Sanità privata, incassi record: i dati del rapporto Mediobanca
- 15 Luglio 2025
- Popolazione Welfare
L’Italia invecchia e la sanità privata registra incassi record: l’ultimo rapporto dell’Area Studi Mediobanca fotografa un divario crescente tra il Sistema sanitario nazionale e le alternative private, sempre più utilizzate dai cittadini italiani per abbattere i tempi di attesa, diventati insostenibili nel Sistema sanitario nazionale (Ssn). Il welfare rischia di sfilacciarsi definitivamente sotto il peso dell’età media più alta d’Europa.
Il fenomeno delle liste d’attesa pubbliche contribuisce direttamente al boom privato: l’80% degli italiani ha rinunciato almeno una volta alle cure nel pubblico per via dei tempi eccessivi, mentre il 13% rinuncia del tutto alle cure, con punte del 19% tra i più poveri (che nel frattempo aumentano). Il 30% degli italiani che si rivolge al privato spende in media 138 euro a prestazione.
L’ascesa della sanità privata: i numeri
L’edizione 2025 del rapporto Mediobanca conferma e amplifica un trend già noto, ma oggi irrobustito da cifre record:
- Nel 2023, i principali 34 gruppi privati hanno superato 12 miliardi di euro di ricavi, crescendo del 5,7% rispetto al 2022 e del 15,5% sulla soglia pre-pandemica del 2019. La crescita prosegue nel 2024 con un ulteriore +4,8% stimato;
- La spesa sanitaria privata totale, inclusa quella fuori dal perimetro dei gruppi più grandi, ha raggiunto 74 miliardi di euro nel 2023; circa 59 miliardi se si esclude la farmacia e i dispositivi sanitari;
- Fra i comparti trainanti: le strutture per anziani (+8,6% vs 2023) che crescono insieme all’età media del Paese, la diagnostica (+6,5%), l’assistenza ospedaliera (+4,9%) e la riabilitazione (+4,1%);
- I “campioni” della sanità privata per fatturato nel 2023: Papiniano (Gruppo San Donato e San Raffaele, 1,83 miliardi), Humanitas (1,19 miliardi), Policlinico Gemelli, Gruppo Villa Maria, Kos.
Perché la sanità pubblica è in crisi
Rispetto alla vitalità del privato, il sistema sanitario nazionale procede a fatica. Nel 2024, la spesa pubblica è arrivata a 138,3 miliardi, ma l’aumento di +4,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente non deve trarre in inganno. Come ricordato da Nino Cartabellotta (presidente della Fondazione Gimbe), “il valore assoluto non significa nulla se non rapportato all’aumento dei costi, del fabbisogno reale e alla dinamica del Pil: l’Italia sconta ancora una carenza decennale di investimenti, con una spesa procapite tra le più basse dell’area euro”. La fotografia del dato attuale è quindi solo apparentemente positiva. Se vista in rapporto al Pil, la spesa per la sanità ha segnato un -0,2%, arrivando al 6,3% del prodotto interno lordo. Per il triennio 2025-2027 si prevede la stabilizzazione al 6,4% del Pil, un livello inferiore alla media Ocse che affonda le radici nella crisi demografica: meno nati significano meno lavoratori, meno lavoratori significano meno tasse, meno tasse significano meno risorse pubbliche.
Nel frattempo, le esigenze di cure aumentano perché il Paese diventa più vecchio (già oggi un italiano su quattro è over 65) e il deficit di personale si aggrava anche perché i salari dei medici rimangono inferiori del 40% rispetto a quelli dei colleghi europei. Con questi numeri, arrestare il fenomeno della “fuga” all’estero o verso il privato è praticamente impossibile senza un deciso cambio di rotta.
La mobilità sanitaria in un’Italia a due velocità
Va poi considerata la mobilità sanitaria, che sta generando un flusso costante verso le regioni settentrionali e un deficit finanziario nel Mezzogiorno. Sempre più persone del Sud Italia vanno a farsi visitare o curare al Nord, dove il numero di strutture private e all’avanguardia è maggiore rispetto al Mezzogiorno. Secondo le stime, la mobilità sanitaria costa oltre 3,3 miliardi di euro annui al sistema, con costi duplicati e disagi per i cittadini.
Il quadro tratteggiato da Mediobanca trova eco nelle parole degli esperti: “Stiamo creando un sistema a due velocità dove il rischio è che la salute torni a essere un privilegio”, ha osservato Barbara Cittadini, presidente di Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata.
Il peso della crisi demografica
L’analisi Mediobanca dedica ampio spazio all’impatto della demografia: nel 2023, la quota di over-65 in Italia ha raggiunto il 24,3% della popolazione (dietro solo al Giappone nell’Ocse), con una previsione di crescita verso il 33,3% entro il 2061. Nel frattempo, le culle sono sempre più vuote: nel 2024, il tasso di fertilità è sceso a 1,18 figli per donna, il più basso della storia italiana, con appena 370.000 nati in un anno.
Le ricadute sulla sanità sono tanto lineari quanto devastanti: secondo la “Valutazione dell’effetto dell’incremento della natalità sulla sostenibilità dell’attuale sistema di welfare” a cura di Spher – Social and Public Health Economic Research, l’Italia rischia di arrivare (nello scenario peggiore) a 1,02 figli per donna nel 2050, con una perdita cumulata di Pil pari a 482 miliardi di euro.
Nel frattempo, la domanda di cure, assistenza domiciliare e lungodegenza esplode; strutture ospedaliere e Rsa si adeguano alla nuova domanda con investimenti privati crescenti, mentre il pubblico fatica a stare dietro al fabbisogno.
Le proteste del personale sanitario
Di fronte a numeri così, l’ultimo sciopero dei medici e degli infermieri ha assunto un valore quasi simbolico: “Non si tratta più di una semplice vertenza sindacale, ma della difesa di principi fondanti”, ha affermato Filippo Anelli, presidente Fnomceo, in relazione alla protesta del 20 novembre scorso.
Durante lo sciopero, sono state rinviate o annullate prestazioni programmate, visite specialistiche, esami diagnostici e interventi chirurgici non urgenti. Secondo le stime sindacali, sono saltate oltre 1,2 milioni di prestazioni tra visite, esami radiografici (circa 50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila consulenze specialistiche. Sacrifici ritenuti necessari dagli organizzatori dello sciopero, ovvero Anaao-Assomed (medici ospedalieri), Cimo-Fesmed e Nursing Up, con l’adesione di ulteriori organizzazioni sindacali e della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), per manifestare contro il sottofinanziamento del servizio sanitario nazionale e le condizioni di lavoro instabili.
Anche in questo caso, la denatalità gioca un ruolo fondamentale: con sempre meno personale a disposizione, i medici e gli infermieri presenti sono costretti a una turnazione pesante nonostante i salari non competitivi. Negli ultimi anni, complici diversi fattori, sono anche aumentate le violenze nei confronti del personale sanitario, tanto che sono nati dei corsi di autodifesa rivolti a medici e infermieri che si devono difendere dagli attacchi dei pazienti e dei loro familiari.
Il rapporto Mediobanca 2025 non fotografa solo cifre, ma la direzione di marcia di una intera società, che vede sempre più lontano il diritto ad accedere alle cure gratuite nonostante l’Italia, con una percentuale del 42,8% nel 2023, sia il terzo Paese europeo per pressione fiscale, dietro solo a Francia e Danimarca (Ocse Revenue Statistics 2024).