Troppo ricchi, troppi poveri. Oxfam: “Diseguaglianze senza precedenti”
- 15/01/2024
- Popolazione
Troppo ricchi, troppi poveri. Così si potrebbe riassumere quella che l’Oxfam ha definito “diseguaglianza senza precedenti”. Sono cinque, nello specifico, gli uomini che dal 2020 sono ritenuti i più ricchi al mondo. Parliamo di personalità quali Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett. Ciascuno di loro ha più che raddoppiato le proprie fortune passando da 405 a 869 miliardi di dollari, a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre 5 miliardi di persone più povere hanno visto complessivamente invariata la propria condizione.
Questa è la denuncia della confederazione internazionale di organizzazioni non profit, secondo la quale, nel giro di un decennio, ci sarà il primo trilionario nella storia dell’umanità. Non basteranno però neppure due secoli per porre fine alla povertà, soprattutto alle nuove forme che essa ha assunto in Italia e nel Mondo.
Nell’Unione europea, nello specifico, i primi cinque ricchissimi vedono il loro patrimonio crescere di 5,7 milioni l’ora dal 2020. Sono Bernard Arnault, Amancio Ortega, Francoise Bettencourt Meyers, Dieter Schwarz e l’italiano Giovanni Ferrero.
Sul tema, negli scorsi giorni, sono emersi altrettanti dati che confermerebbero che in Italia, nel dettaglio, la situazione non è differente dalla tendenza generale europea o mondiale. Le nuove statistiche sperimentali trimestrali sui conti distributivi della ricchezza delle famiglie italiane, ad esempio, rivelano una realtà preoccupante: il 5% delle famiglie più abbienti detiene circa il 46% della ricchezza netta totale (dati Banca d’Italia).
A questo dato, si aggiunge quello dell’Istat, con l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sulla povertà educativa che ha mostrato che all’aumentare dei figli, aumentano i tassi di povertà.
In Italia
“A fine 2022 – si legge nel report Oxfam in merito ai dati italiani -, l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva una ricchezza 84 volte superiore a quella del 20% più povero della popolazione. Il nostro Paese occupa inoltre da tempo le ultime posizioni nell’Ue per il profilo meno egalitario della distribuzione dei redditi”.
Che ci sia una crisi è quindi evidente con l’aumento delle persone in condizione di fragilità. Il fenomeno ha avuto un picco nel biennio 2021-22 a causa dell’impennata dell’inflazione e dei suoi impatti su cittadini e famiglie. Pochi i risparmi a disposizione, salari più bassi della media Ue, tasso d’occupazione femminile inferiore a quello maschile e il rallentamento dell’economia nazionale iniziata nel 2023 e prevista per il 2024 potrebbe vedere le misure contro il caro-vita (cioè, l’Assegno di inclusione) non essere sufficienti a placare una povertà crescente.
“Le nuove misure di inclusione lavorativa e sociale del Governo Meloni determinano infatti un’iniqua selezione tra poveri – ha scritto Oxfam nel report -. Non basterà più essere indigenti per ottenere un supporto continuativo al reddito e si stima che, rispetto al bacino dei potenziali beneficiari del Reddito di cittadinanza, 500.000 famiglie in meno potranno beneficiare di una delle nuove misure approntate, ampliando le disuguaglianze e aumentando povertà ed esclusione sociale”.
Lavoro precario
Quello del rapporto tra donne e lavoro è un tipo di legame che vede nel precariato la sua massima realizzazione. Ben 1 lavoratore su 8 vive in una famiglia vive con un reddito disponibile insufficiente ai propri fabbisogni. Complice di questo problema è l’instabilità e gli stipendi bassi.
Il contratto a tempo determinato, ad esempio, ha rappresentato, nel periodo intercorso tra il 2009 e il 2022, la tipologia contrattuale con l’incidenza maggiore in termini di attivazioni di nuovi rapporti di lavoro: in ciascun anno del periodo considerato oltre sei contratti attivati su dieci erano a tempo determinato. Dal 2009 al 2022 si è inoltre assistito a un progressivo aumento delle quote di attivazioni a tempo parziale con un evidente squilibrio di genere che vede il part-time prevalere nelle attivazioni delle donne.
La domanda di lavoro appare inoltre nel complesso più discontinua nel tempo di quanto non sia stata in passato con periodi di occupazione molto spesso inferiori a un anno di tempo, alternati a periodi di inattività, disoccupazione e sottoccupazione. Il carattere discontinuo dei contratti nel mercato del lavoro italiano è confermato dalla durata dei rapporti cessati: poco più di un terzo dei contratti cessati nel 2022 (circa 4 milioni e 100 mila) avevano una durata inferiore a 30 giorni e 1,5 milioni di contratti avevano una durata giornaliera.
Donne, lavoro e maternità
Non è un caso che siano spesso le donne o giovanissimi a subire trattamenti di tipo “inferiore” rispetto ad altre categorie lavorative. Le donne, nello specifico in Italia, pagano lo scotto di vivere un retaggio culturale che risente di uno stereotipo. Rilegate alla figura di casalinghe, colf o segretarie, l’occupazione femminile – se pure in miglioramento – è ancora troppo lenta. La denatalità, ad esempio, è uno di quei fenomeni che è conseguente a questo tipo di deficit e che vedrà un peggioramento nel corso dei prossimi anni se non si proietterà sulla famiglia l’incentivo economico principale: investire sul futuro, equo e solidale, in cui la parità non sia un concetto divisivo, ma un imperativo.
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