Apre a Torino la contestata ‘Stanza dell’ascolto’ per convincere le donne a non abortire
- 12/09/2024
- Popolazione
A nulla sono valse le polemiche, le proteste e un ricorso al Tar (dichiarato non ‘urgente’ e dunque ancora pendente): a un anno dall’accordo tra l’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e il Movimento per la Vita, associazione anti-abortista di ispirazione cattolica e conservatrice, all’ospedale Sant’Anna del capoluogo piemontese ha aperto una “stanza dedicata all’accoglienza e all’ascolto” per le donne che intendono interrompere la propria gravidanza.
Si tratta di uno sportello accessibile su appuntamento, ‘liberamente’ e ‘volontariamente’ (nelle parole dell’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone che l’ha voluto), da chi vuole abortire e intende parlarne prima con qualcuno. Lunedì 9 settembre ha aperto ufficialmente i battenti, anche se non ci sono state richieste. Occorre precisare che se rivolgersi ai volontari della ‘stanza’ è una scelta personale, i sanitari dell’ospedale possono comunque indirizzare le donne verso questo passaggio prima di procedere all’intervento.
Dietro all’accordo, come accennato, c’è anche l’assessore Marrone, di Fratelli d’Italia, secondo cui lo sportello servirà ad aiutare le donne che desiderino “farsi aiutare nel vedere garantito il diritto ad avere i loro figli con progetti di sostegno”, e a “far superare le cause che potrebbero indurle alla interruzione della gravidanza”.
Non è ben chiaro tuttavia quali siano queste cause: tentennamenti dovuti alla pressione sociale, sensi di colpa di varia provenienza? Sicuramente c’è la volontà di fornire un supporto economico, ma si tratta di un aiuto una tantum e dunque si può dubitare che possa fare la differenza nella scelta di una persona.
L’iniziativa finanziata da soldi pubblici
Al di là dei dubbi, c’è anche un altro problema: la ‘stanza’ sarà finanziata dal ‘Fondo vita nascente’, istituito con una delibera dalla Regione Piemonte e finanziato dunque con soldi pubblici: oltre 400mila euro negli anni scorsi, quasi un milione di euro per il 2024.
Claudio Larocca, presidente regionale del Movimento per la Vita, ha detto che il fondo servirà ad acquistare materiali per la prima infanzia – ad esempio latte in polvere o pannolini – da dare a chi decide di abortire per motivi economici, in modo da motivarla a cambiare idea.
Tuttavia rimane confusione sull’utilizzo dei fondi e sul criterio con cui verrebbero erogati alle donne (tramite ISEE, graduatorie o cosa?) e anche sul loro effettivo utilizzo: secondo quanto denunciato dalle associazioni femministe e per i diritti civili, i soldi potrebbero anche essere usati per fare ‘propaganda anti-abortista’. D’altronde è lo stesso bando per il finanziamento del Fondo vita nascente a prevedere che il 35% dei fondi venga usato per consulenze esterne, pubblicità e promozione. Ricordiamo però che si tratta di soldi pubblici e che il nostro ordinamento, almeno in teoria, garantisce l’aborto.
La scelta dell’ospedale pubblico Sant’Anna nemmeno è casuale: è il primo centro in Italia per numero di parti (6414 nel 2022) e il primo in Piemonte per interruzioni volontarie di gravidanza: 2500 quelle effettuate nel 2021, il 50% di tutta la regione.
I problemi della legge 194/78
Il problema è a monte: la famosa legge 194/78 infatti non tutela il diritto di abortire in sé come espressione della libera scelta e dell’autodeterminazione della donna, quanto il diritto di accedere all’interruzione di gravidanza in presenza di “situazioni sfavorevoli”.
In pratica, la norma regola i casi in cui l’aborto non è reato e anzi prevede esplicitamente che i consultori stipulino accordi con delle associazioni che aiutino “la maternità difficile dopo la nascita”. Prevede anche che i consultori contribuiscano a far “superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza”. Espressione non a caso usata dall’assessore Marrone che, come sta avvenendo sempre più nel dibattito in materia, può dire che “stiamo soltanto applicando la legge”.
Ma la battaglia continua, a partire dal ricorso presentato al Tar ad ottobre 2023 dalla CGIL e dal movimento femminista Se Non Ora Quando Torino, che hanno chiesto che l’accordo venisse revocato perché in violazione dei principi della legge 194/78. La discussione del ricorso, presentato in ‘urgenza’ ma la cui urgenza non è stata riconosciuta, è stata rimandata a data da definirsi. Ora che la stanza è stata aperta, le associazioni torneranno all’attacco: “Credo che la Regione Piemonte, in completa sintonia col governo centrale, stia continuando a fare propaganda sulla famiglia e sulla natalità sulla pelle delle donne, e questo è inaccettabile”, ha commentato Anna Maria Poggio, segretaria della Cgil piemontese.
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