Michela, la gravidanza e il lavoro: “Incompresa, emarginata e colpevole”
- 04/01/2024
- Welfare
Diventare mamma vuol dire anche sapersi reinventare. A sostenerlo con forza e coraggio è Michela, giovane donna che nel mondo lavorativo ha dovuto pagare caro il suo desiderio di avere un figlio.
A raccontare la sua storia è Promama, una startup che si impegna a supporto delle famiglie e delle neomamme e che dopo pochi mesi dalla sua nascita possiede già una nutrita community di oltre 2mila utenti. Promama mette in contatto le mamme in carriera ed i genitori di oggi e di domani con aziende family friendly con lo scopo di facilitare la professionalizzazione di chi sceglie di avere un figlio, senza però voler rinunciare alla propria carriera.
La storia di una neomamma
“Da diversi mesi io e mio marito cercavamo di avere un figlio – ha raccontato Michela, Sales account -. A lavoro, le colleghe conoscevano il mio desiderio di diventare mamma, mi supportavano e mi incoraggiavano a pensare positivo perché “il momento giusto arriverà quando meno te l’aspetti!” E così è stato, un pomeriggio di giugno ho fatto il test… Che emozione! Non potevo crederci, non vedevo l’ora di condividere la mia gioia anche con loro. Mi aspettavo affetto e accoglienza, ma le cose andarono un po’ diversamente”.
Secondo quanto racconta la donna, il suo ginecologo, conoscendo la storia medica e la tipologia di lavoro svolto, chiese subito una maternità anticipata. Chi lavora nel commercio a diretto contatto con i clienti sa che il periodo estivo è tra quelli con ritmi più serrati, anche a causa delle richieste di ferie e della presenza di saldi.
Il senso di colpa
“La prima reazione fu il timore di non avere vita facile in negozio con una risorsa in meno – ha continuato Michela -. E la paura di vedere il proprio “privilegio” di ferie estive minacciato dalla mia assenza. Rimasi molto male: mi sentivo incompresa, emarginata, colpevole. Eh sì, per settimane mi sentii in colpa per essere rimasta incinta in un periodo così delicato per il business. Poi per fortuna, grazie alla mia famiglia e agli amici che mi sono stati vicini, ho capito che il problema non ero io ma il contesto organizzativo in cui mi trovavo”.
La condizione di Michela è quella di numerose donne in Italia. Una su cinque è costretta a lasciare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla maternità. In molti casi non ricevono il supporto sperato e dovuto da parte delle aziende, anche piccole realtà a volte, per cui lavorano. Le dimissioni, molto frequenti nei primi tre anni di vita dopo la nascita del bambino, sono spesso motivate proprio con l’inconciliabilità tra vita lavorativa e privata.
“Il problema che spesso si presenta tra colleghe e colleghi è proprio legato alle difficoltà di copertura di turni lunghi, poco compatibili con la vita familiare e, in generale, con il proprio life balance. Ad esempio – ha proposto Michela -, nelle situazioni di sostituzione maternità, l’ideale sarebbe avere un bacino di risorse già pronte e disponibili a lavorare per poter lavorare tutti serenamente, senza emergenze e casi limite di settimane senza riposi o fatte di ore di straordinario quasi dovute”.
I servizi a supporto delle famiglie
Negli ultimi anni, le aziende hanno dimostrato di essere più attente alle realtà genitoriali, ma mancano i supporti e i benefit da un lato, quello aziendale e dall’altro, quelli destinati alle neomamme.
“Nel frattempo, la situazione nel negozio dove lavoro si è evoluta in poco tempo: a luglio il negozio ha chiuso – ha continuato Michela -. Non so ancora dove mi porterà il mio futuro professionale, questa esperienza però mi sta aiutando a pensare a nuovi possibili scenari: ho ricominciato a dedicarmi alle passioni che avevo lasciato un po’ accantonate, mi iscriverò ad un corso professionalizzante per ampliare le mie competenze e poi staremo a vedere. Diventare mamma vuol dire anche sapersi reinventare”.
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