Cittadinanza italiana: la stretta è legge, ecco cosa cambia
- 21/05/2025
- Popolazione
La Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il decreto sulla cittadinanza, con 137 voti favorevoli, 83 contrari e 2 astenuti. Il provvedimento, già approvato dal Senato lo scorso 15 maggio restringe notevolmente l’acquisizione della cittadinanza italiana, in particolare per i discendenti di italiani emigrati all’estero.
La fine della cittadinanza “senza limiti”
La novità principale riguarda la trasmissione della cittadinanza per discendenza (ius sanguinis). Fino ad oggi, l’Italia permetteva l’acquisizione della cittadinanza senza limiti generazionali per i discendenti di italiani emigrati all’estero. Con la nuova legge, diventerà automaticamente italiano alla nascita solo chi ha almeno un genitore o al massimo un nonno nato in Italia.
Questa stretta, fortemente voluta dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, mira a garantire un “vincolo effettivo” con l’Italia. Come spiegato nella relazione introduttiva, l’obiettivo è “allinearsi con gli ordinamenti di altri Paesi europei e garantire la libera circolazione nell’Unione Europea solo da parte di chi mantenga un legame effettivo col Paese di origine”.
Retroattività e salvaguardie
Un aspetto particolarmente controverso della riforma è la sua retroattività. La legge stabilisce che non ha mai acquisito la cittadinanza italiana chi è nato all’estero ed è contemporaneamente in possesso della cittadinanza di un altro Stato, anche se nato prima dell’entrata in vigore del decreto.
Sono tuttavia previste alcune importanti deroghe. Mantengono la cittadinanza coloro che hanno già presentato domanda all’ufficio consolare o al sindaco entro il 27 marzo 2025, o che hanno ricevuto entro questa data una comunicazione di appuntamento. Questa salvaguardia è fondamentale per evitare situazioni paradossali, come quella denunciata in Parlamento: “Non è tollerabile che due fratelli, figli dello stesso padre emigrato, possano trovarsi in due situazioni diverse solo perché uno ha presentato la domanda il 26 marzo del 2025 e l’altro il 28 marzo”.
Riacquisto della cittadinanza
Durante la discussione in Senato è stata inserita una disposizione che prevede la possibilità di riacquisto della cittadinanza per chi sia nato in Italia o vi sia stato residente per almeno due anni consecutivi e l’abbia persa per l’acquisto della cittadinanza di un altro Stato. Per accedere a questa opportunità è previsto il pagamento di un contributo di 250 euro.
L’articolo 1-ter del decreto stabilisce che chi sia nato in Italia o vi abbia risieduto per almeno due anni continuativi, e abbia perduto la cittadinanza in applicazione di norme precedenti, può riacquistarla presentando una dichiarazione in tal senso. I termini per il riacquisto sono riaperti per un periodo specifico, offrendo così una seconda possibilità a chi aveva rinunciato alla cittadinanza italiana in passato.
Nuove opportunità per minori e oriundi
La riforma non si limita a introdurre restrizioni, ma apre anche nuove possibilità. Per i minori stranieri o apolidi discendenti da cittadini italiani per nascita, è prevista la possibilità di diventare cittadini italiani se i genitori o il tutore ne dichiarano la volontà. In questo caso, è necessario che il minore risieda legalmente e continuativamente in Italia per almeno due anni dopo la dichiarazione, oppure che la dichiarazione sia presentata entro un anno dalla nascita o dal momento in cui è stabilita la filiazione con un cittadino italiano.
Un’altra novità significativa riguarda gli oriundi italiani. La legge consente l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori delle quote previste dal decreto flussi, agli stranieri residenti all’estero discendenti da cittadini italiani e in possesso della cittadinanza di uno Stato meta di rilevanti flussi di emigrazione italiana. Gli Stati interessati verranno definiti con un apposito decreto del ministro degli Esteri.
Il vincolo di residenza per i figli minori
Un’altra modifica importante riguarda i figli minori di persone che acquisiscono o riacquistano la cittadinanza italiana. Secondo le regole precedenti, se un genitore acquisiva o riacquistava la cittadinanza italiana, i suoi figli minori e conviventi la ottenevano automaticamente. Con la nuova legge, affinché i figli conviventi ottengano la cittadinanza, devono aver risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia per almeno due anni prima della data in cui il genitore acquisisce o riacquista la cittadinanza. Per i bambini con meno di due anni, il requisito si considera soddisfatto se sono nati in Italia. Questa disposizione rafforza ulteriormente il principio del “legame effettivo” con il territorio italiano come base per l’acquisizione della cittadinanza.
Il caso dei brasiliani a Bologna
La riforma della cittadinanza segna un punto di svolta nella concezione giuridica dell’appartenenza nazionale italiana. Da un sistema basato principalmente sul principio dello ius sanguinis senza limiti generazionali, si passa a un modello che richiede un legame più concreto con il territorio e la cultura italiana.
Ad attirare l’attenzione sul tema è stata (anche) una curiosa richiesta arrivata al tribunale di Bologna lo scorso settembre. Allora, 12 brasiliani chiesero la cittadinanza italiana pur non avendo nessun parente stretto nel Paese e senza essere mai stati in Italia. La domanda si basava su un’antenata in comune, nata a Marzabotto nel 1876.
Una richiesta formalmente legittima, ma di dubbia ragionevolezza giuridica, tanto che, con ordinanza, il tribunale di Bologna “ha sollevato d’ufficio l’eccezione di illegittimità costituzionale della disciplina italiana in materia di cittadinanza, nella parte in cui prevede il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza alcun limite temporale”. Come spiegato dal presidente del tribunale Pasquale Liccardo, i giudici chiedono se sia legittimo riconoscere la cittadinanza anche se l’avo di riferimento sia nato molte generazioni prima (in questo caso quasi 150 anni fa) e i discendenti non abbiano alcun legame con la cultura, le tradizioni e la lingua italiana.
Per approfondire: Bologna, 12 brasiliani chiedono la cittadinanza perché hanno un’antenata nata in Italia nel 1876
La riforma della cittadinanza appena approvata evita che si ripetano situazioni analoghe.
Questa trasformazione riflette una tensione presente in molti paesi tra diverse concezioni di cittadinanza: quella basata sulla discendenza e quella fondata sulla partecipazione effettiva alla vita sociale, economica e culturale di un Paese. La nuova legge italiana cerca di bilanciare questi due principi, richiedendo un “vincolo effettivo” anche per chi può vantare origini italiane.
Per milioni di discendenti di italiani nel mondo, questa riforma rappresenta un limite alla loro possibilità di riconnettersi giuridicamente con il Paese di origine dei loro antenati. Per l’Italia, rappresenta una ridefinizione dei confini della sua comunità nazionale, in un momento in cui le questioni di identità e appartenenza sono al centro del dibattito pubblico in tutto il mondo.
Il contesto sociale e il referendum di giugno
Il decreto sulla cittadinanza si inserisce in un dibattito più ampio sul tema dell’appartenenza nazionale e dell’integrazione. Mentre il governo introduce restrizioni sulla cittadinanza per discendenza, la questione dell’accesso alla cittadinanza per chi vive già in Italia da molti anni rimane aperta.
Almeno 2 milioni e 500mila persone si troverebbero in questa condizione: “Molti giovani stranieri spesso non capiscono perché non possono diventare italiani, dato che sono qui da piccoli e non si identificano con il loro Paese d’origine. Si trovano in una sorta di apolidia. E siccome la cittadinanza è una cosa seria, non solo dà un senso di appartenenza, ma permette di evitare problemi concreti, come quelli legati ai viaggi all’estero o alla ricerca di opportunità”, ha ricordato ai microfoni di Demografica Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all’Università di Padova e già senatore.
La questione è al centro di uno dei cinque quesiti del referendum abrogativo per cui gli italiani sono chiamati a votare nelle giornate dell’8 e del 9 giugno 2025. Il quesito propone di ridurre a cinque gli anni di residenza continuativa necessari per ottenere la cittadinanza italiana, dimezzando i dieci anni attuali, che rappresentano uno dei requisiti più rigidi d’Europa. La normativa italiana privilegia lo ius soli temperato o ius culturae, ossia il diritto di cittadinanza per discendenza, mentre lo ius soli — che lega la cittadinanza alla nascita o alla lunga permanenza in un Paese — è molto limitato.
Il referendum interviene proprio su questo aspetto, proponendo un allineamento con pratiche più inclusive e più in linea con i tempi, dove il contributo degli immigrati tiene a galla la produttività e la demografia del Paese.
Trattandosi di un referendum abrogativo (dove l’oggetto da abrogare è il limite dei dieci anni), chi ritiene congrua la durata dei dieci anni (che spesso diventano di più a causa delle lungaggini burocratiche) deve mettere la X sul ‘no’. Chi, invece, vuole portare da dieci a cinque gli anni di residenza consecutivi per ottenere la cittadinanza deve votare ‘sì’.
Per approfondire: Cittadinanza italiana, cosa cambia con il referendum dell’8 e 9 giugno 2025