Scienziati invertono l’invecchiamento nei topi: la rivoluzione anti-aging cambierà l’umanità?
- 23 Giugno 2025
- Popolazione Welfare
Chissà come sarebbe stato “Il curioso caso di Benjamin Button” interpretato dai topi. Una domanda destinata a non ricevere ì risposta, ma solo per le pellicole: nella realtà i ricercatori sono già riusciti a invertire il processo di invecchiamento dei topi. E, ovviamente, questo segna un importante passo in avanti verso il fantomatico elisir di lunga vita che l’essere umano cerca da millenni.
Nei laboratori del Max Planck Institute for Biology of Ageing, in Germania, i ricercatori sono riusciti a invertire il processo di invecchiamento nei topi, mantenendoli sani, attivi e liberi da tumori fino alla fine dei loro giorni. Sì, alla fine i roditori sono morti, ma gli scienziati hanno allungato del 30% la durata della loro vita.
Il due farmaci anti invecchiamento
La scoperta ruota attorno a trametinib e rapamicina, due farmaci già approvati per l’uso umano che, usati in modo combinato, hanno dimostrato straordinarie capacità di anti-invecchiamento.
La rapamicina, inizialmente sviluppata come immunosoppressore per i trapianti d’organo, agisce inibendo la via mTOR, una delle principali responsabili dell’invecchiamento cellulare.
Il trametinib, utilizzato contro alcuni tumori come il melanoma, blocca invece la via MEK, un’altra importante rotta di segnalazione cellulare coinvolta nella crescita e divisione delle cellule.
Separatamente, entrambi i farmaci avevano già mostrato effetti benefici sulla longevità in modelli animali, ma l’oggetto principale della ricerca tedesca è il risultato ottenuto dalla loro combinazione. I topi trattati con entrambi i farmaci non solo vivevano più a lungo, ma lo facevano in modo sano, a differenza del genere umano, dove le donne vivono più a lungo degli uomini ma peggio di loro. I roditori mostravano meno infiammazione sistemica, avevano una minore incidenza di tumori e conservavano funzionalità fisiche e cognitive migliori fino alla vecchiaia (forse perché non possono sposarsi?).
La sinergia tra le molecole dei due farmaci permette di colpire contemporaneamente due diverse vie dell’invecchiamento e sembra amplificare l’effetto anti-aging. Questa strategia multi-target rappresenta un importante tassello nella ricerca sulla longevità.
Elisir di lunga vita, gli effetti della berberina
La scoperta tedesca non è isolata nel panorama scientifico e la via farmacologica non è l’unica percorsa dai ricercatori.
Altre ricerche stanno esplorando molecole naturali con proprietà anti-invecchiamento.
Uno studio pubblicato su PumMed Central ha dimostrato, per esempio, che la berberina sembra in grado di estendere la durata della vita dei moscerini della frutta e di attenuare la senescenza cellulare prematura. Nei topi, questo composto ha allungato del 52% la durata della vita degli animali trattati con chemioterapia e del 16,49% di quelli invecchiati naturalmente.
Particolarmente significativo è il dato sulla durata della vita residua: nei topi anziani trattati con berberina, questa è stata estesa dell’80%, passando da 85,5 giorni a 154 giorni, con un miglioramento significativo della qualità della vita, della densità del pelo e dell’attività comportamentale.
I meccanismi nascosti dell’invecchiamento neuronale
Parallelamente, la ricerca sta svelando i meccanismi molecolari che rendono il cervello vulnerabile all’invecchiamento. Un recente studio della University of California di San Diego ha scoperto che i neuroni anziani presentano difetti unici derivanti da stress molecolare, che li rendono particolarmente vulnerabili alla neurodegenerazione.
I ricercatori hanno creato neuroni anziani in laboratorio utilizzando la transdifferenziazione, una tecnica che riprogramma direttamente le cellule della pelle in neuroni che appaiono vecchi a livello molecolare. Questi neuroni anziani mostrano segni distintivi di stress molecolare, come crescita bloccata e conservazione di RNA non tradotto e proteine in compartimenti chiamati “granuli di stress”.
La scoperta più preoccupante riguarda la proteina TDP-43, che nei neuroni giovani regola l’espressione genica nel nucleo, ma nei neuroni anziani si accumula nello spazio esterno al nucleo, uno stato che richiama quello dei neuroni delle persone con Alzheimer, demenza e sclerosi laterale amiotrofica.
Le implicazioni demografiche di una rivoluzione scientifica
L’Italia, che conta un over 65 ogni quattro abitanti, rappresenta uno dei Paesi più anziani al mondo, e il trend è destinato ad accelerare nei prossimi decenni. La prospettiva di farmaci che non solo allungano la vita ma mantengono la qualità della salute potrebbe rivoluzionare l’approccio alla terza età e il peso della vecchiaia sul welfare, che è diventato una conseguenza emblematica della crisi demografica.
In questo contesto, il sistema sanitario nazionale non può più bastare così come occorre integrare la previdenza pubblica con quella privata.
Il costo dell’assistenza sanitaria per le malattie legate all’età rappresenta una voce crescente nei bilanci pubblici. Terapie che mantengono le persone sane più a lungo potrebbero trasformare questo onere in un’opportunità, permettendo agli individui di rimanere produttivi e autonomi per periodi più lunghi.
Anti-invecchiamento: come si passa dai topi agli esseri umani
La parte più affascinante della scoperta del Max Planck Institute è che entrambi i farmaci sono già approvati per l’uso umano, il che potrebbe accelerare significativamente l’inizio dei trial clinici per testarne l’efficacia sulle persone terapia anti-invecchiamento. Tuttavia, gli scienziati invitano alla cautela: la trasposizione dai modelli animali all’uomo non è automatica, e saranno necessari ulteriori studi approfonditi per valutare sicurezza, dosaggi e risultati a lungo termine.
Tra terapie personalizzate, immunoterapia, editing genetico e approcci molecolari innovativi stanno portando a risultati impensabili fino a pochi anni fa. Lo sviluppo di farmaci che agiscono sull’invecchiamento stesso apre nuove strade alla lotta contro il cancro. L’obiettivo della ricerca non è solo quello di vivere più a lungo, ma anche di vivere meglio, liberi da malattie croniche e degenerative.
Se i risultati sui topi si confermeranno negli esseri umani, potremmo assistere alla nascita della prima generazione nella storia dell’umanità a vivere oltre i 100 anni mantenendo salute e vitalità. Ok, chi popola l’isola di Okinawa ha già raggiunto simili traguardi. Ma questa è un’altra storia.