Accordi prematrimoniali, arriva l’apertura della Cassazione
- 12 Agosto 2025
- Popolazione
Sarà più facile stipulare accordi prematrimoniali in Italia, senza incorrere nel rischio di firmare un atto nullo, purché il patto serva a proteggere interessi meritevoli di tutela.
Con l’ordinanza 20415, la corte di Cassazione ha infatti giudicato lecito l’accordo tra marito e moglie nonostante il tradizionale orientamento giurisprudenziale che ritiene questi patti nulli per illiceità.
Il nostro ordinamento non li riconosce a pieno, ma il recente orientamento della Suprema Corte apre spiragli a specifiche tipologie di accordi prematrimoniali.
Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto lecito l’accordo laddove prevede che, in caso di separazione, il marito si impegna a restituire alla moglie il denaro speso dalla donna per pagare di tasca propria le spese di ristrutturazione di una casa intestata al marito.
La decisione aumenta l’elasticità sui patti prematrimoniali, che restano comunque in una zona grigia: quando questi accordi sono leciti e quando, invece, si rischia di scoprire che quel patto è nullo? Facciamo chiarezza.
Patti prematrimoniali, cosa dicono la legge e la giurisprudenza
La giurisprudenza italiana considera tradizionalmente nulli i patti prematrimoniali per “illiceità della causa”, in quanto contrastano con i principi di indisponibilità degli status e dell’assegno di divorzio. Il ragionamento è semplice: i coniugi hanno il reciproco dovere di aiutarsi economicamente anche dopo la separazione, e la parte economicamente più debole potrebbe avere diritto a un assegno da parte dell’ex coniuge. L’articolo 160 del Codice civile stabilisce che gli sposi non possono venir meno né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.
La stessa definizione di “accordo” contrasta con la natura del matrimonio, che per l’ordinamento italiano non è un contratto, bensì un atto personale che, come tale, regola i rapporti affettivi piuttosto che quelli economici.
L’obiettivo della normativa e della giurisprudenza è impedire che i patti prematrimoniali, regolando gli effetti economici della separazione, trasformino il matrimonio in una sorta di “affare” tra coniugi, snaturandone il significato affettivo.
Tuttavia, da oltre dieci anni, la Cassazione ha mostrato segni di apertura su questi patti, purché il loro contenuto serva ad aumentare, e non a diminuire, le garanzie per il coniuge economicamente più debole.
L’ordinanza di luglio 2025
L’ultima ordinanza della Cassazione va in questo senso: la corte ha ritenuto lecito l’accordo prematrimoniale qualificandolo come un contratto atipico diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela (articolo 1322 del Codice civile), ovvero quelli della moglie che aveva utilizzato i propri soldi per ristrutturare una casa di cui non potrà più godere in seguito al divorzio. In questo caso la separazione funge da clausola sospensiva del patto, che varrà solo e se si verificherà la condizione. In altre parole, la separazione non è intesa dalla Cassazione come “causa” dell’accordo, ma come accadimento dal quale dipende l’efficacia dell’accordo prematrimoniale e, nel caso specifico, l’obbligazione per il marito di restituire alla moglie i soldi prestati per ristrutturare la casa di proprietà dell’uomo.
L’ordinanza 20415/2025 non va accolta come la svolta definitiva sulla liceità dei patti preconiugali o coniugali con cui i coniugi (o i futuri coniugi) stipulano sistemazioni patrimoniali in caso di separazione o divorzio. Recenti decisioni confermano la rigidità della Cassazione su questi accordi: a fare la differenza è lo specifico contenuto del patto prematrimoniale.
Le decisioni precedenti
Nell’aprile 2021 la Cassazione aveva ribadito il proprio orientamento con un’altra ordinanza, la numero 11012.
In quella occasione, la Suprema Corte aveva dichiarato invalidi per illiceità della causa gli accordi patrimoniali sottoscritti in sede di separazione che disciplinano anche i futuri rapporti economici in vista del divorzio.
A differenza della decisione di luglio scorso, nel 2021 la Cassazione aveva specificato che l’accordo è nullo anche qualora soddisfi pienamente gli interessi della parte economicamente più debole, ritenendo che una pattuizione preventiva potrebbe influenzare il consenso al divorzio.
Nel caso specifico, i coniugi avevano concordato in sede di separazione il versamento di un assegno “vita natural durante”. I giudici hanno stabilito che il giudice del divorzio deve:
- Qualificare la natura dell’accordo, distinguendo se si tratti di regolamentazione di rapporti patrimoniali già esistenti o di disciplina dell’assegno divorzile;
- Verificare autonomamente la sussistenza dei presupposti per l’assegno di divorzio, senza limitarsi a confermare automaticamente quanto pattuito in separazione.
L’ordinanza del 2021 ha accolto il ricorso e annullato la decisione della Corte d’Appello, disponendo il rinvio per nuovo esame.
Questo pronunciamento conferma l’orientamento consolidato della Cassazione (già espresso nelle sentenze 2224/2017 e 5302/2006) contrario alla validità dei patti prematrimoniali che disciplinano gli aspetti economici della crisi coniugale.
Patti prematrimoniali, quando sono validi?
Il sistema giurisprudenziale naviga tra principi opposti, cercando equilibri sempre più complessi tra autonomia privata e tutela dell’istituto matrimoniale.
La Suprema Corte si trova a gestire da un lato la pressione sociale verso una maggiore libertà contrattuale, dall’altro la fedeltà ai principi tradizionali del diritto di famiglia italiano. Il risultato è una giurisprudenza a geometria variabile che ammette eccezioni senza demolire il principio generale.
I requisiti
La giurisprudenza ammette la validità parziale di questi accordi a condizioni precise:
- Devono prevedere maggiore tutela, contenendo norme più garantiste rispetto all’omologa di separazione;
- Non possono riguardare diritti indisponibili come l’assegno di divorzio quando sia presente un coniuge economicamente debole;
- Devono integrare in modo migliorativo solo i risvolti patrimoniali;
- Sono validi per cittadini italiani residenti all’estero che abbiano scelto di applicare normativa straniera conforme all’ordine pubblico.
Questi punti non vanno comunque considerati come legge, perché tali non sono. L’ordinamento consente ai coniugi un’ampia autonomia nel regolare il regime patrimoniale attraverso le convenzioni matrimoniali dell’articolo 162 del Codice civile, stipulabili “in ogni tempo” anche prima del matrimonio.
I contratti di convivenza: l’alternativa possibile
Paradossalmente, chi convive more uxorio gode di maggiore libertà contrattuale. Nei contratti di convivenza è infatti possibile regolamentare gli interessi tra i conviventi senza incontrare i divieti derivanti dai doveri coniugali o dall’indisponibilità dell’assegno divorzile.
Sul punto, giova ricordare infine la storica sentenza 35385/2023 emanata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione il 18 dicembre 2023.
In quella occasione, la Suprema Corte ha stabilito che il giudice, nel decidere sul diritto all’assegno di divorzio e nel quantificarlo, deve tenere conto anche del periodo di convivenza precedente al matrimonio.
Allora, come nell’ordinanza di luglio, decisivo è stato il contesto culturale e l’evoluzione del concetto di famiglia: “la convivenza prematrimoniale – hanno scritto i giudici nel provvedimento – è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”.