“Hai figli o hai intenzione di averne?” e altre domande ‘bocciate’ ai colloqui di lavoro
- 28/02/2024
- Welfare
Anna ha 29 anni. Oggi, si prepara ad affrontare un colloquio di lavoro. Questa volta sente che sarà l’occasione giusta, in qualche modo quella definitiva o almeno lo spera. Indossa, quindi, abiti sobri, cura il volto con trucco leggero e acconciatura naturale e armata di un sorriso coraggioso, forte delle tante competenze acquisite negli anni tra stage e precariato e due lauree alle spalle, Anna si appresta a rispondere alle domande routinarie: “Quanti anni di esperienza hai?”, “Pensi di riuscire ad integrarti in un team o gestire lo stress?”, “Perché ti piacerebbe lavorare proprio qui?”. Poi, ancora una volta, la domanda fatidica, quella che ormai Anna si aspetta ma che confida sempre non le venga rivolta: “Hai figli o hai intenzione averne a breve?”. Spallucce e sguardo bonario, Anna risponde con uno dei più classici “Non è tra le mie priorità in questo momento”. La voce trema, è quella di chi mente, perché con il suo compagno Marco, con cui convive già da un paio di anni, Anna fantastica di averne almeno uno.
Ma a quale costo?
Lavoro o figli, è questo il dilemma?
La storia di Anna è la stessa di numerose giovani donne che vogliono “sistemarsi” con un lavoro spesso sottopagato e con poche garanzie, tutto per vincere la corsa contro il tempo. Quest’ultimo riguarda un aspetto fisico e sociale relativo ad una ricercata stabilità economica. Lo scopo? Garantire una stabilità nella vita privata prima della nota scadenza biologica, di cui si sente l’enorme peso.
Spoiler: Anna ha superato il colloquio, ha scelto il lavoro e ha rinunciato ad avere un figlio con Marco che, desideroso di diventare papà e convinto di non essere amato abbastanza dinanzi ai continui rifiuti, ha finito con il separarsi dalla sua amata. Ma quella di avere un figlio è diventata davvero un’ansia sociale con cui fare i conti?
Un’indagine promossa da Merck ‘Salute emotiva della Generazione Zeta e dei Millenials: cosa muove i giovani europei?’, pubblicata a giugno 2023, ha coinvolto circa 7.500 giovani tra i 19 e i 36 anni di 12 Paesi europei, di cui oltre 600 italiani. Il dato emerso è che il 76% dei giovani italiani intervistati sta seriamente pensando alla possibilità di diventare genitore. Un dato che si scontra con quello rilevato dalla Fondazione Magna Carta secondo la quale 7 giovani su 10 in Italia rimandano la scelta di un figlio a un momento propizio. A sottolineare tale difficoltà, poi, ci sono i dati di dimissioni di uomini e donne del 2022. Oltre 44mila neomamme hanno lasciato il lavoro nei primi tre anni di vita, motivando, per il 63%, l’inconciliabilità tra i ruoli: professionale e neo-genitoriale.
“Il lavoro mi consentirà di mantenere le spese per un bambino?” e, ancora, “Accetteranno la gravidanza e la maternità senza giudicare negativamente la mia assenza sul luogo di lavoro?”, sono le domande più frequenti che ci si rivolge. E anche se Anna, così come Marco (seppur in misura minoritaria), hanno diritto ad una serie di agevolazioni quando diventeranno neogenitori, sembrano sempre essere minacciati da una latente incertezza: pochi supporti, asili nido costosi di cui poco più di 220 aziendali attivi sul territorio nazionale, smart working, presto non più consentito, part time che non incontra le reali necessità del dipendente. È così che ha inizio una questione sociale che affligge l’Italia, come altri paesi del mondo e oggi al centro del dibattito politico: il calo demografico.
Domande inopportune e come (non) rispondere
“Quando si ricevono domande inopportune ad un colloquio di lavoro, non esistono risposte giuste o sbagliate – ci racconta Irene Bertucci, giornalista ed esperta in comunicazione strategica e comunicazione neurolinguistica -. La domanda sui figli genera preoccupazione, ansia, timore di non essere assunti a causa di un desiderio legittimo che in quel contesto appare improvvisamente sbagliato. Il mio consiglio? È importante non rispondere in modo contrariato, provocatorio o conflittuale. Non bisogna agganciarsi in maniera emotiva. Quella domanda “inopportuna” è solo l’occasione per valutare il contesto lavorativo per il quale ci si sta proponendo. Forse il datore di lavoro ha avuto esperienze negative in passato o forse è vittima di pregiudizi culturali. La domanda non è sbagliata nel contenuto ma nella formulazione linguistica – ha continuato Irene Bertucci -. Sarebbe più corretto chiedere a una giovane donna: “Se avrà dei figli in futuro, come vede la sua vita professionale, ha pensato come organizzarla con suo marito/compagno?” E la risposta giusta potrebbe essere: “È un desiderio che ho per il futuro, allo stesso tempo vorrei dimostrarle da subito quanto il mio impegno per il mio lavoro sia la priorità per me. Se me ne dà l’opportunità lo dimostrerò in concreto”.
E se una donna/neomamma intendesse chiedere un part time o un aumento di retribuzione?
“Per avere risposte dirette e soluzioni precise, bisogna per forza essere diretti – ha sottolineato Irene Bertucci -. Non si può girare intorno a una richiesta di smart working. È importante però aver lavorato sempre in modo affidabile ed essere una risorsa di valore. Per richiedere nuove condizioni professionali dobbiamo quindi aver dimostrato di essere capaci di focus, risultati ed organizzazione, soprattutto per l’aumento di retribuzione. Le nostre esigenze personali sono importanti ma sono anche esterne al momento del lavoro. Un errore che fanno in molti è non comprendere che l’abito che indossiamo al lavoro è diverso da quello che indossiamo in famiglia. In ambito professionale non si possono avere aspettative emotive pari a quelle che chiediamo ai nostri cari. È una riflessione da fare per evitare frustrazioni e delusioni. Se un contesto lavorativo non può accettare delle nuove condizioni a posteriori non è un dispetto personale, ma una decisione ai vertici. Possiamo accettarla o decidere di cambiare lavoro. Se non è possibile per mille ragioni, è importante non perdere l’entusiasmo, solo perché una richiesta non è stata accolta per il momento”.
Vietato svolgere domande discriminatorie
Il Codice delle Pari Opportunità e lo Statuto dei Lavoratori in merito sono chiari. A tutela dei lavoratori, è vietato svolgere alcune domande discriminatorie ed inutili, lesive nei confronti dei candidati. Si tratta di domande non necessarie ai fini dell’assunzione o di una miglior valutazione del candidato che si sta esaminando. Scopriamone insieme alcune:
- Domande che facciano riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive. Chiedere “Sei sposata/o?” oppure “Hai figli o hai intenzione di farli?” non sono domande ammesse, né gradite (art.27 Codice Pari Opportunità).
- Domande relative alla provenienza ed etnia violerebbero il Decreto legislativo 215 del 2003 sulla parità di trattamento delle persone indipendentemente dalle proprie origini.
- Il Decreto Legislativo n.276 del 2003 vieta le domande sullo stato di salute dei candidati perché violerebbero una sfera privata tutelata dal diritto di privacy in materia di dati sensibili.
- L’art.8 dello Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro di “effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
- Con il Decreto legislativo 198 del 2006, si vieta l’invasione nella sfera personale del candidato con domande relative allo stato familiare: “Che lavoro fanno i tuoi genitori?” è una curiosità che non può essere soddisfatta in fase di selezione e assunzione.
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