Congedo parentale all’80% solo per i papà, la proposta dell’Inps per una nuova parità
- 07/11/2024
- Welfare
Innalzare dal 30% all’80% della retribuzione l’indennità per il terzo mese di congedo parentale, ma solo per i papà. È questa è la proposta avanzata dal presidente dell’Inps Gabriele Fava in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato per la Legge di bilancio. La proposta mira a favorire una ripartizione più equa delle responsabilità genitoriali, che in Italia sono ancora fortemente sbilanciate sulle madri, che usufruiscono del congedo spesso per periodi più lunghi dei padri e con pesanti ricadute sulle loro carriere.
Perché il congedo riservato ai papà? Le radici della disparità
I numeri parlano chiaro. In Italia, dopo la nascita del primo figlio la probabilità che una madre lasci il settore privato aumenta al 18%, un tasso significativamente superiore rispetto all’11% degli anni precedenti alla maternità. Invece, per i padri, il rischio di abbandono del posto di lavoro rimane pressoché invariato. Questo quando va bene. Quando va male, il che non è raro, le neomamme sono costrette a dimettersi, a sostituire il loro lavoro con uno completamente diverso e non retribuito mentre la loro carriera si arena. Ancora una volta, parlano i dati: secondo il report Save the Children ‘Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024’, nel nostro Paese una lavoratrice su cinque rinuncia al lavoro dopo la maternità e il 72,8% delle dimissioni dei neogenitori proviene dalle mamme.
Il Rapporto evidenzia inoltre che in Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali. La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello europeo pari a 9,4 punti percentuali.
Una nuova visione del congedo parentale: incentivare la partecipazione maschile
La proposta dell’Inps di riservare l’indennità maggiorata all’80% ai padri mira a ridurre questo squilibrio. La Manovra finanziaria 2024 ha mirato allo stesso obiettivo, cambiando le norme sul congedo parentale. L’indennità del secondo mese è stata portata dal 30% al 60%, che diventa 80% solo per il 2024. La scorsa legge di Bilancio ha previsto un indennizzo dell’80% della retribuzione per i primi due mesi di congedo parentale, anche se punto occorre fare delle precisazioni. In quest’anno che ormai volge al termine, l’indennità per il primo mese è salita dal 60% all’80% mentre quella del secondo mese è rimasta all’80% solo per le famiglie che hanno terminato o termineranno il congedo obbligatorio entro quest’anno.
In pratica, la Manovra 2024 ha aggiunto un’indennità pari all’80% della retribuzione per un mese entro il sesto anno di vita del bambino per i lavoratori dipendenti che terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2023. L’attuale disciplina del congedo parentale concede a ciascun genitore dipendente la possibilità di prendersi fino a dieci mesi di congedo retribuito (con l’indennità all’80% limitata a una mensilità), da fruire nei primi 12 anni di vita del figlio.
Tuttavia, nonostante le disposizioni legislative che incentivano l’uso condiviso del congedo, sono soprattutto le madri a richiedere il congedo e a usufruirne per periodi più estesi. Una circostanza che cozza persino con l’obiettivo del congedo parentale, come ha spiegato il direttore centrale Studi e Ricerche dell’Inps Gianfranco Santoro: “Se il fine del congedo parentale è quello di favorire l’occupazione femminile, lo si riservi al padre”. Assegnare un’indennità elevata esclusivamente ai padri rappresenterebbe un incentivo concreto a modificare il contesto attuale: non solo permetterebbe ai padri di sentirsi legittimati nel prendere tempo dal lavoro per accudire i figli, ma potrebbe contribuire a un cambio di prospettiva collettiva, in cui il ruolo paterno di cura viene normalizzato e valorizzato anche sul piano professionale.
Sono gli stessi papà a chiedere più congedi parentali per la nascita dei propri figli, in modo da poter condividere i primi attimi della loro vita e distribuire in maniera equilibrata i compiti con la partner. Insomma, la proposta di riservare il terzo mese di congedo parentale ai padri è al passo con i tempi e risponde all’esigenza di “non lasciare le donne troppo lontane dal mercato del lavoro, favorendone un loro rientro, senza pregiudicarne lo sviluppo professionale e economico”, ha spiegato ancora Santoro aggiungendo che “Sommare tre mesi di congedo parentale ai cinque mesi di congedo obbligatorio significa allontanare le madri dal mondo del lavoro”.
Dimissioni e difficoltà di conciliazione: una questione ancora femminile
L’impatto della maternità sulle carriere femminili è confermato anche dai numeri delle dimissioni volontarie. Nel 2022, ben 61.391 genitori con figli piccoli hanno lasciato il lavoro volontariamente, con una netta prevalenza di donne (72,8%). Le ragioni più comuni? La difficoltà nel conciliare lavoro e cura (41,7%) e le problematiche organizzative (21,9%). La mancanza di servizi di assistenza adeguati e un contesto lavorativo spesso poco flessibile continuano a rappresentare un grande ostacolo per le madri italiane, troppe volte costrette a rinunciare alla carriera per far fronte agli impegni familiari. Una situazione iniqua che dal privato ricade sul pubblico, aggravando la crisi demografica del Paese.
Il modello dei Paesi nordici
La proposta dell’Inps si ispira anche a modelli europei, in particolare a quelli dei paesi nordici, dove i congedi riservati ai padri hanno avuto un impatto significativo sull’equilibrio di genere. In Svezia, ad esempio, una parte del congedo parentale è riservata esclusivamente ai padri: se non viene utilizzata, va persa. Questo approccio ha contribuito a modificare le dinamiche familiari, riducendo le disparità di genere nel mercato del lavoro e creando una cultura in cui entrambi i genitori condividono più equamente i compiti di cura.
Non è un caso che in Svezia e in Danimarca lavorino di più le madri con figli che quelle senza (+7,7% in Svezia e +7% in Danimarca). Cose che un italiano fa fatica anche a leggere. Una situazione simile, con differenze minori, è stata registrata in Croazia, Lettonia, Portogallo, Slovenia, Paesi Bassi e Finlandia, come evidenziato dal rapporto 2024 di Eurostat sull’uguaglianza e la non discriminazione nell’Ue.
Il futuro delle politiche familiari in Italia
L’idea di riservare dell’Inps di riservare il terzo mese di congedo parentale all’80% esclusivamente ai papà è interessante, ma l’esperienza ci insegna che per tornare a riempire le culle non bastano le misure ad hoc.
Molto dipenderà dalla capacità delle aziende e delle istituzioni di sostenere un cambiamento culturale più ampio, in cui la cura dei figli venga considerata una responsabilità condivisa e non un “dovere” quasi esclusivo delle madri. Affinché questa proposta non rimanga solo un progetto ambizioso, sarà fondamentale il coinvolgimento delle aziende nella promozione di modelli di lavoro flessibili, per favorire un reale bilanciamento tra lavoro e vita privata, sia per le madri che per i padri. Qualcosa in Italia si sta muovendo ma quasi esclusivamente da parte delle grandi aziende che hanno la potenza economica, infrastrutturale e manageriale per introdurre queste novità. Se si vuole vincere la sfida demografica, serve che i buoni esempi di welfare siano la regola, non l’eccezione.
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