Cos’è il microfemminismo e come metterlo in pratica ogni giorno (conviene anche agli uomini)
- 07/08/2024
- Popolazione
Come una goccia scava la roccia, così smantellare credenze, pregiudizi e consuetudini che perpetuano la disuguaglianza tra i due sessi passa anche da piccole azioni, che non sostituiscono quelle più eclatanti ma le rinforzano con un’opera quotidiana e costante che arrivi man mano a cambiare il modo di pensare, lo status quo e le abitudini (anche delle donne stesse).
Micro azioni insomma per mettere in campo un microfemminismo: un trend nato su TikTok ma che esce ben al di fuori dai quattro lati dello schermo per entrare nella vita di tutti i giorni, e a 360 gradi. Perché a 360 gradi è la discriminazione a carico delle donne. Una tendenza che serve anche per far capire che il femminismo non mira alla prevaricazione sugli uomini per ottenere una rivalsa, né a sostituirli in una forma di esercizio del potere che si sta dimostrando sempre più limitante e castrante, anche per i maschi, ma punta piuttosto a realizzare una società più equa e giusta per tutti.
Il microfemminismo
Come ha spiegato la produttrice e conduttrice televisiva Ashley Chaney, che ha creato il trend con un video su TikTok e l’hashtag #microfeminism, si tratta in sostanza di mettere in campo piccole azioni che possano portare a un cambio di mentalità perché vanno a scalfire degli automatismi, forti anche nelle donne stesse, su cui in grossa parte si regge il sistema.
Il microfemminismo aiuta anche a riconoscere il microsessismo e il micromaschilismo, di cui spesso nemmeno ci accorgiamo proprio perché fin da piccoli molte cose le abbiamo assorbite come naturali e non ci siamo mai più interrogati al riguardo. Alla base quindi c’è un recupero della consapevolezza, sicuramente non facile e che riguarda tutti.
Le azioni da praticare possono essere davvero tantissime e di ogni tipo, c’è l’imbarazzo della scelta (purtroppo). Per fare degli esempi pratici: a lavoro possiamo rivolgerci prima alle colleghe donne nelle mail o nelle riunioni, o dare per scontato che un dirigente sia donna in modo da normalizzare la cosa; oppure nelle presentazioni possiamo usare immagini non stereotipate (medico o manager maschio, per dirne una), oppure sostenere le colleghe interrotte da un uomo quando parlano, o sponsorizzarle nei loro progetti.
In generale, possiamo usare il femminile sovraesteso invece del maschile, o quanto meno la forma femminile delle cariche e dei lavori, specialmente quando esiste (mentre ora ad esempio sta passando l’uso indiscriminato di ‘direttore’, sebbene esista e possa essere usato ‘direttrice’). Ancora, possiamo regalare giocattoli considerati ‘da femmina’ ai maschi e viceversa, o rispondere a tono a domande sessiste e a battute poco divertenti.
Quest’ultimo è un aspetto delicato, perché normalmente, se una donna risponde a battute poco felici viene fatta passare per acida, poco spiritosa, o che ‘ha le sue cose’. Un sistema per rigirare la frittata che fino ad oggi ha funzionato benissimo. Chaney suggerisce di rispondere con altrettanti stereotipi, in modo da svelare i paradossi e i pregiudizi da cui nascono scherzi che di divertente hanno poco.
Ancora, possiamo rivolgerci ai padri quando si tratta di figli invece di riferirci solo alle madri, oppure possiamo scegliere preferibilmente professioniste donne, o smettere di usare l’articolo ‘la’ davanti ai cognomi femminili (ad esempio: ‘la Meloni’, ma certo mai ‘il Conte’ o ‘il Tajani’).
Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, da esse passa la nostra realtà e come decidiamo di definirla. Il linguaggio è vivo e in continua evoluzione, e se accettiamo, come abbiamo fatto negli ultimi anni, un uso errato del ‘piuttosto che’, per non parlare della perdita di importanza del congiuntivo, non si vede perché non possiamo anche portare avanti un’evoluzione in senso paritario o neutro delle professioni. E’ ovvio che le resistenze sono altre, ma per usare le parole della scrittrice Vera Gheno: “Non tutti nasciamo per stare sulle barricate, ma tutti possiamo prenderci la responsabilità della lingua che usiamo nel nostro quotidiano”.
Tornando al microfemminismo, lo è anche non uscire immancabilmente in tiro per assecondare l’obbligo secondo cui la donna deve essere sempre impeccabile, oppure, se siamo uomini, indossare capi rosa e scoprire che la nostra virilità non ne uscirebbe intaccata (tra l’altro la distinzione dei colori per maschi e femmine è recentissima, oltre che arbitraria). Sì, perché il microfemminismo può essere attuato, e sarebbe bello se lo fosse in modo più diffuso, anche dagli uomini. Non solo per motivi di giustizia ma pure per un vantaggio personale.
Un vantaggio anche per gli uomini
È ovvio che chi ha il potere non voglia cederlo, e che chi ha i privilegi (questo riguarda tutti noi occidentali bianchi) non sia disposto a rinunciarvi, ma riequilibrare le opportunità tra uomini e donne e smantellare pregiudizi e stereotipi porta dei vantaggi anche alla metà maschile del cielo. Non solo perché nell’insieme gli uomini beneficerebbero della aumentata prosperità che la maggiore partecipazione delle donne ai ruoli decisionali porta nelle economie, fenomeno dimostrato da molti studi, ma anche perché essi stessi sono vittima del loro stesso patriarcato.
Pensiamo solo al fatto che, secondo i luoghi comuni, gli uomini non devono avere emozioni, né essere sensibili né chiedere aiuto: il vero uomo è un duro che si impone con decisione e spesso violenza – verbale o fisica -, che si fa rispettare incutendo paura o perché non ascolta nessuno.
Ancora, fare il ‘mammo’ o il ‘casalingo’ può essere a tutt’oggi fonte di presa in giro. Non solo, ma ormai anche i maschi, come le femmine, subiscono dei diktat senza i quali vivrebbero assai meglio. Tra essi, la pressione ad avere una certa presenza fisica, oltre al successo economico e professionale e ovviamente a quello sessuale. Il trend degli uomini topo dimostra che è molto più facile piazzare sul carrozzone del body shaming anche gli uomini piuttosto che parcheggiarlo a lato della strada e procedere con altri mezzi.
Sintetizza Chaney: “Il microfemminismo da solo non sarà mai in grado di contrastare secoli di politiche sociali e economiche patriarcali, ma dobbiamo partire della consapevolezza. Praticare quotidianamente azioni femministe aiuta a spargere la voce, a diffondere l’idea che il femminismo non sia un’ideologia campata per aria, ma una proposta tangibile di società equa, per tutte le persone”.
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