Dillo in dialetto, oggi è la giornata giusta
- 17/01/2024
- Popolazione
L’Italia si unisce nella celebrazione delle sue lingue locali. Il 17 gennaio ricorre la Giornata Nazionale dei Dialetti, istituita nel 2013 dall’Unione Nazionale delle Pro Loco (Unpli), per sensibilizzare istituzioni e comunità locali sull’importanza di tutelare e valorizzare i dialetti, veri e propri patrimoni culturali immateriali. Il presidente dell’Unpli, Antonino La Spina, sottolinea l’inarrestabile senso di identità e comunità portato avanti da dialetto e lingue locali, riconosciuti e protetti dall’Unesco come tesori da custodire e diffondere.
L’uso dei dialetti in Italia
Nel rapporto più recente dell’Istat, basato sui dati del 2015, emergono interessanti tendenze sull’uso dei dialetti in Italia. Il 45,9% della popolazione si esprime prevalentemente in italiano in famiglia, mentre il 32,2% utilizza sia italiano che dialetto. Solo il 14% preferisce il dialetto, mentre il 6,9% ricorre a un’altra lingua. Tra gli over 75, il 32% parla esclusivamente o prevalentemente in dialetto in famiglia.
L’uso esclusivo del dialetto mostra una costante diminuzione nel tempo, attestandosi al 14% nel 2015. Al contrario, l’uso misto di italiano e dialetto è in aumento, raggiungendo il 32% nelle dinamiche familiari nel 2015. Questa tendenza è evidente anche tra gli amici, passando dal 27,1% nel 1988 al 32,1% nel 2015. Con gli estranei, l’uso del dialetto, anche in alternanza con l’italiano, continua a diminuire, segnando il 12,9% nel 2015.
Le differenze regionali nell’uso linguistico sono notevoli. L’italiano prevale nel Nord-ovest e al Centro, con la Toscana in testa al 74,9%, mentre al Sud e nelle Isole il dialetto è più diffuso. La Campania, la Calabria e la Sicilia mostrano un uso minore dell’italiano, attestandosi rispettivamente al 20,7%, 25,3% e 26,6%.
Normative e impegni internazionali
In Italia, la diversità linguistica è un patrimonio prezioso, riflettendo le radici storiche e culturali del paese. Dodici “Minoranze Linguistiche Storiche” sono particolarmente tutelate dalla Legge 15 Dicembre 1999, n. 482, che riconosce l’importanza di preservare la lingua e la cultura di popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate, e di coloro che parlano il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
L’articolo 6 della Costituzione italiana afferma il dovere della Repubblica di tutelare le minoranze linguistiche, un impegno sancito anche dalla legge del 1999. L’italiano è la lingua ufficiale, ma la normativa riconosce e protegge le lingue delle minoranze storiche.
La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, firmata nel 2000, e la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata nel 1997, sono ulteriori strumenti che impegnano l’Italia a non discriminare l’utilizzo delle lingue minoritarie e a garantire i diritti di utilizzo da parte delle minoranze in vari contesti, inclusi l’istruzione e la pubblica amministrazione.
La mappa dei dialetti
Oltre alle minoranze linguistiche, l’Italia è caratterizzata dalla diversità dialettale. Una linea ideale, che si estende da La Spezia a Rimini, segna il confine tra i dialetti settentrionali e quelli centro-meridionali. Questa divisione riflette due grandi gruppi: i gallo-italici a nord e i dialetti centro-meridionali e toscani a sud. La varietà di storia dell’Italia settentrionale si riflette nella maggiore diversità dei suoi dialetti.
Ogni dialetto riflette la sua storia, creando una varietà linguistica che non segue una linea retta, ma si sviluppa in segmenti distinti. L’Italia, così, emerge come un mosaico di lingue, dialetti e tradizioni, testimoni della sua identità plurale e della continua tutela delle sue minoranze linguistiche.
Dialetti o lingue regionali?
In Italia, il dibattito sulla distinzione tra “dialetti” e “lingue” si intensifica, evidenziando il paradosso intrinseco alla definizione ufficiale di queste varietà linguistiche. La legge regionale, utilizzando il termine ‘dialetti’, impedisce un riconoscimento ufficiale, alimentando dibattiti sulle lingue ‘non standard’.
Un argomento contro il riconoscimento dell’emiliano è la presenza di diverse varianti, ma questa critica solleva una questione fondamentale: tutte le lingue non standardizzate mancano di una forma standard fino a quando non ricevono un riconoscimento ufficiale. La stessa situazione è riscontrabile nel caso del sardo, che, pur essendo riconosciuto a livello europeo, non ha ancora una forma scritta standardizzata.
L’Unesco riconosce al lombardo lo status di lingua, ma lo Stato italiano continua a considerarlo un dialetto. Lo stesso si applica al ligure, parlato anche nel Principato di Monaco, classificato come lingua gallo-romanza ma non riconosciuto ufficialmente in Italia.
In Sicilia, nonostante l’autonomia, manca il riconoscimento ufficiale della lingua siciliana, sebbene sia distintamente differente dall’italiano standard, come evidenziato da Ethnologue. Anche il napoletano e le lingue italo-meridionali, secondo l’Unesco, sono considerati lingue separate, ma rimangono confinati nel “ghetto” dei dialetti secondo la cultura ufficiale italiana.
La lingua napoletana, su tutte, è supportata da un’illustre tradizione letteraria e musicale. È sempre più frequente ascoltare, sulle frequenze nazionali, canzoni di giovani artisti in dialetto, come l’ultimo singolo della lucana Angelina Mango “Che t’o dico a fa’”, cantato in italiano con strofe in napoletano.
E sarà in slang napoletano strettissimo anche il brano che il rapper Geolier porterà a Sanremo 2024, ‘I p’ me, tu p’ te’ che si candida a diventare una delle frasi tormentone del festival.
Il paradosso persiste: lingue vivaci e ricche di storia sono ancora imprigionate nell’etichetta di “dialetti”, mentre la lotta per il riconoscimento ufficiale continua a illuminare il cammino verso la valorizzazione e la tutela delle identità linguistiche che compongono il mosaico culturale dell’Italia. #giornatadeldialetto #dilloindialetto
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