In Italia l’inflazione è aumentata il doppio degli stipendi
- 22/02/2024
- Popolazione
In un contesto occupazionale che sorride al Paese, le famiglie italiane sono sempre più in difficoltà.
La conferma arriva dagli ultimi dati Istat che certificano un aumento annuo degli stipendi del 3,1% a fronte di un’inflazione reale (l’indice Ipca relativo ai consumi) del 5,9%.
In pratica, nel 2023 l’inflazione è aumentata a una velocità doppia rispetto agli stipendi.
Un problema che non è solo delle famiglie, ma del sistema, dato che l’immobilità dei salari provoca un crollo dei consumi. Ad essere maggiormente colpiti, come più volte sottolineato in questo spazio, sono soprattutto i lavoratori più poveri per i quali il peso specifico del caro vita diventa insostenibile.
Se si considera che, in Italia nel 2023, su un totale di oltre 21mila euro pro capite di consumi, 8.755 euro siano stati utilizzati per le cosiddette spese obbligate, il quadro è chiaro.
È lo stesso Centro Studi di Confcommercio a lanciare l’allarme: “Questi aumenti riducono il benessere e dei consumatori e frenano la propensione al consumo con inevitabili effetti depressivi sulle già deboli dinamiche del Pil”.
Italia fanalino di coda dell’Ue
Confrontando il dato italiano con quello europeo si evidenzia un deciso distacco: nell’Eurozona la crescita dei salari è stata del 4,5% nel quarto trimestre dell’anno.
Qualche numero positivo si è registrato in Italia sul finire dello scorso anno, ma i numeri potrebbero trarre in inganno. A dicembre, in Italia, l’indice mensile della retribuzione oraria a dicembre è cresciuto del 5,1% rispetto a novembre e del 7,9% a livello tendenziale.
Tuttavia, si tratta di un salto che ha riguardato solo alcuni lavoratori: i dipendenti della pubblica amministrazione, dalla scuola, ai ministeri alla difesa (22,1%), dell’industria (4,5%) e dei servizi privati (2,4%) a cui va aggiunta l’erogazione anticipata dell’incremento dell’indennità di vacanza contrattuale. Non dovrà stupire, insomma, se questi dati subiranno una flessione nell’analisi di gennaio 2024.
Questi numeri, insieme al netto rallentamento dell’inflazione nel corso del 2023, hanno ridotto il gap tra aumento dei prezzi al consumo e stipendi contrattuali a 3 punti percentuali, meno della metà di quello registrato nel 2022. Una notizia positiva, con dei limiti: nonostante questo rapido calo inflazionistico, infatti, gli italiani hanno perso potere d’acquisto nel corso dell’anno scorso.
Non solo Ue, Italia indietro tra i Paesi Ocse
La situazione diventa più chiara se si va oltre i confini europei: tra il 1991 e il 2022, gli stipendi sono cresciuti in media del 32,5% nei Paesi Ocse. In Italia dell’1%. Il dato è emerso dal rapporto Inapp, presentato a metà dicembre 2023.
Uno scenario che non può avere una solo causa. Senz’altro, le famiglie italiane sono sfavorite dall’annoso ritardo con cui vengono rinnovati i contratti collettivi. Quelli in attesa di rinnovo sono 29 e coinvolgono circa 6,5 milioni di dipendenti, il 52,4% del totale. Quelli in vigore sono 44, riguardano il 47,6% dei dipendenti, circa 5,9 milioni.
Un dato su tutti: in appena 12 mesi (gennaio-dicembre 2023), il tempo di attesa di rinnovo è aumentato dai 20,5 mesi ai 32,2 mesi di dicembre.
Il rinnovo dei CCNL passa per complessi e contesi dibattiti tra i sindacati dei lavoratori, quelli dei datori e la politica. Nel frattempo, i salari restano al palo e le famiglie sono costrette a diminuire le proprie spese o a erodere i propri risparmi.
Aumento salari, un rischio per l’inflazione?
Con un contesto geopolitico sempre più incerto, emerge la necessità di uno strumento elastico per adattare rapidamente gli stipendi all’inflazione.
Sul punto, la presidente della Bce esprime qualche dubbio: “gli stipendi sono un fattore sempre più importante per la dinamica dell’inflazione”. Per Lagarde, quindi, il rischio è che un aumento dei salari porti con sé un aumento non solo dei consumi, ma anche dell’inflazione, spinta da una maggiore domanda. Non la pensa allo stesso modo il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta che nel corso dell’Assiom Forex di Genova ha definito “legittima” l’aspettativa di un aumento delle buste paga.
D’altronde, il fatto che gli occupati siano saliti più del Pil, e più delle ore lavorate, indica che spesso si tratta di un’occupazione “povera”, in settori poco produttivi come costruzioni e turismo, o con alta incidenza di part-time.
Il nodo produttività
L’ultima riflessione dà un assist per passare a un altro annoso problema italiano, sempre più acuito dalla crisi demografica: la produttività del Belpaese.
Dal rapporto Inapp succitato emerge che mentre nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, con un gap del 25,5% nel 2021.
Scarsa produttività e scarsa remunerazione del lavoro vivono in osmosi: salari troppo bassi non stimolano i lavoratori e la scarsa produttività ostacola l’aumento salariale.
Una dinamica lineare, così come è intuitivo il fatto che se aumenta l’età media dei lavoratori, diminuisce necessariamente la produttività.
L’allarme era scattato già con i dati relativi a novembre 2023, quando l’Istat aveva certificato il record occupazionale, poi superato a dicembre: 23 milioni e 743 mila lavoratori, tra permanenti e a termine. Nota negativa: dei 520 mila occupati in più registrati a novembre 2023 rispetto a novembre 2022, ben 477 mila erano over 50. In pratica, l’aumento annuale dell’occupazione è stato trainato per il 92% dalla maggiore occupazione dei boomer o baby boomer, incentivata anche dalla stretta sulle pensioni anticipate nel 2024.
Come già analizzato su queste pagine, crisi demografica ed economica sono connesse in un effetto domino difficile da interrompere:
- La popolazione invecchia;
- Aumenta la spesa pubblica;
- Il welfare diventa sempre più insostenibile
- Diminuisce la produttività delle imprese (e molte chiudono);
- I salari non salgono;
- I giovani hanno difficoltà a metter su famiglia.
Dall’ultimo punto si ritorna al primo in un circolo vizioso che negli ultimi decenni si sta allargando. Al netto dell’effetto domino, risulta come i salari siano l’unico tassello su cui la politica (in senso lato) può intervenire direttamente tramite la contrattazione collettiva. I salari, quindi, rappresentano la chiave di volta per interrompere il circolo vizioso che danneggia la demografia della popolazione e delle imprese italiane che stanno accusando il colpo della denatalità.
Aumenta la povertà assoluta in Italia
La congiuntura socio-economica appena descritta si traduce in un ulteriore dato numerico: nel 2023 è cresciuto il numero di famiglie italiane in povertà assoluta. Come certifica l’Istat, l’anno scorso sono risultate in questa condizione poco più di 2,18 milioni di famiglie italiane, pari al 9,1% del totale, +0,9% rispetto al 2022, quando le famiglie in povertà assoluta erano 1,96 milioni.
Tra le categorie più colpite dalla povertà assoluta nel 2023, si segnalano le famiglie con minori (13,5%), le famiglie numerose (23,4%), le famiglie con capofamiglia disoccupato (36,9%) e le famiglie con cittadinanza straniera (30,6%). Queste famiglie hanno subito maggiormente gli effetti dell’aumento dell’inflazione, che ha eroso il loro potere d’acquisto e ridotto la loro capacità di spesa.
Adeguare rapidamente i salari all’inflazione, preferendo un contatto più diretto con la realtà, può cambiare la vita e le prospettive di queste persone.
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