Tabù, povertà e ignoranza: quando le mestruazioni bloccano l’empowerment femminile
- 06/02/2024
- Mondo
Si scrive ‘Period Poverty (povertà mestruale)’ ma si legge ‘ostacolo all’empowerment femminile’. Non è colpa della biologia, ma della povertà, dei tabù e dell’ignoranza. Non sono le mestruazioni in sé il problema, ma la miseria e l’arretratezza sociale e culturale.
“Non toccare le piante”, “Non girare il sugo”, “Non fare sport!”. Queste e altre amenità una ragazza se le è sentite e se le sente dire non appena arriva la prima mestruazione, probabilmente ancora oggi, probabilmente anche nella civilizzata Italia. Pregiudizi atavici che avvolgono un fenomeno fisiologico ma fin dalla notte dei tempi circondato da mistero, sospetto e paura, e che non consentono nemmeno oggi di vivere serenamente ‘quei giorni’, schiacciate tra il dovere di essere comunque performanti e l’essere viste come delle appestate.
Ancora peggio, pregiudizi e povertà sono il mix ‘perfetto’ che porta all’esclusione sociale, specialmente (ma non solo) le donne e le ragazze nei Paesi in via di sviluppo, dove le mestruazioni sono spesso sinonimo di imbarazzo, problemi di gestione, ostacolo alla vita quotidiana e alle opportunità economiche e sociali.
Suona esagerato? Ebbene non lo è: per dirne una, in India e in Nepal vige ancora oggi la pratica di allontanare fisicamente donne e ragazze nei giorni delle mestruazioni, in quanto considerate ‘impure’, e di relegarle per cinque o più giorni ai margini dei villaggi in ‘capanne mestruali’. Per capanne si intendono ripari di fango, senza finestre e senza nulla, nemmeno l’acqua. Luoghi dove queste donne rischiano la morte per asfissia, freddo o attacchi di animali selvaggi. E’ già successo.
Questo è un esempio estremo di una situazione di discriminazioni e disagio che però è molto più ampia, capillare e pervasiva, e che impatta sulla vita e l’emancipazione di donne e ragazze in tutto il mondo, compreso quello cosiddetto ‘civilizzato’.
Cos’è la ‘Povertà mestruale’
‘Povertà mestruale’ significa non avere accesso al materiale sanitario, all’acqua e alle strutture igieniche (il cosiddetto ‘WASH’ – acqua, servizi igienico-sanitari e salute), o perché non ce li si può permettere o perché non ci sono. Significa quindi non poter usare materiali assorbenti puliti, non potersi cambiare in privato quando necessario, non potersi lavare e non avere modo di smaltire in modo corretto i prodotti usati. A monte, significa non ottenere le informazioni di base sul ciclo mestruale e su come per gestirlo con dignità, senza disagi o paure.
Nel concreto, molte donne e ragazze nei Paesi più poveri per gestire le mestruazioni sono costrette a usare vecchi panni, pezzi di coperte, piume di pollo, fango e giornali, assorbenti usa e getta usati oppure assorbenti riutilizzabili. Ancora: per ottenere materiali sanitari devono accettare di avere rapporti sessuali con qualcuno che possa comprarne e dunque fornirglieli. Sesso in cambio di assorbenti, insomma.
L’impatto della ‘Povertà mestruale’
La Period Poverty, e dunque una cattiva gestione della salute mestruale (MHM, Menstrual Hygiene Management), impatta in vari modi sull’emancipazione delle donne, come messo in luce da uno studio di Kerina Tull dell’University of Leeds Nuffield – Centre for International Health and Development (Regno Unito), dal titolo ‘Period Poverty impact on the economic empowerment of women’:
• WASH: la povertà mestruale influenza la possibilità di accedere ad acqua e servizi igienico-sanitari adeguati, aspetto che aumenta la vulnerabilità, l’ansia e il disagio di donne e ragazze.
• Salute sessuale e riproduttiva: la fornitura di materiali sanitari è stata associata a un minor rischio di malattie sessualmente trasmissibili, probabilmente perché rende meno necessario il ricorso al sesso per ottenere prodotti igienici.
• Salute: senza accesso a una gestione ottimale del ciclo, le donne e le ragazze mangiano e bevono di meno, o attuano comportamenti pericolosi. Ad esempio usare materiali di fortuna espone a un maggio rischio di infezioni. Inoltre, peggiora l’autostima e il senso di controllo.
• Istruzione: una scarsa MHM porta a saltare la scuola e in molti casi anche a lasciarla, il che ha delle ripercussioni sull’istruzione delle ragazze e sulle opportunità a cui avranno accesso nella propria vita. Non solo: se le giovani non vanno a scuola, è più probabile che siano costrette a matrimoni precoci o gravidanze durante l’adolescenza. Viceversa, le ragazze istruite hanno maggiori probabilità di ritardare il primo rapporto sessuale, hanno meno partner, usano contraccettivi e hanno meno probabilità di contrarre l’infezione da Hiv. Si tratta di una questione che riguarda tutti: secondo la Banca mondiale, per ogni aumento dell’1% della percentuale di donne con istruzione secondaria, il reddito annuo pro capite di un Paese (di tutto il Paese, non solo della parte femminile) aumenta dello 0,3%.
• Economia: una gestione inadeguata delle mestruazioni porta anche all’esclusione da attività religiose e altre attività sociali, a qualsiasi interazione con gli uomini, o semplicemente al poter uscire di casa. Molte donne si assentano dal lavoro vista l’impossibilità di gestire adeguatamente i giorni delle mestruazioni, e ciò comporta conseguenze economiche.
La period poverty riguarda anche i Paesi ricchi
La povertà mestruale non risparmia i Paesi con redditi alti. Negli Stati Uniti ad esempio su assorbenti e tamponi si paga una tassa sul consumo (come la nostra Iva), mentre sul Viagra, sulle cure per la calvizie e addirittura sulle patatine no. In Ue “la povertà mestruale rappresenta un problema costante”, come sottolineava un’interrogazione parlamentare europea del 2020 aggiungendo che “si stima che attualmente una ragazza su 10 non possa permettersi prodotti sanitari”.
Il Parlamento Europeo già nel 2019 aveva invitato tutti gli Stati membri a eliminare la ‘tampon tax‘, considerando i prodotti igienici ‘beni di prima necessità’ e dunque da tassare con un’aliquota Iva pari allo 0% o prevedendo esenzioni. Non tutti i Paesi si sono adeguati. Spiccano la Scozia (uscita dall’Ue a causa della Brexit) che nel 2020 ha reso gratuiti assorbenti e tamponi, e la Spagna che nel 2023 ha approvato la ‘Ley trans’; una legge che, oltre a introdurre il congedo mestruale retribuito, prevede l’offerta gratuita di prodotti mestruali nelle scuole superiori e nelle carceri.
Per quanto riguarda l’Italia, non ci sono statistiche sulla povertà mestruale, ma l’Istat ci dice che 2 milioni 277mila donne sono indigenti, quindi è facile pensare che moltissime abbiano anche problemi ad accedere al necessario per gestire al meglio il proprio ciclo.
Sul tema siamo molto arretrati, ma il governo Meloni a onor del vero ha previsto nel 2022 l’abbassamento dell’Iva dal 22% al 5% sui prodotti sanitari, in linea con altri Paesi europei. La Legge di Bilancio 2024 però è tornata parzialmente indietro, prevedendo un rialzo al 10%. Anche se la situazione rimane a un livello migliore rispetto alla quella di partenza, il nuovo aumento ha generato una serie di polemiche e critiche.
La povertà mestruale contribuisce all’iniquità di genere
Le cause della Period Poverty stanno tutte nella situazione di indigenza in cui versano le donne, e nello stigma mestruale che, anche se diverso da luogo a luogo, è sempre presente, in modo aperto o strisciante: in entrambi i casi, le conseguenze sono la discriminazione. In sintesi, una MHM scadente contribuisce all’iniquità di genere.
Per il Water Supply and Sanitation Collaborative Council delle Nazioni Unite (chiuso alla fine del 2020), ignorare le esigenze di igiene mestruale di una donna è una violazione dei suoi diritti. Nello specifico, il diritto alla dignità umana, all’uguaglianza, all’integrità fisica, alla salute, alla privacy, alla libertà da trattamenti inumani e degradanti derivanti da abusi e violenze.
Lo stigma sociale va di pari passo con l’ignoranza e i pregiudizi ben radicati nelle società, e infine con la mancanza di informazione: non solo gli uomini, ma anche molte donne non conoscono il funzionamento del ciclo femminile, tanto che spesso sono esse stesse prigioniere dei tabù, delle credenze e delle restrizioni, finendo per perpetuarli.
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