Un suicidio ogni 2 giorni e mezzo: il triste record di inizio 2024 per i detenuti in Italia
- 23/02/2024
- Popolazione
Per la legge italiana la pena deve avere un fine rieducativo, ma sempre più spesso si trasforma nell’estrema punizione: la morte.
A dirlo sono i numeri del 2024 che portano il numero di suicidi nelle carceri italiane a un livello allarmante. Secondo i dati dell’associazione Antigone, che monitora le condizioni di detenzione nel nostro Paese, in meno di due mesi del 2024 ci sono stati 20 suicidi (dati aggiornati alla scorsa settimana). Si tratta di un dato molto superiore rispetto agli anni precedenti, quando il picco si era registrato nel 2022 con 84 suicidi in tutto l’anno.
“Nel 2022, quando a fine anno i suicidi furono 85, arrivati a questo punto dell’anno erano stati 11”, spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che lancia l’allarme: “Nel 2024 registriamo un suicidio ogni 2 giorni e mezzo. Se continuerà così a fine anno avremo circa 150 persone che si saranno tolte la vita”.
Un problema che, per il presidente dell’Associazione viene ignorato dalle istituzioni e dall’opinione pubblica: “Se – continua Gonnella – in una cittadina di 60.000 abitanti avessimo avuto 18 suicidi in 45 giorni non si parlerebbe di altro e il governo avrebbe già mobilitato attenzioni e risorse. Sul carcere, invece, assistiamo ad un immobilismo preoccupante”.
Perché ci sono così tanti suicidi nelle carceri italiane
Come sempre, è impossibile imputare la scelta di un gesto estremo come il suicidio ad una sola causa. Nel caso dei detenuti, ci sono molteplici cause comuni e di sistema che aggravano la situazione, tra cui:
- Condizioni di sovraffollamento;
- condizioni di isolamento;
- episodi e contesto di violenza;
- scarsa assistenza sanitaria e psicologica;
- scarsa prospettiva di reinserimento sociale;
- difficoltà nel mantenere i legami familiari.
A queste cause si aggiungono le situazioni di fragilità personale, come i disturbi psichiatrici, le dipendenze, i sensi di colpa, le angosce esistenziali. Spesso i detenuti si sentono persone fallite: sanno che quando usciranno dalla galera difficilmente troveranno uno sbocco lavorativo, una famiglia pronta ad accoglierli, una casa dove andare. Alcuni di loro, non vedendo via d’uscita, scelgono il gesto estremo.
I suicidi in custodia cautelare
Particolare la circostanza per cui molti dei suicidi avvengono tra i detenuti in custodia cautelare, che rappresentano circa il 30% della popolazione carceraria. In pratica, quasi una persona su 3 di quelle in carcere non ha ancora ricevuto una condanna definitiva e, per impedire che scappi, commetta altri reati o cancelli le eventuali prove, è in carcere in uno stato di incertezza e ansia per il proprio futuro. Alcuni di loro sono anche innocenti o accusati di reati minori, per i quali la detenzione preventiva appare sproporzionata e ingiusta.
L’evoluzione del fenomeno
Il fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane non è nuovo, ma negli ultimi anni ha subito un’escalation preoccupante. Se si confrontano i dati degli ultimi trent’anni, si nota che il tasso di suicidio tra i detenuti è più che raddoppiato, passando da 6,8 casi ogni 10 mila persone nel 1990 a 15,2 nel 2022. Al contrario, il tasso di suicidio nella popolazione generale è rimasto stabile intorno a 0,7 casi ogni 10 mila persone. In pratica, i detenuti hanno un rischio di suicidarsi 22 volte maggiore rispetto ai cittadini liberi.
Tra le possibili spiegazioni di questo aumento ci sono il peggioramento delle condizioni di vita nelle carceri, dovuto al sovraffollamento cronico, alla carenza di personale e di servizi, alla diffusione di malattie e droghe, e in alcuni casi alla violazione di garanzie riconosciute dalla Costituzione. La situazione appare più grave negli istituti carcerari grandi, dove l’assistenza al detenuto è più difficile. Solitamente, invece, nei piccoli istituti c’è un dialogo costante con il detenuto soprattutto nel momento in cui questi ha più bisogno di un sostegno psicologico o morale.
Le possibili soluzioni
Per affrontare il problema dei suicidi nelle carceri italiane, è auspicabile innanzitutto intervenire sulle cause strutturali che lo determinano, cioè il sovraffollamento e le condizioni di detenzione.
Si può agire su due fronti: quello della pena e quello della permanenza in carcere.
A tal fine, si potrebbero adottare delle politiche di svuotamento delle carceri, favorendo l’uso delle misure alternative, la depenalizzazione di alcuni reati, la revisione delle pene, il rafforzamento dei percorsi di recupero e di reinserimento sociale. Sull’altro fronte, si dovrebbe intervenire per garantire sempre il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti, come la dignità, la salute, l’istruzione, il lavoro, il contatto con i familiari e la libertà religiosa.
“Ancora una volta – dice Patrizio Gonnella – chiediamo interventi urgenti e immediati per ridurre il peso della popolazione detenuta negli istituti, garantire una maggiore apertura nelle carceri e garantire una presenza di personale in linea con le esigenze”. L’appello del presidente di Antigone è condiviso da Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, che chiede al governo: “un decreto Carceri prevedendo assunzioni straordinarie e accelerate nel Corpo di polizia penitenziaria e provvedimenti deflattivi della densità detentiva anche attraverso una gestione esclusivamente sanitaria dei ristretti malati di mente e percorsi alternativi per i tossicodipendenti”.
Una terza via, più specifica, riguarda l’implementazione di azioni di prevenzione e contrasto del suicidio, come la formazione e la sensibilizzazione del personale penitenziario, la creazione di reti di sostegno e di ascolto tra i detenuti e il monitoraggio dei casi a rischio.
Don Gino Rigoldi, storico cappellano del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, dichiara: “Bisogna togliere la circolare sui circuiti di media sicurezza che dice che un detenuto, quando non ha attività da fare, passi 22 ore in cella. Far nulla per 22 ore, tutti i giorni della settimana, è una maniera per far impazzire la gente, per moltiplicare le disperazioni”. Secco Gennarino De Fazio: “Continuando così, le carceri italiane rischiano di diventare veri e propri mattatoi”.
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