Perché i sussidi alle famiglie non incentivano la natalità?
Siamo sicuri che i sussidi alle famiglie siano sufficienti per aumentare le nascite nei Paesi in “crisi denatalità”? Parliamo di Stati a medio e alto reddito che stanno vivendo dei tassi di natalità molto bassi e che cercano di invertire la rotta con proposte economiche a sostegno delle donne.
L’ultima iniziativa, a firma italiana, era quella di elargire mille euro al mese per cinque anni dalla nascita di un figlio. Ma l’esempio lampante di quanto l’aumento dei sostegni economici non comporti direttamente l’aumento delle nascite si è avuto in Ungheria sotto il governo di Viktor Orbán. Il presidente che sostiene la famiglia “tradizionale” ha realizzato un piano pro-natalità tra i più generosi al mondo.
Eppure, pare non abbia incentivato le nascite nel Paese. Questi aiuti includono agevolazioni fiscali che aumentano con il numero di figli (le madri di quattro o più figli non pagano l’imposta sul reddito delle persone fisiche) e altre indennità su case e vetture.
La spesa totale per i sussidi familiari supera il 5% del PIL, ovvero più del doppio di quanto l’Ungheria spende per la difesa e la sicurezza. Il Paese si è così classificato tra quelli che hanno maggiormente investito in questo progetto. Ma perché non ha ottenuto il risultato sperato?
Sussidi e natalità: il “caso Ungheria”
La maggior parte dei Paesi a medio e alto reddito stanno cercando di incentivare la tendenza del calo delle nascite con più o meno contributi di vario genere. Il Primo Ministro di Singapore, Lawrence Wong, ad esempio, ha annunciato un’estensione di 10 settimane del congedo parentale obbligatorio, finanziato dal governo, durante il suo primo National Day Rally. Wong ha sottolineato l’importanza di un cambiamento di mentalità, invitando i padri a condividere maggiormente le responsabilità familiari per sostenere le madri e aumentare il tasso di natalità del Paese.
La motivazione risiede nel fatto che la denatalità pone sfide al welfare statale e privato, così come alla tenuta economica di un Paese: ne minaccia l’economia, il lavoro e la sanità, complice anche una longevità in aumento. I sussidi ungheresi, per questo motivo, hanno attirato l’attenzione mondiale.
In Ungheria si è passati da un minimo storico di 1,23 figli per donna nel 2011, ad un aumento del tasso di fertilità pari a 1,59 nel 2020. Negli ultimi anni si è stabilizzato a circa 1,5 e nella prima metà di quest’anno si è attestato a 1,36 figli per donna, il più basso in un decennio, ha spiegato il servizio statistico statale KSH. A giugno, le nascite sono scese al minimo mensile di appena 6mila bambini su 10 milioni di abitanti del Paese, ovvero circa la metà del livello di nascite vive registrato in Ungheria una generazione fa, secondo i dati KSH.
Per i ricercatori, uno dei motivi per cui queste misure non sono riuscite a produrre un aumento più significativo è che non erano mirate alle persone in difficoltà finanziarie. Balázs Kapitány, demografo presso l’ufficio statistico statale, ha dichiarato in una conferenza di giugno che analizzando migliaia di beneficiari si può notare come i sussidi abbiano aumentato il divario tra le famiglie più povere e quelle più abbienti. “Questi programmi di sostegno hanno rimodellato l’intero sistema di sussidi familiari, che ora si rivolge alle persone più abbienti e aumenta la disuguaglianza, il che è probabilmente una prima mondiale tra tali programmi- riporta il Financial Times -. Questo è probabilmente un effetto collaterale, non l’intento originale [ma] una ridistribuzione perversa”.
Natalità, tra speranza e realtà
Orbán ha fatto del tasso di natalità un pilastro della sua programmazione politica. L’anno scorso il suo capo dello staff ha sottolineato come i 160.000 bambini nati tra il 2011 e il 2021 siano il “frutto” del programma di incentivi. Incentivi che, dal 2019 ad oggi, sono costati più di 10 miliardi di euro.
Come sottolineato da un’analisi del The Economist negli scorsi mesi, anche altri Paesi che avrebbero speso denaro e risorse nel progetto natalità, non avrebbero ottenuto i risultati sperati. Secondo gli analisti, tra le cause del calo nascite non ci sono solo fattori economici, ma una errata visione del ruolo delle donne-madri, la mancanza di un work life balance tra lavoro e famiglia, una considerazione della figura del padre limitata e sminuita rispetto a quella della madre. Le conseguenze? Fuga di cervelli, ricerca di un progetto familiari in Paesi con redditi più alti e sussidi (non solo economici) specifici per le coppie e continua curva discendente nel grafico delle nascite.
A livello globale, i tassi di fertilità sono scesi da 5,3 figli per donna negli anni ’60 a 2,3; più della metà di tutti i paesi ha ora tassi di fertilità inferiori a 2,1 nascite per donna, numero che corrisponde al livello richiesto per mantenere una dimensione della popolazione costante senza migrazione, secondo i dati delle Nazioni Unite.
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