Cosa pensano gli italiani del congedo di paternità?
Il dibattito sul congedo di paternità è sempre più acceso in Italia, e uno studio condotto dall’Osservatorio D in occasione della Festa del Papà ha gettato luce su ciò che gli italiani realmente pensano di questa importante opportunità per i neo-padri.
Secondo l’indagine condotta da Valore D e SWG, il 76% degli uomini e il 72% delle donne sono a conoscenza del congedo di paternità obbligatorio, che attualmente consiste in 10 giorni retribuiti, fruibili nell’arco temporale che va dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto ai 5 successivi. Tuttavia, solo una piccola percentuale di loro, il 13% (e il 14% delle donne), è a conoscenza dei dettagli specifici di questa normativa.
Congedo di paternità, “10 giorni non bastano”
La voce degli uomini si fa sentire in modo chiaro: 3 uomini su 5 che non hanno ancora figli ritengono che un congedo di 10 giorni non sia sufficiente. La richiesta più comune è quella di estendere il periodo di congedo da 1 a 3 mesi, desiderando così essere più presenti durante i primi momenti cruciali della vita del bambino.
Sette persone su dieci, soprattutto coloro con un background accademico e appartenenti al ceto sociale medio-alto, sono concordi sul fatto che il congedo di paternità costituisca un progresso culturale positivo verso una maggiore parità di genere, promuovendo un equilibrio più equo nei compiti di cura.
‘Mammo’ sdoganato
Il congedo di paternità non è solo una questione economica o legale, ma una possibilità per i nuovi padri di stabilire un legame significativo con i loro figli. Questo è particolarmente importante per il 79% degli uomini e l’81% delle donne, che considerano questo congedo come un elemento positivo per l’equilibrio e il benessere della vita familiare.
Sebbene la tendenza verso un coinvolgimento maggiore dei padri nella cura dei figli sia in aumento, ci sono anche timori legati alla carriera (36%) e al bilancio familiare (24%), soprattutto tra gli uomini, ed esiste ancora una resistenza culturale. Il 22% dell’opinione pubblica ritiene che il congedo di paternità debba essere limitato, poiché la cura del neonato è vista come una competenza esclusiva delle madri nei primi mesi di vita.
È soprattutto tra i giovani e le donne che si è registrato un cambiamento nel ruolo tradizionale del padre, con il 67% delle donne e il 60% degli uomini (e un picco del 67% nella fascia di età 18-34) che considera importante incentivare questa nuova dinamica. Questo comportamento non solo promuove una maggiore responsabilizzazione dei padri nella cura dei figli, ma favorisce anche lo sviluppo di un legame più profondo con la figura paterna.
Il ruolo delle aziende e del legislatore
Lo studio di Valore D evidenzia con ottimismo la crescente volontà dei padri di partecipare attivamente alla vita familiare durante i momenti cruciali come la nascita dei figli, e mette in luce anche la necessità di un cambiamento culturale più ampio. “C’è ancora molto da fare dal punto di vista culturale per scardinare quei timori che vedono nel congedo di paternità e di maternità un freno alla carriera”, osserva Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D.
Per superare questo ostacolo, è fondamentale un intervento sia legislativo che aziendale. “il legislatore può fare molto prevedendo un’equiparazione dei congedi genitoriali, ma fino ad allora le aziende possono attivare policy che promuovono la genitorialità condivisa”. Valore D ha sempre sostenuto una distribuzione equa dei compiti di cura e molte aziende partner prevedono già congedi di paternità da 1 a 3 mesi, con alcune che arrivano anche a congedi paritari. Inoltre, numerose aziende offrono forme avanzate di smart-working e supporto psicologico per aiutare i neo-genitori a bilanciare lavoro e vita familiare in modo efficace e senza stress.”
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