Denatalità, Azzurra Rinaldi: “La disuguaglianza economica non conviene a nessuno”
- 26/04/2024
- Popolazione
“Parlare di economia di genere aiuta a ridefinire il campo stesso, per un approccio più sostenibile per il futuro. La disuguaglianza, abbiamo capito, non conviene a nessuno”. A sostenerlo è Azzurra Rinaldi, economista femminista. Così si definisce la docente di Economia Politica all’Università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche Direttrice della School of Gender Economics. Nel 2022 ha fondato Equonomics, per portare il tema dell’equità di genere all’interno di aziende e istituzioni. Fa parte del board della European Women Association e di quello di Opera for Peace. È membro onorario del Board della UK Confederation. È Componente del Comitato Scientifico di Save the Children e dell’Osservatorio sul Terziario ManagerItalia. E a lei abbiamo chiesto cosa sia questo nuovo approccio all’economia che potrebbe cambiare culturalmente il concetto di femminismo e di parità di genere.
“Si dovrebbe dire economia femminista- ci spiega Azzurra Rinaldi -, perché nella teoria economica abbiamo due branche: l’economia di genere mainstream classica e neoclassica che vede la crescita economica continua e lineare del Pil e di produzione di ricchezza. Dall’altro lato c’è l’economia femminista che si pone in antagonismo abbracciando una crescita circolare e non lineare e che nasce dall’analisi delle discriminazioni che le donne subiscono sul mercato del lavoro mettendo in luce la sub efficienza che questo fenomeno genera al sistema nazionale. L’economia femminista indaga come le discriminazioni impattano sulla collettività e sul sistema di produzione sensibilizzando sul ruolo che le donne possono avere nel cambiamento e nella crescita economica di un Paese”.
L’Italia sta vivendo quello che l’Istat ha definito un “inverno demografico”. Denatalità e occupazione femminile: qual è il legame e come una visione economica diversa può migliorare il rapporto?
“A dispetto dell’immaginario della mamma che sta a casa con 50 figli, la letteratura dimostra che al tasso di occupazione femminile più alto corrisponde anche un tasso di natalità più alto. Quando due persone in una coppia lavorano e possono permettersi di sostenere più spese, c’è libertà di scelta. Lo Stato così ha un bilancio più ricco e può offrire più servizi pubblici e gratuiti. Noi pensiamo che non abbiamo strutture a supporto della genitorialità e della conciliabilità perché in Italia mettiamo in campo misure manchevoli dal punto di vista dell’occupazione femminile. Un bonus, del quale non è garantita la durevolezza nel tempo, ma che potrebbe esaurirsi con questo Governo, non è uno strumento utile ad una progettualità. Il minimo per invertire il trend della denatalità è fornire servizi pubblici e gratuiti alle famiglie e incentivare una parità di genere lavorativa”.
Può l’economia essere la disciplina grazie alla quale si muovono leve per il cambiamento culturale?
“Se venisse adottata un’economia femminista saremmo molto più avanti di oggi. Questo approccio aiuterebbe a sdoganare il concetto di femminismo. È un termine positivo e non può essere considerato ancora come divisivo. Inserirlo nel lessico quotidiano, migliorerebbe il senso di responsabilità e di cura, per le donne, per l’ambiente, per le persone in generale. Ammesso che arriviamo al 2050, questa è la strada da percorrere e non con l’economia mainstream che abbiamo capito che non funziona. Solo così ci si assumerebbe una reale responsabilità nei confronti delle future generazioni”.
Ma è tutta colpa degli uomini? Hanno paura di mostrarsi alleati delle donne?
“Uno studio di Manageritalia ha rilevato che oltre l’80% dei manager uomini sotto i 40 anni chiede il congedo di paternità obbligatorio come quello di maternità. C’è anche per gli uomini la voglia di inglobare le proprie mansioni nella vita familiare, nel sistema di cura e di divisone del lavoro in casa. Altri invece non ne vogliono ancora sapere e hanno paura di lasciare andare un sistema rodato. I più giovani sono quelli più vicini alle donne: non hanno ancora posizioni di potere e forse sono più sensibili ad un dialogo sul tema. Il modello di una maternità esclusiva come unico compito affidato alla donna non è più una buona pubblicità di maternità. Non ci si può annullare come persona. È per questo che è necessaria una ridefinizione del ruolo di cura e di genitorialità”.
In sintesi, potremmo dire che “La disuguaglianza non conviene a nessuno”. Però fino ad oggi è stata l’arma vincente per molti: secondo te perché?
“Perché l’economia è una scienza nata con gli uomini e per gli uomini. Nel 1800 è stata fatta una scelta precisa: sin da subito è stato chiarito chi doveva stare a casa gratis e chi doveva andare fuori a guadagnare. Economiste donne sono state depredate dei propri lavori da parte dei colleghi che hanno vinto Nobel al posto loro. Però abbiamo assistito al fatto che l’economia mainstream, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi, ha fallito. Se si capisse che la disuguaglianza con conviene a nessuno e che la parità apporta guadagno ad un Paese, in termini di crescita del Pil, si potrebbe invertire la rotta”.
“Le signore non parlano di soldi” è il titolo di un tuo libro. Eppure, tu ne parli. Qual è il limite entro il quale una donna si autocensura e, invece, qual è quello entro il quale viene censurata?
“Penso che il discrimine sia la consapevolezza. La donna non va bene mai: se lavori non va bene, se non lo fai non va bene uguale. Così come la maternità: se sei madre o se non lo sei, qualcuno avrà sempre da ridire. Viviamo in un sistema in cui perdiamo a prescindere, qualsiasi cosa facciamo. Se partissimo dalla consapevolezza che non si va bene mai, si potrebbe pensare di andar bene sempre. Parlare di soldi, da donna, è l’unico strumento di libertà e di scelta che possa garantire un’autodeterminazione e un’indipendenza”.
#DateciVoce è un movimento nato per riconoscere la professionalità femminile in alcuni campi, ancora oggi a prevalenza maschile. Ma il permesso di parlare le donne lo devono ancora chiedere?
“Quel movimento è nato durante il Covid per dare voce alle donne assenti nelle task force scese in campo per fronteggiare la pandemia. “Dateci Voce” è una formula passiva perché, se i leader politici e i leader nei vari campi sono per circa il 9o% uomini, purtroppo deve partire anche da loro questa apertura e quindi è una richiesta retorica: quella di venirci incontro”.
“Come chiedere l’aumento” è la tua futura pubblicazione. Ho letto che hai scritto che l’hai realizzato con un femminile sovra esteso, cioè, riferito alle donne, ma che va bene anche per gli uomini. Come si risponde a chi definirebbe questa scelta come politica, a chi sostiene che il femminismo è la nuova forma di maschilismo?
“Per lavoro insegno. In libri e divulgazioni scientifiche ce la metto tutta per concedere alle persone di imparare, così come invece imparo io in primis da chi ha più esperienza di me su altri argomenti. Ma non a tutti possiamo spiegare la vita. Se c’è chiusura, non è compito nostro insistere. Sul dizionario la differenza tra maschilismo e femminismo è chiara: la prima vede prevaricazione degli uomini sulle donne e la seconda invece invoca la parità. Ecco perché la scelta del femminile sovra esteso è venuta automatica. È chiaramente una scelta politica: chiediamo agli uomini di fare uno sforzo di adattarsi ad un linguaggio al quale noi ci siamo adattate per tutta la vita”.
Hai tre figlie femmine alle quali starai insegnando un’educazione finanziaria, immagino. Tu hai avuto questo esempio? E quanto pensi sia importante il ruolo dei genitori nell’educare i figli alla parità di genere, compresa quella economica?
“Ho avuto il grande privilegio di avere un papà, nato nel 1940, che si definiva femminista. Ma di soldi in casa mia non si parlava mai. Questa educazione me la sono dovuta conquistare da sola. Secondo gli ultimi dati Edufin, siamo ultimi in materia di educazione finanziaria. I genitori sono i primi a non averne una e, come tutto, anche questo fenomeno si eredita. È un problema collettivo. La spinta autonoma dovrebbe arrivare cercando risposte a domande del tipo: ‘Come faccio a essere un buon cittadino o cittadina, elettore o elettrice se non capisco come lo stato spende i soldi? Se lo fa in modo equo oppure no?’. Se non hai questi elementi come fai?”.
Un consiglio che ti senti di dare a chi vuole apprendere di più sull’economia di genere per avere una maggiore autonomia, anche rispetto alle tante donne vittime di violenza economica…
“In generale, non dobbiamo avere paura di chiedere aiuto. Ci sono tanti strumenti gratuiti anche online per entrare in contatto con la dimensione del denaro come la Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio (FEduF): strumenti di conoscenza gratis, come molti divulgatori online che fanno un ottimo lavoro. Per le donne che cercano di uscire da percorsi di violenza economica e non, ricordo a tutte che non sono sole. Ci sono enti o realtà che ti aiutano a rimetterti in piedi, a trovare un lavoro. Con Fondazione Banca Etica, abbiamo realizzato il progetto Monetine: ci siamo rivolte alle operatrici e donne dei centri antiviolenza per dare una base economico-finanziaria. L’unico modo per mantenersi indipendenti è lavorare e gestire il proprio stipendio. Spero ci siano sempre più uomini alleati che non abbiano paura di abbandonare lo stereotipo di virilità”.
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