Il welfare aziendale per l’equilibrio maternità-lavoro: lo studio di Fondazione Gi Group e Valore D
- 15/05/2024
- Welfare
I dati sono chiari: in Italia una donna su cinque lascia il lavoro dopo essere diventata madre e, nonostante le recenti misure, il Paese resta ampiamente indietro rispetto agli altri Paesi Ue sul binomio maternità-occupazione.
Binomio, che troppo spesso in Italia diventa un bivio, come lucidamente analizzato dal rapporto ‘Donne, lavoro e sfide demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità’, realizzato da Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D e presentato ieri mattina all’Auditorium del Palazzo del Lavoro di Milano.
Nel 2022, evidenzia il rapporto, solo il 51,1% delle donne italiane tra i 15 e i 64 anni lavorava, contro una media Ue del 64,9%. Il gap è evidente anche per quanto riguarda il tasso di fecondità che in Italia è di 1,24 figli per donna in età fertile, molto al di sotto di Paesi come la Francia (1,79), la Svezia (1,53) e l’Olanda (1,49).
Il welfare aziendale
In questa rincorsa per salvare il welfare del futuro, il Paese dimostra un urgente bisogno anche del welfare privato. Dall’incontro organizzato ieri da Gi Group è emerge un’Italia a due velocità:
- le grandi aziende hanno quasi una visione positiva e costruttiva della maternità;
- le Pmi vedono la maternità come un valore che tuttavia crea complessità organizzative. Lo testimonia il 30,9% delle Pmi a fronte del 10,9% registrato tra le grandi aziende.
L’evento diventa un’occasione per approfondire in maniera trasversale e originale la crisi demografica italiana, offrendo chiavi di lettura spesso inesplorate. Questo anche grazie all’analisi della letteratura internazionale e uno sguardo comparato su sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia), alla voce di studiose e studiosi del tema e a quella delle imprese.
De Vita (Pirelli): “Abbiamo introdotto corsi di educazione finanziaria per le nostre colleghe”
Tra le relatrici del panel, Donatella De Vita, Global Head of Engagement and Welfare and DEI di Pirelli che invita ad unire la praticità alla teoria: “Spesso, passando in rassegna le possibili soluzioni per conciliare maternità e lavoro, si rischia di perdersi per quante sono le strade percorribili”. Un rischio di sabbie mobili che l’Italia non si può permettere: “sarebbe utile – ricorda De Vita – partire dagli esempi che funzionano e importarli nelle nostre aziende”.
De Vita passa quindi alle ultime tre misure prese dalla sua azienda per migliorare l’integrazione tra maternità e occupazione, nonostante si tratti di una realtà “molto maschile per tradizione, per business, per persone che prevalentemente hanno un grado ingegneristico, tecnico, tecnologico da sempre più appannaggio di una popolazione maschile”.
Primo aspetto: un cambiamento culturale con “percorsi di formazione e di counseling, ovviamente per chi lo vuole, dedicata ai neopadri – il focus sulle madri è scontato – al di là del fatto che prendano o meno il congedo parentale. Abbiamo iniziato a metterli insieme, a ragionare insieme. Questa cosa è davvero potente perché iniziano a pensare che fra uomini, fra padri, si può parlare anche di altre cose e si può iniziare a fare con i padri un percorso su come accompagnare la propria compagna o il proprio partner nell’avere una genitorialità diversa. Credo che questo sia un piccolo tassellino che probabilmente inizia a far cambiare le cose”.
Altro aspetto fondamentale, il congedo di paternità, la cui brevissima durata in Italia (10 giorni quello obbligatorio) è stata attenzionata anche da altri relatori. Per questo, spiega De Vita: “stiamo ragionando sull’aumentare di molto la durata del congedo di paternità. Non tanto il congedo parentale – specifica la manager Pirelli – che noi già integriamo al 100% per 3 mesi, ma solo quello dei padri perché comunque ancora, tradizionalmente, il congedo parentale, è un po’ appannaggio delle madri”.
Sempre più papà-lavoratori chiedono di avere più tempo per svolgere il proprio ruolo genitoriale e chiedono un cambio culturale: “Come abbiamo visto benissimo nella ricerca, su questo forse le imprese possono essere più audaci rispetto al legislatore italiano che prevede i dieci giorni obbligatori. Non c’è ancora un accordo scritto e firmato, però questo è il secondo pezzo che mettiamo per lavorare sul cambiamento culturale” considerando anche di “renderlo obbligatorio, cioè con una premialità”.
Terzo aspetto: “Nelle ultime settimane abbiamo inaugurato i corsi di educazione finanziaria per le nostre colleghe. Certamente il tema del portare la finanza nelle donne e non solo le donne in finanza credo sia un altro grande pezzettino di rivoluzione che possiamo fare”, spiega De Vita.
Pirrò (Vodafone): “Il cambiamento culturale va anche forzato”
Netta la lettura di Valentina Pirrò, Recruiting, Employer Branding, Culture & Inclusion Manager di Vodafone sul (necessario) cambiamento culturale: è “una trasformazione che ha bisogno di essere anche un po’ forzata, anche prevedendo Kpi ad hoc”.
Un quadro molto chiaro emerge dal congedo parentale: “Siamo stati tra i primi ad averlo, ma non lo prendeva nessuno, nessun papà lo chiedeva. C’era la policy, ma non eravamo pronti culturalmente per accoglierla. Ebbene – spiega Pirrò – abbiamo lavorato sulla comunicazione e abbiamo portato dei papà a parlare, attraverso dei video, di che cosa ha rappresentato, all’interno del loro equilibrio familiare, fare questo passo e quanto sia stato importante per loro come persone. I comportamenti si cambiano anche nel quotidiano e si cambiano facendo parlare i modelli che hanno funzionato”, sottolinea anche la manager Vodafone, come De Vita.
Altro punto cruciale è quello dello smart working, da molti lavoratori considerato fondamentale soprattutto a fronte di servizi per la natalità carenti e troppo costosi: “Per policy di work-life balance abbiamo una politica di lavoro agile importante – aggiunge Pirrò – Oggi i miei colleghi, io stessa, possiamo scegliere come distribuire i giorni di lavoro in azienda o a casa.
Bisogna però dare questo supporto e aiutare poi il genitore che rientra dopo il congedo a sentirsi effettivamente, da subito, di nuovo parte di questo sistema. La ricerca presentata oggi mostra un dato devastante. Il genitore nella fascia del primo anno del figlio che decide di lasciare il lavoro e se lo lascia non ritorna più”, chiosa Pirrò.
La figura del ‘maternity angel’
I numeri italiani richiedono una forte inversione di tendenza e, quindi, anche misure nuove, ancora non esplorate: “Abbiamo provato a fare qualcosa di più con il ‘maternity angel’ – dice Valentina Pirrò che spiega di che cosa si tratta: “Il genitore che va in congedo ha la possibilità, su base volontaria, di avere un collega o una collega con cui mantenere un contatto, anche durante il periodo di assenza, per sentirsi ancora parte di quel contesto che è in rapida evoluzione. Abbiamo poi inserito delle aule di ascolto con psicoterapeuti per il momento del rientro al lavoro dopo che sia un figlio piccolo, che è un momento psicologicamente importante e molto delicato”.
Fasani (Open-es): “Nelle Pmi occorre coinvolgere le proprietà”
Sul tema del congedo di paternità, l’indagine di Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D mette in risalto un dato: tra le grandi aziende due su tre (60,3%) sono impegnate in attività di informazione sull’esistenza del congedo di paternità obbligatorio, rispetto al 46,7% delle Pmi.
Un aspetto, quello del gap tra piccole e grandi imprese, su cui si è concentrato Stefano Fasani, Program Manager di Open-es: “In Italia, più di tre quarti della forza lavoro è all’interno del comparto delle piccole e medie imprese. Più dell’80% delle imprese in Italia ha una proprietà come persona singola o con una guida familiare.”
Numeri utili per capire come va direzionato e approcciato il cambiamento culturale all’interno delle Pmi, che rappresentano il tessuto economico dell’Italia: “significa arrivare all’imprenditore, all’imprenditrice, alla famiglia che guida l’azienda e creare una convergenza, una comunione di visione su questo tipo di obiettivi”.
“Open-es è un’alleanza, una community di piccole e medie imprese coinvolte dai propri capofiliera, banche, assicurazioni, associazioni, per intraprendere percorsi di sviluppo sostenibile – spiega Fasani – conta ad oggi più di 19 mila imprese e più di 100 mila pmi sono in fase di onboarding. […] Abbiamo coinvolto i dipendenti e i responsabili di queste Pmi, nell’Open-es Camp, un campus formativo.
Per il project work finale potevano scegliere qualsiasi dimensione del modello Esg, ma più del 25% delle persone ha scelto un’iniziativa sulle tematiche della diversità e dell’inclusione. Molti, ad esempio, provavano ad interrogarsi su come introdurre concetti di smart working anche all’interno delle loro realtà”.
Tutto può fare la differenza nella conciliazione genitorialità-lavoro, anche le misure che all’apparenza possono sembrare poco di impatto: “Riuscire a mettere a terra questo tema della flessibilità di orario, per andare incontro alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori, anche a supporto dei percorsi di genitorialità – spiega Fasani – è già un primo passo importante. Questi sono esempi di azioni concrete con cui ogni azienda può dare il suo contributo a questo obiettivo comune”.
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