Crisi demografica, l’Ue punta sui migranti, la Cina sui robot
- 10 Giugno 2025
- Popolazione
Più che la “via della seta” potè la crisi demografica. Se si cerca un punto di contatto tra Unione europea è Cina, la denatalità è sicuramente la sfida più importante per entrambe le aree. Ma i paragoni finiscono al punto di partenza: Bruxelles e Pechino stanno adottando strategie diametralmente opposte per contrastare il calo delle nascite e le sue ricadute economiche.
Come analizzato da Alberto Rizzi, policy fellow dello European Council on Foreign Relations, nello studio “Markets, Migrants, Microchips: European Power in a World of Demographic Change“, mentre la Cina risponde al declino della forza lavoro con un’accelerazione massiccia dell’automazione industriale, l’Unione Europea punta sull’immigrazione come soluzione principale.
Due approcci che riflettono non solo differenze tecnologiche ed economiche, ma anche valori politici e sociali profondamente diversi.
Cina, robot al posto degli operai
Man mano che l’intelligenza artificiale e la robotica si perfezionano, i robot nelle aziende cinesi aumentano. Nelle fabbriche tessili del Delta del fiume Yangtze, è già in atto una vera e propria rivoluzione silenziosa che ha trasformato il paesaggio industriale. Stabilimenti che richiedevano 100 operai per una produzione annua di 300 milioni di yuan (41 milioni di dollari) oggi funzionano con appena 4-5 lavoratori. I ritmi sincronizzati dell’attività umana sono stati sostituiti da movimenti rigidi e precisi delle macchine. Un altro esempio arriva da una fabbrica sita in Shenzen, dove gli umanoidi fanno azioni ripetitive e meccaniche al posto degli esseri umani. (per vederli all’opera, clicca su questo link).
Questa transizione verso la produzione robotica rappresenta la risposta strategica di Pechino alla contrazione demografica. Con una popolazione destinata a scendere da 1,4 miliardi a 1,2 miliardi entro il 2050 e un’età mediana che raggiungerà i 52 anni, la Cina ha scelto di sostituire i lavoratori mancanti con la tecnologia avanzata, ripudiando l’idea di affidarsi alla immigrazione per colmare la carenza di lavoratori.
L’obiettivo è triplice: mantenere stabili i costi del lavoro, proteggere le catene industriali dalla delocalizzazione verso Paesi con manodopera più economica nel Sud-Est asiatico e vincere la gara dell’intelligenza artificiale contro gli Usa. La robotizzazione consente alle aziende cinesi di consolidare la propria posizione competitiva senza dipendere da una forza lavoro in diminuzione.
L’approccio europeo: l’immigrazione come ancora di salvezza
L’Unione Europea ha scelto una strada completamente diversa. Con una popolazione lavorativa destinata a contrarsi del 20% entro il 2050 e la fascia 75-84 anni in crescita del 60%, l’Europa vede nell’immigrazione la chiave per affrontare la crisi demografica.
I numeri parlano chiaro: nel 2023 quasi 6 milioni di persone si sono trasferite in un Paese Ue, principalmente da nazioni extra-europee. Senza questo contributo esterno, la popolazione europea sarebbe già in declino dal 2012, con un saldo naturale negativo di -2,6 per mille nel 2023.
In meno di due anni, 6 milioni di ucraini hanno trovato accoglienza in Europa; di questi il 40% è già integrato nel mercato del lavoro. Polonia, Germania, Italia e Spagna hanno accolto il maggior numero di rifugiati, dimostrando che l’Europa sa mobilitarsi rapidamente quando necessario.
Vantaggi e limiti dei due modelli
Sia il modello cinese che il modello europeo hanno dei pro e dei contro in chiave economica. L’apertura ai migranti tocca corde ancora più profonde, che riguardano l’obbligo morale di accogliere chi rischia la propria vita per averne una dignitosa.
Il modello cinese
L’automazione offre vantaggi immediati in termini di produttività ed efficienza. I robot non invecchiano, non si ammalano, non scioperano. La Cina può mantenere la propria competitività industriale senza affrontare le complessità dell’integrazione sociale e culturale tipiche dell’immigrazione.
Tuttavia, questo approccio presenta limiti strutturali. L’automazione richiede investimenti massicci in ricerca e sviluppo, infrastrutture tecnologiche avanzate e personale altamente qualificato per la manutenzione. Un altro punto debole è la scarsità di precedenti da cui prendere spunto per correggere gli errori. Inoltre, settori come l’assistenza agli anziani, l’educazione e molti servizi richiedono comunque una interazione umana.
Ad ogni modo, la Cina continua imperterrita su questa via e da settembre studiare l’intelligenza artificiale sarà obbligatorio già dai sei anni di età.
Il modello europeo
L’immigrazione porta benefici economici documentati: i migranti hanno contribuito al 70% della crescita della forza lavoro europea nell’ultimo decennio e versano più tasse di quante prestazioni ricevano.
Non si tratta di un semplice calcolo matematico, di posti rimpiazzati e di opportunità: la diversità culturale stimola l’innovazione e la creatività di tutti, europei inclusi, e questi sono elementi preziosi per la competitività a lungo termine soprattutto adesso che l’Ai sta prendendo sempre più piede. Al tempo stesso, l’integrazione richiede investimenti significativi in educazione, formazione linguistica, alloggi e servizi sociali. Le tensioni politiche e sociali legate all’immigrazione rappresentano da sempre una sfida costante per la coesione europea, e spesso rappresentano il principale motivo di scontri e divisioni tra i partiti.
L’automotive come settore simbolo
Il settore automobilistico illustra perfettamente le differenze tra i due approcci. La Cina ha sviluppato una catena del valore completamente integrata per i veicoli elettrici, supportata da automazione avanzata e politiche statali mirate. Secondo le stime di Ecfr, le vendite di veicoli a nuova energia raggiungeranno 16,5 milioni di unità nel 2025, con una crescita del 30% annuo.
La capacità produttiva cinese di 25 milioni di veicoli elettrici entro fine 2025 supererà la produzione combinata di Germania (4 milioni), Giappone (8 milioni) e Stati Uniti (10 milioni) per tutti i tipi di automobili. Questo dominio deriva in gran parte dall’integrazione verticale e dalle economie di scala rese possibili dall’automazione oltre che dalle condizioni di lavoro inconcepibili per i principi europei e dal domini sulle terre rare.
L’Europa, dal canto suo, fatica a competere. Le aziende tedesche, storicamente dominanti nel settore, si trovano spiazzate dalla transizione elettrica e dalla competizione cinese. Molte hanno dovuto localizzare la produzione in Cina per rimanere competitive, creando una dipendenza strategica pericolosa.
Da qui la decisione di Ursula von der Leyen di congelare le multe al settore auto per tre anni secondo il meccanismo illustrato in questo articolo.
Implicazioni geopolitiche
Le due strategie di affrontare la crisi demografica hanno conseguenze geopolitiche profonde. La Cina, puntando sull’automazione, riduce la propria dipendenza da fattori esterni e rafforza l’autosufficienza tecnologica. Questo approccio si allinea con la strategia di “doppia circolazione” che privilegia il mercato interno e riduce le vulnerabilità esterne.
L’Europa, scegliendo l’immigrazione, deve gestire relazioni complesse con i Paesi di origine dei migranti, spesso caratterizzate da instabilità politica ed economica. La dipendenza da flussi migratori esterni rende l’Europa vulnerabile a shock geopolitici e crisi umanitarie.
Entrambi i modelli presentano questioni di sostenibilità.
L’automazione cinese richiede un continuo upgrading tecnologico e investimenti crescenti in ricerca e sviluppo. La competizione globale nell’intelligenza artificiale e nella robotica potrebbe erodere i vantaggi attuali.
L’immigrazione europea, pur essendo una soluzione immediata, non riesce ad invertire completamente il trend di invecchiamento demografico, come abbiamo visto più volte su queste pagine. Inoltre, la capacità di assorbimento ha limiti politici e sociali che potrebbero restringere i flussi futuri.
Verso un modello ibrido?
La realtà suggerisce che nessuno dei due approcci è completamente autosufficiente. La Cina, nonostante l’automazione massiccia, continua ad attrarre lavoratori qualificati dall’estero, specialmente nei settori ad alta tecnologia. L’Europa, parallelamente, sta investendo sempre più in digitalizzazione e intelligenza artificiale per compensare la carenza di manodopera.
L’Ai può generare:
- aumento dell’efficienza lavorativa: può aiutare aziende, professionisti e lavoratori a migliorare l’efficienza operativa e a guadagnare un vantaggio competitivo. L’Ai può automatizzare i processi produttivi, ridurre gli errori umani e migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi offerti;
- automazione dei processi produttivi: può svolgere un ruolo fondamentale nell’automazione dei flussi di lavoro per la gestione dei progetti. L’Ai può essere impiegata con diverse finalità come la manutenzione predittiva, il rilevamento di prodotti di bassa qualità, l’automazione di fabbrica, l’automatizzazione del design dei prodotti, l’intelligenza dei robot e ancora, in ambito logistico e di pianificazione, per la previsione di tempi di consegna più precisi, la previsione della tendenza del business aziendale e anche per la sicurezza;
- riduzione degli sprechi: migliorando l’efficienza in vari settori, come la produzione, la sanità e i trasporti, l’Ai può ridurre i costi e gli sprechi nei processi produttivi, generando un vantaggio anche per l’ambiente;
- creazione di nuovi posti di lavoro: checché se ne dica, anche dietro l’intelligenza artificiale ci sono gli esseri umani. Per tanto, la maggiore diffusione di questa tecnologia può creare nuovi posti di lavoro in ambito tecnologico, come sta già accadendo.
Secondo le stime di Pwc, l’intelligenza artificiale generativa può far aumentare il Pil mondiale del 26% entro il 2030. Una stima sull’Italia arriva da Accenture, secondo cui la maggiore diffusione dell’Ia potrebbe generare un aumento del Pil di circa il 2,9% entro il 2035 solo per il Belpaese mentre uno studio Focus Censis Cooperative prevede che, entro dieci anni, 15 milioni di lavoratori italiani saranno travolti dall’Ai (9 dovranno imparare a usarla, 6 rischiano la sostituzione: per approfondire, clicca qui).
Entrambi gli approcci presentano vantaggi e rischi. Il successo dipenderà dalla capacità di adattare le strategie alle sfide emergenti, mantenendo la competitività economica senza sacrificare la stabilità sociale. Una strategia utile, sia per Pechino che per Bruxelles, è quella di prendere spunto l’uno dall’altra.