Il Giappone è arrivato a quasi centomila centenari
- 15 Settembre 2025
- Mondo Popolazione
Il Giappone ha quasi centomila centenari. Per l’esattezza 99.763 al primo settembre scorso, quando i dati ufficiali del ministero della Salute hanno certificato il 55° record consecutivo per il Sol Levante, dove le persone con almeno cento anni sono in costante crescita dal 1963.
Dietro questi numeri, apparentemente positivi perché celebrano la longevità, si nascondono i rischi di un Paese dove gli anni di vita si allungano, ma le culle si svuotano.
L’esplosione dei centenari
La crescita dei centenari giapponesi segue una traiettoria impressionante: dai 153 del 1963 ai quasi 100mila del 2025, con un incremento di 4.644 persone solo nell’ultimo anno. Il fenomeno si deve principalmente al drastico calo delle malattie cardiache e di forme tumorali comuni, come quelle al seno e alla prostata. Il bassissimo tasso di obesità, sostenuto da una dieta ricca di pesce e verdure e povera di grassi animali e carne rossa, contribuisce significativamente a questa eccezionale longevità.
L’88% sono donne
C’è un dato che spicca più di tutti, dopo quello sul numero totale di chi ha raggiunto la terza cifra sulla carta di identità: l’88% degli ultracentenari giapponesi è costituito da donne, 87.784 contro i 12.763 uomini. Il dato trova risonanza anche in Italia dove l’81% degli ultracentenari è di sesso femminile secondo i dati Istat. Ulteriore dimostrazione del fatto che le donne vivono più a lungo degli uomini (anche se spesso vivono peggio).
In Giappone l’aspettativa di vita femminile raggiunge 87,13 anni contro gli 81,09 degli uomini, mentre in Italia le donne hanno un’aspettativa di vita di 85,5 anni contro gli 81,4 degli uomini.
Il vantaggio femminile si accentua ulteriormente nelle categorie dei semi-supercentenari: in Italia l’89% di chi supera i 105 anni è donna, mentre in Giappone questa percentuale si attesta attorno al 90%. Tra i supercentenari italiani che oltrepassano i 110 anni, solo 1 dei 21 viventi è uomo, un rapporto che rispecchia quello giapponese.
I motivi sono diversi e ampiamente dimostrati dalla scienza. Tra questi si segnalano gli ormoni sessuali femminili (estrogeni), che influiscono positivamente sul sistema immunitario e i comportamenti più salubri delle donne – meno fumo, meno alcol, maggiore attenzione alla salute – contribuiscono significativamente alla longevità delle donne.
La campagna allunga la vita?
La distribuzione geografica dei centenari giapponesi rivela un altro pattern sorprendente: le prefetture rurali detengono i primati di longevità, con Shimane che guida per il 13° anno consecutivo con 168,69 centenari per 100mila abitanti, seguita da Kochi e Tottori. Le metropoli registrano invece valori drasticamente inferiori: Saitama si ferma a 48,50 centenari per 100mila abitanti, Aichi a 53 e Osaka a 55,44.
Il tutto, mentre le campagne nipponiche continuano a svuotarsi dei giovani: il 94% delle comunità rurali giapponesi è “al limite” per sostenibilità demografica, perché oltre la metà della popolazione è over 65.
L’Italia presenta dinamiche analoghe ma meno estreme: la Liguria guida la classifica nazionale con 61 centenari per 100mila abitanti, seguita dal Molise con 58 e dal Friuli Venezia-Giulia con 54. Anche nel nostro Paese le aree rurali affrontano un declino demografico accelerato: secondo le previsioni Istat la popolazione delle zone rurali diminuirà del 5,5% entro il 2031, passando da 10,1 a 9,5 milioni di residenti, con l’86% dei comuni rurali in saldo negativo.
Questo fenomeno crea una contraddizione strutturale: i territori che producono più centenari sono quelli che si svuotano più rapidamente di giovani, concentrando la longevità in aree sempre meno produttive e più ristrette.
Ma perché si vive di più in campagna? Anche in questo caso, le ragioni sono diverse: meno smog (per vedere la classifica delle città europee più inquinate, clicca qui), meno stress, dieta più sana e rapporti interpersonali genuini contribuiscono ad aumentare la durata della vita terrena. Un esempio lampante arriva proprio dall’isola giapponese di Okinawa, dove la collaborazione sociale costituisce un importante fonte di vitalità per gli anziani, che per gli altri rappresentano un aiuto, non un peso.
Per approfondire: L’elisir di Okinawa, dove si vive 13 anni in più e gli anziani sono una risorsa
Il prezzo del record
Mentre il governo distribuisce oltre 52mila lettere di congratulazioni ai nuovi centenari, tiene banco la preoccupazione per la crisi demografica dell’isola.
Nel 2024 il Giappone ha registrato appena 686.061 nascite, la cifra più bassa dal 1899, con un calo del 5,7% rispetto al 2023, quando le nascite erano state quasi 728mila. Per la prima volta nella storia moderna, le nascite sono scese sotto le 700mila unità, raggiungendo questo traguardo con quattordici anni d’anticipo rispetto alle previsioni ufficiali.
Il tasso di fertilità ha toccato il minimo storico di 1,20 figli per donna nel 2023, in calo dall’1,26 dell’anno precedente. A Tokyo, la situazione è ancora più drammatica: il tasso di fertilità della capitale giapponese è sceso a 0,99, sotto la soglia simbolica di 1 figlio per donna. Il saldo naturale della popolazione ha raggiunto il record negativo di -919.237 unità nel 2024, con 1.605.298 decessi contro le 686.061 nascite.
Pressata da questi numeri, Tokyo ha introdotto la settimana lavorativa di 4 giorni per i dipendenti pubblici sperando di incoraggiare le coppie giapponesi ad avere figli. L’esito di questa scelta offrirà indicazioni utili agli altri Paesi in crisi demografica, tra cui l’Italia, il Paese europeo dove la crisi demografica è più grave. Gli Indicatori demografici dell’Istat attestano che, nel 2024, il tasso di fecondità italiano ha raggiunto il minimo storico, fermandosi a 1,18 figli per donna.
L’accelerazione del declino (e il paragone con l’Italia)
La popolazione giapponese si è ridotta di 908.574 unità nel 2024, pari allo 0,75%, attestandosi a 120,65 milioni di abitanti. Si tratta del calo più significativo mai registrato dal 1968 e del sedicesimo anno consecutivo di diminuzione. Gli over 65 rappresentano ormai il 29,58% della popolazione totale (in Italia quasi il 25%), mentre la fascia 15-64 anni si attesta al 59,04%.
Le proiezioni demografiche dipingono scenari inquietanti: entro il 2060 gli over 65 rappresenteranno il 40% della popolazione giapponese, mentre il totale degli abitanti scenderà dai 128 milioni del 2010 agli 87 milioni. L’indice di dipendenza, che misura il rapporto tra anziani e popolazione attiva, dovrebbe raggiungere l’80% nel 2060, creando un peso insostenibile sul sistema previdenziale. Dalle parti nostre, il timore è che si verifichi una situazione analoga, seppure più in là nel tempo.
Secondo le previsioni del rapporto “World Population Prospects 2024” delle Nazioni Unite, entro il 2100 la popolazione potrebbe ridursi a soli 35,5 milioni generando un effetto struttura impossibile da ribaltare. In pratica, se anche aumentasse l’indice di fertilità ci sarebbero troppe poche donne per far tornare positivo il saldo. Secondo lo studio “Rinascita Italia”, continuando con questo trend, entro il 2307 la popolazione italiana sarà estinta.
Le conseguenze economiche e sociali
La carenza di manodopera spinge sempre più anziani a continuare a lavorare oltre l’età pensionabile, mentre la partecipazione femminile al lavoro è salita al 73% nel 2019 dal 57% del 1990. Secondo le proiezioni, i lavoratori nipponici di età pari o superiore a 55 anni si avvicineranno al 40% della forza lavoro entro la fine del decennio.
Il fenomeno delle case vuote (akiya) illustra la crisi in maniera forse un po’ nostalgica, di sicuro molto eloquente: oltre nove milioni di abitazioni disabitate punteggiano l’isola, con un aumento dell’80% negli ultimi vent’anni. Questo eccesso di offerta immobiliare riflette la migrazione interna dalle aree rurali e il cambiamento dei modelli familiari in una società sempre più annichilita.
La crisi demografica negli altri Paesi asiatici
Se c’è una cosa che unisce Oriente e Occidente, quella è la crisi demografica. Oltre al Giappone, infatti, anche la ‘giovane’ Corea del Sud vede le sue culle sempre più vuote. Anche a causa di una consolidata discriminazione delle donne, il Paese ha battuto i vicini nipponici facendo registrare il tasso di fertilità più basso al mondo con 0,72 figli per donna nel 2023. Le proiezioni indicano un dimezzamento della popolazione entro la fine del secolo. Non va meglio in Corea del Nord, un altro Paese investito dalla crisi demografica negli ultimi anni. Era dicembre 2023, quando il dittatore Kim Jong-un si rivolse in lacrime alle donne nordcoreane: “Vi prego, fate più figli”, disse durante il National Mothers’ Meeting di Pyongyang, la prima iniziativa pro natalità nei suoi (allora) undici anni al potere.
Non è immune dalla crisi demografica la Cina di Xi Jinping, che, tra le varie misure, ha lanciato i corsi d’amore nelle università per rilanciare le nascite.
Insomma, il Giappone non è solo, ma la velocità con cui sta invecchiando la popolazione nipponica resta un unicum: mentre altri Paesi hanno impiegato decenni per attraversare la transizione demografica, il Giappone l’ha bruciata in tempi record.
Gli economisti dell’Università del Tōhoku hanno fatto un calcolo aritmetico e restituito il suo esito beffardo: mantenendo l’attuale trend, nel 3776 il Giappone avrà un solo bambino rimanente. Numeri che hanno spinto il primo ministro Shinzō Abe ad attuare specifiche misure per arrestare il declino demografico e stabilizzare il numero di abitanti a 100 milioni. Politiche dall’esito incerto, mentre i centenari giapponesi, quelli sì, sono quasi centomila.