25 aprile, la guerra civile a cui dobbiamo la nostra libertà
- 24/04/2025
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La Festa della Liberazione è più di una semplice commemorazione storica; il 25 aprile è il momento in cui l’Italia ricorda la propria rinascita democratica dopo il Ventennio più buio della sua storia. Nord e Sud del Paese non sono mai stati così uniti come in quei mesi.
Nell’80° Anniversario della Liberazione, ripercorriamo come il nostro Paese si presentava nell’aprile 1945: non una nazione unita, ma un territorio frammentato da linee invisibili che separavano ideologie, generazioni e classi sociali. Un Paese che combatteva contro un nemico esterno, ma anche una dolorosa guerra civile, dove le divisioni attraversavano città, quartieri e persino le famiglie.
La lotta dei partigiani contro l’occupazione nazifascista iniziò mentre il regime del duce si disintegrava, nel 1943, e finì il 25 aprile 1945, anche se gli scontri durarono (con minore intensità) fino al 2 maggio di quell’anno.
Lotta per la Resistenza, come era divisa l’Italia?
Per ragioni storiche e geografiche, non tutte le zone d’Italia poterono dare lo stesso contributo alla causa. Tutti gli oppositori al regime, però, rischiarono la loro vita per un ideale più grande: quello della libertà. 44.700 partigiani (stime Anpi) morirono durante la lotta per la Resistenza e 23.000 civili furono uccisi in rappresaglie nazifasciste, come le stragi di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine.
Il Nord in fiamme: epicentro della lotta partigiana
La distribuzione geografica delle forze partigiane in Italia non fu uniforme. Il fenomeno della Resistenza assunse dimensioni significative nelle regioni settentrionali, dove l’occupazione nazista e la Repubblica Sociale Italiana (Rsi) esercitavano un controllo più diretto e oppressivo.
L’area appenninica dell’Italia centro-settentrionale costituiva un naturale rifugio per le formazioni partigiane. Le zone montuose offrivano protezione e la possibilità di condurre operazioni di guerriglia efficaci contro un nemico militarmente superiore. La lotta partigiana si sviluppò con particolare intensità in queste aree, creando una rete di resistenza che si estendeva in diverse regioni settentrionali.
Qui sorsero formazioni organizzate come le Brigate Garibaldi e Giustizia e Libertà, impegnate in azioni di guerriglia e sabotaggio. Milano, patria delle Cinque Giornate con cui, un secolo prima, la popolazione locale aveva respinto l’occupazione asburgica, divenne simbolo della lotta: la mappa “80 Luoghi per 80 anni di Libertà” documenta altrettanti siti legati a repressione e liberazione e testimonia l’intensità del conflitto urbano.
Nelle zone montane (Appennino, Alpi), i partigiani sfruttarono il territorio per azioni militari, creando basi come la Repubblica dell’Ossola. Anche le rappresaglie nazifasciste (Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema) colpirono soprattutto il Nord. Il giornalista Enzo Biagi descrisse così le stragi di civili compiute dai nazifascisti: “I tedeschi applicarono la loro legge spietata: per ogni soldato loro ucciso, dieci italiani sarebbero morti. E non importava se erano vecchi, donne, bambini. A Roma, dopo l’attentato di via Rasella, alle Fosse Ardeatine ne ammazzarono 335. Ma quante altre fosse, quante altre stragi?”. Egli stesso prese parte attiva alla Resistenza lasciandone una preziosa testimonianza nel libro: “I quattordici mesi. La mia resistenza”.
Il Sud Italia come motore nascosto della resistenza
Mentre il Nord Italia viveva il pieno della guerra civile, il Sud era la base operativa della resistenza perché era stato liberato prima (tra il 1943 e il 1944) dagli Alleati.
Il Meridione agiva come retroterra logistico per la liberazione del Nord offrendo alla storia forse il più alto momento di condivisione all’interno di un Paese profondamente diviso.
Da qui partivano armi, munizioni e medicinali destinati alle brigate partigiane del Centro e del Nord, spesso trasportati attraverso l’Appennino da staffette che rischiavano la vita per mantenere aperti i collegamenti. A Bari, il Comitato di liberazione nazionale regionale organizzò una rete clandestina in grado di smistare aiuti verso le formazioni garibaldine e autonome impegnate oltre la linea del fronte.
Il Sud ospitò anche strutture sanitarie di emergenza: in Puglia, località come Grumo Appula videro la nascita di veri e propri ospedali da campo, allestiti spesso in masserie o scuole, dove venivano curati sia partigiani italiani sia combattenti jugoslavi provenienti dai Balcani. Questi centri non erano solo luoghi di cura, ma anche punti di raccolta e smistamento per nuove reclute dirette ai fronti di liberazione come riportato dal Centro Studi “N. Fiorentino” di Grumo Appula.
Non meno importante fu il ruolo del Sud nell’addestramento dei combattenti. In Basilicata e Campania sorsero campi dove ex militari del Regio Esercito e volontari stranieri, in particolare jugoslavi, venivano istruiti nelle tecniche di guerriglia, spesso con il supporto di istruttori britannici dello Special Operations Executive (Soe). Nella Scuola Allievi Ufficiali di Acerra i partigiani imparavano il sabotaggio e l’uso degli esplosivi.
Il Sud Italia fu anche il luogo del coordinamento strategico tra le diverse anime della Resistenza e gli Alleati. Napoli, in particolare, ospitò la Missione Militare Britannica, incaricata di gestire i lanci aerei di rifornimenti e di mantenere i contatti con le brigate attive nell’Italia occupata. La Conferenza di Bari del gennaio 1944 segnò uno dei momenti chiave di questa collaborazione, con la pianificazione congiunta delle operazioni tra il Comitato di Liberazione Nazionale (Cnl), il Governo del Sud e gli Alleati.
Emblematico di questa funzione logistica è il percorso che da Sulmona raggiungeva le linee partigiane nelle Marche: ogni mese, centinaia di combattenti, documenti falsi e materiali radio partivano dal Sud, attraversavano sentieri montani e raggiungevano le zone di guerra dove combattevano i fratelli partigiani del Nord.
Il ruolo delle isole
Le isole maggiori e le aree più periferiche del Paese vissero la Resistenza con modalità e intensità differenti. In Sardegna e Sicilia, liberate relativamente presto dall’occupazione nazista, la lotta antifascista si manifestò principalmente attraverso forme di resistenza civile e opposizione politica, piuttosto che mediante lo scontro armato. Per ovvie ragioni logistiche, questi territori non potevano emulare il ruolo delle regioni meridionali continentali nel supportare la resistenza del Nord Italia.
Chi erano i partigiani
La composizione anagrafica del movimento partigiano rivela una predominanza giovanile. Molti combattenti per la libertà erano giovani che avevano rifiutato la chiamata alle armi della Repubblica di Salò o militari sbandati dopo l’8 settembre 1943. La Resistenza italiana vide la partecipazione di persone provenienti da diverse generazioni, ma furono soprattutto i giovani a costituire il nerbo delle formazioni combattenti.
La dimensione sociale della lotta
Nelle città industriali del Nord, la componente operaia giocò un ruolo fondamentale, organizzando scioperi e sabotaggi nelle fabbriche. Nelle aree rurali, invece, furono spesso i contadini a fornire supporto logistico e rifugio ai partigiani, creando quella “resistenza disarmata” essenziale per la sopravvivenza delle formazioni combattenti.
Ma la lotta di liberazione coinvolse anche persone di alta estrazione sociale, uniti dall’opposizione al nazifascismo. Gli intellettuali, gli insegnanti e i professionisti rappresentarono un’altra componente significativa del movimento resistenziale, contribuendo all’elaborazione ideologica e alla formazione di una coscienza democratica.
Le molteplici facce della Resistenza
Non tutti gli italiani si schierarono da una parte o dall’altra, molti cercarono di sopravvivere mantenendosi neutrali, in una sorta di “zona grigia” dove la preoccupazione principale era la sopravvivere in un Paese devastato dalla guerra.
Chi invece aveva deciso di prendere parte alla lotta veniva di contesti più disparati. La Resistenza italiana fu un movimento pluralista, che raccoglieva persone di diverse estrazioni ideologiche: comunisti, socialisti, azionisti, democristiani, liberali, monarchici e militari fedeli al Regno del Sud. Questa diversità ideologica, pur generando talvolta tensioni interne, pose le basi per il pluralismo politico della futura Repubblica Italiana.
Le modalità di resistenza al nazifascismo furono molteplici. Accanto alla lotta armata dei partigiani, esistevano forme di resistenza civile e non violenta: il supporto logistico ai combattenti, il salvataggio di perseguitati politici e razziali, la stampa clandestina, il sabotaggio passivo delle direttive fasciste.
La Resistenza italiana beneficiò anche del supporto internazionale, in particolare dello Special Operations Executive britannico, che fornì assistenza materiale e coordinamento alle formazioni partigiane tra il 1943 e il 1945. La collaborazione internazionale fu fondamentale per potenziare l’efficacia delle azioni partigiane contro le forze nazifasciste.
La Resistenza italiana fu parte di un più ampio movimento europeo di opposizione al nazifascismo come dimostra la presenza di partigiani stranieri nelle formazioni italiane. La lotta per la libertà travalicava le divisioni nazionali Nord-Sud e persino i confini della penisola.
Chi erano e come agivano i collaborazionisti
Sul versante opposto, le forze nazifasciste presentavano anch’esse una composizione eterogenea. La Repubblica Sociale Italiana attirò nelle sue file vecchi gerarchi fascisti, giovani fanatici e persone comuni che, per opportunismo o convinzione, scelsero di collaborare con il regime.
Il regime fascista utilizzò gli stessi strumenti amministrativi ideati per la persecuzione razziale per contrastare la Resistenza. La macchina burocratica, perfezionata durante il Ventennio, divenne un’arma letale contro i partigiani: archivi censuari, schede anagrafiche e procedure standardizzate furono riadattati per identificare sovversivi, sequestrare beni alle famiglie degli antifascisti e isolare socialmente i ribelli.
Dopo l’8 settembre 1943, gli uffici della Repubblica Sociale Italiana rielaborarono i dati della Direzione generale per la demografia e la razza (Demorazza) – originariamente creati per schedare gli ebrei – per tracciare ex militari sbandati, parenti di partigiani e simpatizzanti dei Cln. Le prefetture applicarono ai “traditori della Patria” misure già collaudate: revoca della cittadinanza, confische patrimoniali (formalizzate dal decreto Rsi del 21/09/1944) e controllo incrociato tra liste di leva e anagrafi comunali.
Persino i campi d’internamento per ebrei, come quelli di Campagna (Salerno) o Bagno a Ripoli, furono riconvertiti in centri di detenzione per prigionieri politici. La logistica degli arresti riutilizzò i medesimi trasporti ferroviari e moduli prestampati, mentre l’Ufficio politico investigativo di Pietro Koch sfruttò archivi preesistenti e informatori retribuiti per infiltrarsi nei gruppi partigiani.
La stessa efficienza burocratica che aveva escluso gli ebrei dalla società diventò il motore della caccia agli antifascisti, dimostrando come il fascismo avesse istituzionalizzato la persecuzione attraverso la normalità degli uffici.
L’eredità del 25 aprile
L’esperienza della Resistenza e la memoria del 25 aprile sono diventate parte essenziale dell’identità nazionale italiana. La trasmissione di questi valori alle nuove generazioni rappresenta una sfida educativa fondamentale, come dimostrano i numerosi progetti didattici sviluppati nelle scuole italiane.
Il format del documentario ha giocato un ruolo importante nella costruzione della memoria collettiva della Resistenza italiana. Nel periodo 1945-46, immediatamente successivo alla Liberazione, la produzione documentaristica contribuì a fissare nell’immaginario collettivo gli eventi e i valori della lotta partigiana. Questo patrimonio audiovisivo costituisce ancora oggi una preziosa risorsa per l’educazione delle nuove generazioni.
I luoghi della memoria
La mappa “80 Luoghi per 80 anni di Libertà”, realizzata per l’80° Anniversario della Liberazione a Milano, rappresenta un importante strumento di conoscenza storica e di memoria collettiva. Individuando simbolicamente 80 luoghi significativi della lotta antifascista e dell’occupazione nazifascista, la mappa si propone come “uno strumento orientativo accessibile, capace di connettere il passato al presente e di rendere evidente come la città porti ancora oggi innumerevoli segni degli eventi che hanno condotto alla Liberazione dal nazifascismo e alla nascita di un’Italia libera e democratica”.
Questa mappatura aiuta a comprendere come il tessuto urbano stesso sia stato scenario di eventi drammatici e di atti di coraggio che hanno plasmato l’Italia contemporanea. La suddivisione dei luoghi in sette categorie (Repubblica Sociale Italiana, Tedeschi, Bombardamenti, Persecuzione e Deportazioni, Rappresaglie, Resistenza e Partigiani, Insurrezione) offre una visione dettagliata del contesto in cui si sviluppò la guerra civile e mostra l’intreccio tra luoghi di oppressione e spazi di libertà.
Verso una comprensione condivisa della storia
La memoria della Resistenza e del 25 aprile ha conosciuto fasi alterne nella storia repubblicana, attraversando periodi di celebrazione unanime e momenti di contrapposizione ideologica. Oggi, a 80 anni da quegli eventi, emerge sempre più la necessità di una comprensione storica condivisa, che riconosca la complessità del periodo e l’importanza che quei mesi hanno avuto per il futuro del Paese. Le diverse geografie e demografiche della Resistenza e del fascismo che abbiamo esplorato non sono un esercizio di ricostruzione storica, ma un modo per comprendere le radici profonde della democrazia italiana.
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”, scriveva Piero Calamandrei. La repubblica democratica italiana è stata scritta col sangue e col coraggio di chi, in un Paese diviso, scelse da che parte stare.