Quota 103, presidente Inps spiega perché è stata un flop
- 19/11/2024
- Welfare
Quota 103 è ufficialmente un flop. A confermarlo è stato lo stesso presidente dell’Inps, Gabriele Fava, che, durante un’audizione sulla Manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha certificato il fallimento di questa forma di pensionamento anticipato con appena 1.600 richieste presentate. L’insuccesso è stato attribuito a una combinazione di fattori strutturali che hanno scoraggiato i lavoratori a richiedere Quota 103.
Come funziona Quota 103
In Italia, si va in pensione a 67 anni di età anagrafica con almeno 20 di contributi. A questo canale standard si aggiungono diverse forme di pensionamento anticipato, tra cui Quota 103 che consente il pensionamento a 62 anni di età con 41 anni di contributi, ma impone un limite all’importo dell’assegno che può essere massimo quattro volte l’importo minimo (nel 2004 pari a €598,61), fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia, ovvero i 67 anni.
Il tetto da solo non spiega il flop di Quota 103, anche perché la stragrande maggioranza dei pensionati non arriva a €2.394,44 (importo pensionistico minimo moltiplicato per quattro). Il fallimento di questa misura è ancora più lampante se si considera che molti lavoratori italiani ricorrono alla pensione anticipata, tanto che l’età media in cui si va in pensione in Italia è 64,2 anni, quasi tre in meno dell’età anagrafica richiesta dal pensionamento ordinario.
Alla base del flop di Quota 103 c’è anche il calcolo completamente contributivo che viene applicato per decretare l’importo dell’assegno pensionistico. Come spiegato dal presidente Fava, “Anticipare il pensionamento non conviene per via dei coefficienti di trasformazione in rendita del montante, che penalizzano chi lascia il lavoro in anticipo”. In altre parole, chi va in pensione anticipatamente subisce una doppia penalizzazione:
- Minori contributi versati nell’arco della carriera;
- Coefficienti di trasformazione più bassi, che riducono l’importo dell’assegno pensionistico.
Con Quota 103 i coefficienti di trasformazione sono più favorevoli per chi va in pensione più tardi, perché calcolati su una aspettativa di vita più breve. In pratica, lasciare il lavoro in anticipo significa ricevere un assegno previdenziale molto inferiore rispetto a chi rimane in attività alcuni anni in più. Questa dinamica sarà sempre più frequente anche al di fuori di Quota 103 perché l’esecutivo sta gradualmente disincentivando l’uscita anticipata dal lavoro per tamponare gli effetti della crisi demografica, che svuota le aziende e mortifica l’economia.
Non sorprende quindi che, a fronte di una stima iniziale di 50.000 adesioni prevista dal leader della Lega, Matteo Salvini, i numeri reali siano significativamente inferiori.
Scarsa integrazione con la previdenza complementare
Quota 103 è stata introdotta con grande enfasi politica nel 2019 e più volte modificata. Il vicepremier Salvini ha richiesto e ottenuto un investimento di 149 milioni di euro nella legge di Bilancio 2023. Tuttavia, fin dai primi giorni di applicazione, la misura ha mostrato segni di scarsa efficacia. Secondo il presidente Fava, c’è anche un terzo elemento che ha disincentivato l’adozione di Quota 103, ovvero la scarsa integrazione con forme di previdenza complementare, pur incentivata dalla misura.
“La possibilità di utilizzare le rendite della previdenza complementare per raggiungere la soglia di pensione prevista è un aspetto positivo,” ha dichiarato il Fava, sottolineando come questa soluzione possa attrarre soprattutto i più giovani, ma solo in teoria. Nella pratica, la maggior parte dei lavoratori che già aderisce a fondi pensione integrativi riesce comunque a raggiungere una pensione adeguata e raggiungono agevolmente i requisiti di pensionamento. Per questo, l’integrazione con la previdenza complementare non rappresenta un vantaggio decisivo per Quota 103.
Chi è già iscritto a fondi complementari non trova particolari vantaggi nell’utilizzare Quota 103, mentre per i giovani l’attrattiva rimane marginale, motivo per cui, sostiene Fava, il numero di lavoratori interessati a Quota 103 continuerà a essere “molto contenuto”.
Il presidente dell’Inps ha sottolineato come incentivare la previdenza complementare sia comunque una scelta sana per il welfare del Paese.
Per aumentare l’interesse verso Quota 103, Fava ha suggerito un correttivo: permettere l’accesso anticipato alla pensione di vecchiaia a partire dai 64 anni, con almeno 20 anni di contributi, utilizzando le rendite della previdenza complementare. Questo approccio potrebbe rendere la misura più accessibile, mantenendo al contempo un equilibrio attuariale tra contributi versati e prestazioni erogate.
Il flop di Quota 103 riflette le difficoltà del sistema pensionistico italiano nell’adattarsi ai cambiamenti demografici. Con un’età media della popolazione in costante aumento e una forza lavoro sempre più anziana, il sistema previdenziale deve bilanciare sostenibilità finanziaria ed equità sociale.
Il fallimento di Quota 103 sottolinea anche la necessità di evitare misure temporanee e scarsamente efficaci, in favore di interventi strutturali più incisivi. In attesa, cioè, della tanto agognata riforma delle pensioni.
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