Sempre più papà casalinghi, la rivoluzione culturale parte dai giovani
- 19/03/2024
- Popolazione
La mamma che va al lavoro e “porta il pane a casa” e il papà che a casa ci resta per occuparsi delle faccende domestiche e dei figli. Se fino a un decennio fa questa immagine era fantasia, oggi inizia a vedersi in qualche casa, anche se molto timidamente.
Nel contesto familiare moderno, infatti, sempre più padri cucinano, si occupano dei figli e li portano dal pediatra, ma il concetto di “padre di famiglia” e “capofamiglia” è duro da scalfire.
Un’analisi condotta nel 2023 dal Pew Research Center sui dati dell’U.s. Census Bureau ha rilevato che gli stay-at-home dad (i papà casalinghi) sono saliti dal 4% del totale del 1989 al 7% del 2021. Il divario con le donne, tuttavia, è ancora ampio: secondo i dati del report, aggiornati al 2021, i genitori casalinghi sono uomini solo nel 18% dei casi. In pratica, quasi uno ogni cinque, anche se verosimilmente questa percentuale è aumentata negli ultimi anni ancora non censiti.
E in Italia? I dati più aggiornati dell’Istat sui papà casalinghi risalgono al 2016, quando si registravano 200.000 stay-at-home-dad. In questi anni, però, tante cose sono cambiate, come ampiamente dimostrato dall’analisi di Save The Children, dove emerge che tra il 2013 e il 2022 il tasso di congedo di paternità in Italia è più che triplicato
Le dimissioni specchio del gender gap
Come sottolineato dalla Ong, tuttavia, c’è ancora molta distanza tra uomo e donna nella distribuzione delle mansioni domestiche, cura dei figli inclusa. I dati sulle dimissioni volontarie in Italia certificano il gap. Nel 2022 il numero di dimissioni validate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha registrato un aumento del 17,1% rispetto all’anno precedente, raggiungendo le 61.391 unità. Le dimissioni, però, sono arrivate dalle donne nel 72,8% dei casi, principalmente per l’esigenza di conciliare la vita privata e il lavoro. O meglio, perché spesso conciliarle è impossibile, in assenza di un adeguato sistema di welfare statale e aziendale.
Nel 63% dei casi, infatti, le mamme citano le difficoltà nel bilanciare l’impiego con il lavoro di cura come motivo principale per le dimissioni, una motivazione che tocca solo il 7,1% delle dimissioni dei papà. Praticamente, in Italia una donna su cinque lascia il lavoro dopo aver avuto il primo figlio.
Al contrario, per gli uomini, il motivo principale è il passaggio a un’altra azienda (78,9%), una ragione che è meno comune tra le donne (24%). La maggior parte dei destinatari delle dimissioni, pari a 48.768 (il 79,4% del totale), rientra nella fascia di età compresa tra i 29 e i 44 anni, la fascia in cui si fanno più figli.
Gli ostacoli al coinvolgimento dei papà
La ricerca condotta da Pew Research Center dimostra che la situazione attuale non può essere paragonata a quella dei decenni precedenti. I padri di oggi sono certamente più presenti rispetto al passato, spinti sia dal desiderio personale che dalle richieste delle madri, oltre che dalla necessità pratica quando entrambi i genitori lavorano. Tuttavia, questo progresso si scontra con una serie di ostacoli economici e normativi che non solo disincentivano la genitorialità ma contribuiscono anche a mantenere vivo il divario di genere.
Un concetto ancora radicato è quello secondo cui la cura dei bambini, soprattutto nei primi anni, debba essere principalmente responsabilità delle donne. Infatti, le donne italiane sono le più coinvolte nel lavoro non retribuito, dedicando in media 5 ore al giorno alla cura della casa e dei figli, rispetto alle 2 ore degli uomini.
Il divario si riduce quando entrambi i genitori lavorano e tende a diminuire ulteriormente nelle coppie più giovani, un dato che dimostra la rivoluzione culturale in atto nella società. Il cambiamento non riguarda solo l’Italia, ma tutto l’Occidente. In particolare, la cultura europea sta facendo passi avanti nella distribuzione delle mansioni tra uomo e donna, come dimostra un’indagine del 2022 svolta da Eige (The European Institute for Gender Equality).
L’86% dei papà europei, spiega la ricerca, fornisce assistenza o cura ai propri figli di età inferiore ai 25 anni almeno quattro volte, una percentuale non molto distante dal 91% registrato tra le mamme. I dati sono confortanti se rapportati all’indagine 2019 dove il lavoro di assistenza non retribuito risultava svolto dal 92% donne contro il 68% degli uomini.
Se si scende nel dettaglio, però, la distribuzione diventa meno equilibrata, perché le mansioni più impegnative restano ancora a carico delle donne. Attività come il bagnetto, l’alimentazione e il fatidico cambio dei pannolini sono svolte molto più spesso dalle donne: il 49% delle donne che vive con un partner riferisce di assumersi la responsabilità primaria di queste attività essenziali, rispetto a un misero 6% degli uomini. Importanti differenze emergono anche per quanto riguarda l’assistenza con i compiti a casa, la gestione/organizzazione delle attività, la supervisione e il supporto emotivo.
Non solo: il background culturale tende a dare per scontata questa distinzione di mansioni e l’Eige sottolinea come una disparità nella percezione dei compiti di assistenza all’infanzia potrebbe far sembrare alle donne che i loro sforzi passino inosservati. Questa situazione può avere effetti negativi sia a livello personale che in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata.
Bisogna poi considerare che a livello globale, i lavori di casa svolti da tante donne e madri non vengono praticamente mai retribuiti, dinamica che contribuisce ad aumentare il gender gap e la dipendenza economica delle donne. La cultura del “padre famiglia”, inoltre, penalizza le donne anche nell’ambito della formazione finanziaria: si tende a pensare che ogni aspetto relativo alla produzione dei redditi, tramite il lavoro o tramite gli investimenti, sia una prerogativa tipica degli uomini, come evidenzia un’indagine condotta da Bankitalia nel primo semestre del 2023.
Verso una nuova società
I giovani, come si è detto, si stanno facendo portatori di un nuovo equilibrio tra uomo e donna, papà e mamma. Da un punto di visto demografico, abbattere il gender gap nella società, in famiglia, e al lavoro è un percorso lungo, ma che genera i suoi frutti e sostiene la natalità, gravemente malata in Occidente. Un percorso a cui vogliono prendere parte anche gli uomini, come dimostra una ricerca svolta da Manageritalia e Ipsos sui papà manager under 45 italiani. Dall’indagine è emerso che l’85% dei mille papà-manager intervistati vuole l’applicazione del congedo parentale obbligatorio, in modo da poter crescere i figli accanto alle proprie mogli.
Il welfare pubblico e quello aziendale ricoprono un ruolo chiave nel favorire gli equilibri vita privata-lavoro e uomo-donna. In questa direzione va il piano di Novartis che, tra le varie misure, ha deciso di riconoscere 20 settimane retribuite pienamente in caso di nascita di un figlio anche per i neopapà.
Sui social, infine, sempre più content creator denunciano come il loro ruolo di padre sia ampiamente sminuito dalla società e dal contesto lavorativo, in linea con un background culturale che, anche a colpi di contenuti multimediali, si sta provando a sconfiggere. Iconica, infine, la frase che accompagna le foto di uomini che accudiscono i propri figli: “questo non è un papà che aiuta la mamma. È semplicemente un papà”. Parole chiare per una società che ha fame di cambiamento.
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