A Bolzano la crisi demografica non esiste, il ‘caso’ sul Nyt
- 02/04/2024
- Popolazione
L’Italia può vincere la battaglia contro la crisi demografica ‘giocando in casa’.
Questo è il messaggio che arriva dalla provincia di Bolzano dove, mentre il Belpaese si avvicina al più basso tasso di fecondità di sempre (1,2 figli per donna), la natalità è rimasta costante nei decenni. Risultati in netta controtendenza con il resto del Paese, tanto che il “modello Bolzano”, con circa 1,65 figli per donna, ha attirato l’attenzione anche del New York Times.
“L’area dell’Alto Adige-Sud Tirolo e il suo capoluogo, Bolzano, più di ogni altra parte del Paese – scrive il Nyt – hanno sfidato la tendenza ed emergono come un universo parallelo per la procreazione in Italia, con il suo tasso di natalità che rimane stabile nel corso dei decenni”.
Aspetti culturali ed economici si intrecciano nell’esempio bolzanino, anche se la chiave del successo è ben riassunta dal titolo del quotidiano Usa: “Cosa è successo quando questa provincia italiana ha investito nei bambini”.
Il quotidiano americano offre una chiave di lettura, utile per capire dove stia andando l’Italia e come correggere la rotta: “La ragione, dicono gli esperti, è che il governo provinciale ha sviluppato nel tempo una fitta rete di benefici a favore delle famiglie, andando ben oltre i bonus una tantum per i bambini offerti dal governo nazionale”.
Insomma, con un approccio olistico persino la crisi demografica italiana, confermata dagli ultimi dati Istat, può essere sconfitta. La sfida è capire come adattare l’esempio di Bolzano al resto del Paese, soluzione non sempre possibile: “Per buona parte della sua storia, l’area dell’Alto Adige apparteneva ai vari imperi d’Austria, che la chiamavano Sud Tirolo, fino a quando l’Italia l’annesse agli inizi del 1900. Conserva una certa indipendenza in ambito fiscale e sulle decisioni finanziarie, e culturalmente, può sembrare un altro mondo, più austriaco, rispetto al resto dell’Italia”, puntualizza il New York Times.
Anche se il signor Baldo ci tiene a precisare: “Sono italiano quanto chiunque altro. La mia fede cattolica e l’affetto per il caos delle famiglie numerose – sua moglie viene da una famiglia di otto figli – hanno motivato la coppia ad avere figli”.
Il ruolo del contesto culturale
Diventa interessante capire come l’approccio culturale, da una parte, e quello economico, dall’altra, abbiano dato vita a questo esempio di successo. Per raccontare ancora più fedelmente le caratteristiche di questo approccio, il quotidiano americano si è immerso nella vita di una famiglia del posto: il signor Stefano Baldo e sua moglie Tiziana Balzamá hanno sei figli: Beniamino, 5 anni; Gioele, 4 anni e Ruben, 2 anni e il neonato Giona di appena 6 mesi sono i piccoli, mentre Raffaele ed Elia, rispettivamente 10 e 8 anni, sono i più grandi.
“Stefano Baldo ha timbrato il cartellino per uscire presto dal lavoro per la sua pausa allattamento. ‘È ovvio che io non allatto al seno’, ha detto il signor Baldo, un amministratore di trasporti di 38 anni, nel suo ufficio decorato con foto di sua moglie e dei suoi sei figli. Ma con sua moglie a casa con un neonato, uno dei genitori aveva diritto per legge a prendersi del tempo, e lui doveva andare a prendere i bambini”, spiega il giornale riferendo di come il neopapà trovi molto comoda questa soluzione. D’altronde, anche la sensibilità degli altri papà italiani sta cambiando, come dimostrano il tasso di congedo di paternità triplicato in dieci anni (2013-2023) e la richiesta, condivisa da molti papà, di rendere obbligatorio il congedo di paternità ben oltre gli attuali 10 giorni.
Dalla testimonianza del Nyt emerge chiaramente come anche il welfare aziendale venga agevolato da una cultura che mette la natalità al primo posto, interrogandosi sulle concrete necessità dei neogenitori. L’esempio delle istituzioni, benefici economici inclusi, fa il resto.
“Il signor Baldo […] ha lasciato l’edificio attraverso un atrio pieno di volantini che pubblicizzavano zaini ‘Welcome Baby’ carichi di consigli per i nuovi genitori e libri illustrati. […]
I ragazzi – spiega ancora il Nyt – si sono messi gli zaini ‘Welcome Baby’ forniti dal comune di Bolzano e hanno attraversato la strada con il padre per prendere il fratellino in un altro asilo nido per bambini più piccoli. Poi, in quattro, hanno attraversato la strada fino al loro appartamento a canone concordato, dove la moglie del signor Baldo, Tiziana Balzamá, 39 anni, li ha accolti con un neonato in braccio”.
Il ripetuto riferimento agli zaini ‘sponsorizzati’ dal municipio dimostra come anche l’aspetto simbolico sia importante per contrastare la denatalità, aspetto sottolineato all’Adnkronos anche da Chiara Ferrari dell’Ipsos.
Il fattore culturale ha un ruolo chiave nella scelta di avere figli, ma non è uguale in tutte le case, spiega la signora Balzamá: “Molti dei nostri amici hanno uno o due figli perché vogliono vivere la loro vita. Ma qui, se lo volessero, hanno aiuto. […] Abbiamo un amico a Roma che ha quattro figli. Pagano un sacco per l’aiuto.”
I benefici economici per chi ha figli
D’altronde pensare che la denatalità sia solo causa di un nuovo approccio culturale non è corretto, spiega il signor Baldo sottolineando l’importanza dei benefici economici. Non solo: la provincia di Bolzano è anche quella con il reddito pro capite più alto, come certificano i dati Istat, mentre nel resto del Paese i salari immobili rendono sempre più difficile o tardivo, per i giovani, costruirsi un percorso in autonomia, lontano dalla casa dei propri genitori.
Tutti elementi da considerare nell’eterno dibattito tra chi ritiene che la denatalità sia colpa di una cultura contraria alla famiglia, e chi ritiene che i giovani non facciano figli perché non hanno abbastanza soldi e perché “Nessuno pianifica di avere figli basandosi su politiche una tantum”, come ha detto Nyt Agnese Vitali, demografa presso l’Università di Trento.
Sul punto, Vitali ha spiegato il gap con il resto della penisola: “La differenza è che c’è un investimento costante, nel corso degli anni, a differenza della maggior parte delle politiche nazionali che sono una tantum”. La famiglia Baldo ha tre figli. Qui, la provincia dà 200 euro al mese per ciascun figlio, fino al raggiungimento dei 3 anni di età. Un beneficio da sommare all’assegno unico di 1.900 euro ricevuto dal governo nazionale per i loro figli.
“La loro carta Family +, disponibile a tutte le famiglie con tre o più figli, – racconta il Nyt – permetteva loro di avere il 20% di sconto su molti prodotti in città ed era collegata al supermercato Despar locale per sconti aggiuntivi. La signora Balzamá ha detto di aver potuto usufruire anche di sconti per il trasporto pubblico.
Non solo la provincia bolzanina, anche il Trentino ha investito pesantemente nell’assistenza all’infanzia – una strategia che precede e in alcuni casi supera il suo vicino. “Tuttavia – scrive il Nyt – il suo tasso di natalità è crollato a 1,36 figli per donna, molto inferiore rispetto a quello dell’Alto Adige-Sud Tirolo e molto più vicino alla triste media nazionale”.
Una società costruita sui bambini
Nella provincia genitori godono di asili nido scontati, prodotti per bambini, generi alimentari, assistenza sanitaria, bollette energetiche, trasporti, attività extrascolastiche e campi estivi. Lo stesso ente provinciale integra le assegnazioni nazionali per i bambini con centinaia di euro in più per bambino e vanta programmi di assistenza all’infanzia, tra cui uno che certifica gli educatori per trasformare i loro appartamenti in piccoli asili nido. Strutture di cui la penisola ha urgente bisogno.
Intanto, tra un’intervista e una rincorsa dietro a un bambino, “alle 16:00, Baldo si è affrettato a prendere gli altri due figli a scuola nel suo furgone bianco. Ha detto che ne aveva ordinato uno nuovo, con nove posti, e che qualsiasi cosa più grande avrebbe richiesto una patente speciale”.
Nel suo viaggio non potevano mancare quelli che qui chiamano i “vigili nonni”, che, accompagnano i bambini a scuola al mattino in un programma chiamato “l’autobus a piedi”. Anche qui, come nel resto della penisola, i nonni costituiscono un importante aiuto per i neogenitori, ma spesso rappresentano un valore aggiunto, non l’unica ancora di salvezza.
Il Nyt ha anche citato il professor Alessandro Rosina, spiegando che “La cultura locale gioca un ruolo importante ed è un aspetto difficile da esportare.”
Infatti, quando gli incentivi a favore delle famiglie sono iniziati negli anni ‘80, la provincia ha anche importato l’idea del sistema di asili nido Tagesmutter, o bambinaia, dalla Germania dell’Est. È una via di mezzo tra un micro asilo nido e una tata. “Con questo sistema – spiega il Nyt – la provincia certifica, registra e supporta gli insegnanti locali che trasformano le loro case in asili nido. È particolarmente popolare nelle zone rurali”.
Anche la signora Balzamá, che ha lavorato in aule in tutta la provincia prima della nascita del suo primo figlio, ha detto che aveva valutato un corso annuale per diventare una Tagesmutter ma ha concluso che per ora aveva più senso rimanere a casa. Una scelta spesso preclusa alle mamme italiane, costrette a dimettersi o a scegliere il part-time dopo il parto.
Tutta un’altra musica nel bolzanino: “È stata una mia scelta dire che aspetterò di tornare a lavorare”, ha detto Balzamá.
Per le madri che desiderano tornare al lavoro – come sua sorella, infermiera, con quattro figli – la madre dei sei figli ha detto che la provincia offriva anche asili nido pubblici a basso costo.
“Alcuni esperti dicono che l’atteggiamento della provincia nei confronti dei benefici familiari sia radicato nel desiderio di una cultura minoritaria in un’area storicamente contesa di mantenere viva un’identità forte incoraggiando le persone ad avere più figli”, chiosa il New Tork Times.
Quello che emerge con chiarezza è che nell’esempio di Bolzano, il fattore culturale diventa il motore, quello economico le ruote su cui far correre il ricambio generazionale e la natalità. Un processo osmotico, dove viene riconosciuta sia l’importanza del contesto sociale, sia quella dei benefici economici. I risultati demografici della provincia, quasi incredibili nel panorama italiano, invitano l’Italia a replicare l’esempio bolzanino.
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