di primo grado.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato proprio oggi due decreti che mettono in campo un piano di 335 milioni di euro destinati al miglioramento delle palestre scolastiche. La maggior parte delle risorse, oltre il 72%, sarà destinata proprio al Mezzogiorno, con “l’obiettivo di rafforzare le infrastrutture sportive nelle scuole e garantire pari opportunità formative a tutti gli studenti”, si legge in una nota.
Abbandono scolastico
Secondo il ministro, inoltre, “le attività sportive non solo migliorano la salute e il benessere dei nostri giovani, ma contribuiscono in modo significativo all’inclusione sociale e alla lotta contro l’abbandono scolastico”.
Abbandono scolastico, però, che in Campania è più profondo che altrove. Il 21,7% dei giovani lascia la scuola precocemente. Il 30% è Neet, cioè non studia, non si forma e non cerca occupazione. A Napoli, la disoccupazione giovanile è al 31,39%. E a questi numeri si aggiunge l’aumento dei minori con armi che nel 2023 è stato pari ad un sequestro di 206 armi da fuoco, ben 51 in più rispetto all’anno precedente.
“Sempre più soli”, tra affettività e salute mentale
“Troviamo sempre più adolescenti isolati, ritirati nella realtà virtuale – ha poi spiegato il pedagogista -, e fin dall’infanzia abituati non a giocare con gli altri ma a giocare con un videoschermo. Sia chiaro, qui non si tratta di punire o di colpevolizzare comportamenti inammissibili, fatto salvo le leggi vigenti che vanno rispettate, ma di pensare a programmi di prevenzione educativa centrati sull’apprendimento delle buone pratiche relazionai, sociali, di autostima reciproca”.
L’abbandono alla realtà virtuale, per il pedagogista, così come per il Governo nazionale e per la maggior parte dei Paesi europei, ma non solo, si può ridurre con il divieto dell’uso degli smartphone tra i 14 e i 16 anni. Realtà come l’Australia o l’Italia stessa stanno varando provvedimenti per limitarne l’uso, almeno nelle scuole. Seppur utile, però, provvedimenti di questo tipo non sembrano sufficienti.
La violenza giovanile dilaga aldilà dell’online. Basti pensare che “Toccare o baciare una persona senza il suo consenso” è normale per un adolescente su cinque; così come Raccontare ad amici e amiche dettagli intimi del o della partner senza il consenso, va bene un adolescente su quattro.
Educazione affettiva
E se per le palestre, dopo le mense, arrivano fondi e progetti, ancora poco si sa di quella “Educazione all’affettività” promessa nelle scuole italiane. “L’educazione al rispetto verso le donne – ha dichiarato Valditara negli scorsi giorni al Corriere del Veneto – deve permeare l’intera attività didattica, non limitarsi alle 33 ore annuali di educazione civica previste per legge, anche attraverso laboratori”. Un timido rimando a quel progetto che risale all’anno scorso, ma del quale al momento, se non la proposta dello psichiatra Paolo Crepet come papabile coordinatore, non c’è altro.
La figura dello psicologo nelle scuole
Negli ultimi anni, inoltre, la questione del benessere psicologico nelle scuole italiane è diventata una priorità. Le proposte di legge A.C. 247 e A.C. 520, che puntano a introdurre la figura dello psicologo scolastico, riflettono la crescente consapevolezza dell’importanza di un supporto psicologico per studenti, docenti e famiglie.
Entrambe le proposte condividono obiettivi simili, come contrastare fenomeni di bullismo, ansia, stress e difficoltà relazionali, ma differiscono nelle modalità operative e nella copertura finanziaria. La A.C. 247 prevede che lo psicologo scolastico lavori sotto la direzione del dirigente scolastico, con un ruolo subordinato rispetto alla figura dirigenziale. Questo solleva preoccupazioni riguardo alla sua indipendenza professionale. Così come, la copertura finanziaria è incerta, con fondi che provengono da risorse destinate a interventi straordinari.
La A.C. 520, invece, punta a una gestione più flessibile, con criteri stabiliti dal Ministero dell’Istruzione e della Salute per selezionare gli psicologi scolastici. In questo caso, il professionista avrebbe un ruolo attivo nella comunità scolastica, partecipando ai consigli di classe e lavorando a stretto contatto con docenti e famiglie. L’approccio è preventivo e integrato, mirando a migliorare il benessere di tutti i membri della scuola.
Entrambe le proposte, però, hanno sollevato dubbi sulla copertura finanziaria. Se la prima prevedeva un impegno di 30 milioni di euro nel 2023, con un aumento a 60 milioni nel 2024, provenienti da un fondo utilizzato per emergenze straordinarie, ci si è interrogati sulla sostenibilità a lungo termine. La seconda prevede un impegno di 40 milioni annui, ma anche qui è mancata chiarezza su come garantire queste risorse nel tempo.
Il futuro dei giovani?
Dove è mancata la presenza dello Stato, si è insinuato l’Anti-Stato a prendersi “cura” di loro. Gli ha creato opportunità di lavoro, seppur criminali. Gli ha fornito famiglia e assistenza a chi non ne ha mai avuta una. E infine, ha alimentato scenari di violenza nel silenzio di chi la dà ormai per scontata.
Alcuni di questi sono stati costretti a scegliere il “male minore”. Gli altri combattono con la mancanza di opportunità e alternative. E a noi resta solo una domanda: “Cosa stiamo facendo per evitare che nel loro futuro ci sia tutta questa violenza?”
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