Tra bonus e posti insufficienti: la partita degli asili nido è cruciale per la demografia
- 18/01/2024
- Popolazione
I posti negli asili nido sul territorio italiano aumentano, ma sono ancora troppo pochi. Il tema ha importanti risvolti demografici dal momento che la carenza dei servizi all’infanzia per oltre un italiano su 4 (28%) rappresenta un ostacolo ad avere figli, come emerge da un sondaggio realizzato da Emg per Adnkronos.
Nel 2021, ultimo aggiornamento di Openpolis, i posti negli asili nido italiani e nei servizi per la prima infanzia sono saliti a 28 ogni 100 bambini residenti con meno di 3 anni, quasi un punto in più rispetto al 2020, quando erano 27,2.
Si tratta, tuttavia, di un aumento “fittizio”: in termini assoluti, l’offerta di nidi sul territorio nazionale è rimasta in linea con quella dell’anno precedente (350mila posti autorizzati). Ma il calo della platea potenziale, legato alla denatalità, fa in modo che l’offerta cresca in termini relativi.
Il target dell’Ue sugli asili nido
Nel 2002, il Consiglio europeo aveva fissato al 33% la soglia di posti disponibili in asili nido da raggiungere nei 27 paesi. Ciò significa che ogni 100 bambini almeno 33 dovevano poter accedere a questo servizio.
Da allora, però, le cose sono cambiate e alla fine del 2022 il Consiglio ha indicato il nuovo obiettivo tendenziale del 45%. Si tratta di un target non tassativo, ma che chiede agli stati di fare uno sforzo ulteriore.
Come spiega Openpolis, infatti, i paesi che oggi sono al di sotto del 20% dovrebbero migliorare il proprio indicatore di almeno il 90%, mentre quelli tra 20 e 33% – come l’Italia – dovrebbero migliorare la propria offerta di almeno il 45% o almeno fino al raggiungimento di un tasso di partecipazione del 45%. E sarebbe auspicabile che questa percentuale non arrivi dal calo della natalità, ma dall’aumento dell’offerta.
Negli ultimi dieci anni il Belpaese ha visto crescere la sua offerta potenziale, seppure in maniera molto lenta: rispetto ai 28 ogni 100 bambini registrati nel 2021, nel 2013 i posti erano meno di 23 ogni 100 bambini sotto i tre anni. A pesare sui numeri dell’Italia è soprattutto l’enorme divario territoriale che assume due direzioni: Nord e Sud; aree interne e grandi città.
La diversa diffusione degli asili nido in Italia
Dall’analisi emerge ancora una volta un’Italia spaccata. Una parte del paese ha già superato, o ha quasi raggiunto, il primo obiettivo europeo, quello del 33%, una soglia integrata anche dalla normativa nazionale, con il decreto legislativo 65/2017. Tre province dell’Emilia-Romagna hanno persino superato il nuovo target del 45% fissato nel 2022: Ravenna (48,9 posti ogni 100 bambini), Bologna (48) e Ferrara (47,5). Altre ancora, tutte localizzate nell’Italia centrale, sono poco distanti dalla nuova soglia: tra queste Perugia (44,1), Trieste (43,3), Firenze (43,3) e Forlì-Cesena (42,9).
In 11 capoluoghi è presente addirittura più di un posto ogni due bambini residenti: Nuoro (73,8 ogni 100 residenti sotto i 3 anni), Ferrara (62,7), Siena (58,9), Sassari (58,3), Forlì (56,7), Firenze (53,7), Trento (51,2), Lecco (51), Rovigo (50,8), Bergamo (50,8) e Padova (50,3). Entro un solo punto da quota 50% anche Bologna, Roma, Pisa e Udine, da poco eletta miglior città italiana per qualità della vita.
La grandezza della città non è sempre sinonimo di servizi adeguati: agli ultimi posti per densità di posti in asili nido spiccano diverse grandi città del Sud Italia. Nel 2021 non raggiungono i 10 posti disponibili ogni 100 residenti con meno di 3 anni i comuni di Barletta (8,6), Catania (8,4) e Messina (7,3). Poco sopra questa soglia anche capoluoghi come Napoli, Caserta, Trani, Palermo, Isernia, Andria e Ragusa. Tutti comuni con percentuali comprese tra il 10% e il 15%.
La diffusione regionale
Allargando lo sguardo, si nota che nessuna delle 20 regioni italiane raggiunge la quota fissata nel 2022. Alcune di queste, tuttavia, non sono lontane dall’obiettivo dei 45 posti ogni 100 bambini: Umbria (43,7), Emilia-Romagna (41,6) e Valle d’Aosta (41,1).
Le regioni che superano almeno la vecchia soglia del 33% sono 6: oltre a quelle appena citate: Toscana (38,4), Friuli-Venezia Giulia (36,8) e Lazio (36,1).
In generale, il Centro-Italia e il Nord-est hanno una copertura superiore al 33%, rispettivamente del 36,7% e del 36,2%. Il Nord-ovest si avvicina all’obiettivo con il 31,5%, mentre il Sud e le Isole, sebbene in miglioramento, rimangono ancora distanti, rispettivamente con il 16% e il 16,6%.
Aree interne e aree periferiche
Come accennato, la spaccatura non è solo Nord-Sud, ma anche città e paesi più piccoli, anche indicati come “aree interne”.
Nei comuni-polo i posti nido sono in media oltre 34 ogni 100 minori residenti, mentre l’offerta scende al 25% negli hinterland per poi calare attorno a quota 20% nei comuni periferici – a più di 40 minuti di distanza dal polo più vicino – e al 15-16% in quelli ultraperiferici (a oltre un’ora dai poli).
I comuni capoluoghi di provincia hanno una copertura media del 35,3%, mentre quelli non capoluogo, nel loro insieme, presentano una copertura di posti inferiore di circa dieci punti percentuali, pari al 24,9%.
L’Italia rispetto all’Ue
Nonostante l’aumento, relativo, dei posti negli asili nido, la frequenza dei servizi educativi per la prima infanzia in Italia resta inferiore alla media europea. Nel 2021, infatti, solo il 33,4% dei bambini di 0-2 anni ha frequentato una struttura educativa, contro la media europea del 37,9%. Paesi come Francia e Spagna superano il 50%, mentre Olanda e Danimarca raggiungono rispettivamente il 74,2% e il 69,1%.
Welfare privato
Sempre più spesso, quando si parla di servizi alle famiglie, si parla anche di welfare aziendale. Sul punto, giova sottolineare due aspetti tra loro collegati: gli impegni lavorativi e la migrazione interna degli italiani.
In primis, negli ultimi decenni sono aumentate le famiglie dove entrambi i genitori lavorano, anche se la cura della famiglia ricade tutt’oggi di più sulla donna. Laddove invece lavori un solo genitore, si innesca il problema economico, da cui l’infanzia italiana è tutt’altro che esente dato che l’Italia è uno dei Paesi ricchi con maggiore povertà infantile, come riportato dall’Unicef.
Allo stesso tempo, negli ultimi anni è esploso il fenomeno della migrazione interna che porta molti giovani lontani dalle loro aree (spesso periferiche o meridionali) per trasferirsi in zone dove non ci sono i parenti, genitori in primis. In assenza di un servizio capillare di asili nido, questa situazione rappresenta un problema nascosto, ma cruciale: i potenziali genitori non sanno a chi affidare i propri figli durante le ore lavorative. Non a caso, laddove sono vicini, i nonni sono diventati un vero e proprio strumento di welfare privato.
Welfare aziendale
Laddove non arriva lo Stato, né il welfare familiare, l’ultima ancora è il welfare aziendale.
A novembre 2023 è stato presentato il Codice di autodisciplina di imprese responsabili a favore della maternità, lanciato dal Ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità.
Il Codice è rivolto alle aziende che vorranno attuare politiche in favore della maternità e a sostegno dei percorsi di carriera delle lavoratrici madri.
Emblematico il discorso del presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel presentare la misura che mira a contrastare la denatalità: “il Governo da solo non può farcela”, dunque “serve l’aiuto di tutti, a partire da chi, come voi, si rimbocca le maniche ogni giorno per creare posti di lavoro, per produrre ricchezza e benessere per la propria Nazione. Oggi il Governo vi propone di sottoscrivere un patto, perché la sfida demografica coinvolge tutti e ha bisogno di tutti”.
E la sfida demografica si intreccia a doppio filo con quella della parità di genere, come prosegue il premier: “È una sfida per il futuro dell’Italia, è una sfida per la libertà, in particolare delle donne. Perché purtroppo, sono ancora troppe le donne costrette a dimettersi dal lavoro dopo essere diventate mamme; sono ancora troppe le mamme lavoratrici che vedono il proprio percorso di carriera ostacolato da un sistema che non riconosce il valore di quello che fanno; sono ancora troppe le donne che rinunciano a mettere al mondo un bambino perché vivono questa scelta come una scelta alternativa alla realizzazione professionale. E noi non possiamo permettere tutto questo”.
Bonus asilo nido 2024
Dal canto suo, il governo ha inserito diverse misure a sostegno della denatalità, come richiesto da una crisi demografica sempre più acuta.
Tra questo spiccano la decontribuzione totale per le mamme di almeno due figli, di cui almeno uno entro i 10 anni, e l’aumento degli importi per il bonus asilo nido 2024, anch’esso ristretto a chi ha almeno due figli al di sotto dei dieci anni. Il bonus asilo nido 2024 prevede rimborsi fino a €3.600 all’anno in presenza di determinate condizioni e rappresenta quindi un sostegno importante seppure rivolto a una platea ristretta.
Incentivi a parte, per garantire a più famiglie di accedere al servizio di asilo nido occorre aumentare i posti a disposizione per i bambini.
Un aumento che deve arrivare dall’aumento delle strutture e dal rafforzamento del servizio, non dall’acuirsi della crisi demografica.
- Europa Giovane6
- Famiglia221
- Fertilità154
- Giovani246
- Mondo201
- Podcast5
- Popolazione479
- Talk | 13 dicembre 20239
- Talk | La 'cura' delle persone5
- Trend96
- Video27
- Welfare234