Gap Nord-Sud, allarme rosso: nel Meridione quasi il doppio dei disoccupati e sanità al collasso
- 12/07/2024
- Popolazione
“Se non affrontato con urgenza il divario rischia di trasformarsi in una frattura che farà crollare le fondamenta economiche e sociali dell’Italia, ampliando ulteriormente le disuguaglianze”, è netto il commento di Raffaele Rio, presidente di Demoskopika, sul gap economico e sociale tra Nord e Sud Italia.
Nell’ultimo decennio, la forbice non è stata mai ampia come accaduto nel 2023, rivela l’indice del divario economico e sociale (INDES): 100 punti rispetto ai 92,5 punti del 2013. L’indice sviluppato dall’istituto di ricerca italiano prende in considerazione sette fattori: occupazione, disoccupazione, reddito disponibile familiare, speranza di vita, sanità, ricchezza pro-capite e povertà. Nell’ambito della ricerca, Demoskopika ha selezionato gli indicatori in base alla reperibilità della serie storica, all’ufficialità o all’autorevolezza delle fonti e alla rilevanza socio-economica.
Nonostante l’anno scorso il Sud sia cresciuto più del Nord in termini percentuali (rapporto Svimez), questa ulteriore indagine, che non si concentra solo sull’aspetto economico, rivela un’Italia sempre più spaccata. Il Mezzogiorno può ripartire dall’unico dato positivo emerso dalla ricerca, ovvero il tasso di occupazione.
Occupazione e disoccupazione in Italia
Per quanto riguarda il tasso di occupazione, l’INDES evidenzia un miglioramento sia al Nord che al Sud, con una riduzione del divario, che resta comunque molto ampio. Nel 2023, l’occupazione nel Nord è al 69,4%, mentre nel Mezzogiorno è al 48,2%, con un divario di 21,2 punti percentuali rispetto ai 22,4 punti percentuali del 2013. Questo indica progressi nel Mezzogiorno nell’accesso al mercato del lavoro. Tuttavia, in termini assoluti, il Mezzogiorno registra ancora 5,8 milioni di occupati in meno rispetto al Nord.
Anche la disoccupazione ha visto una riduzione in entrambe le aree e una riduzione del gap, ma il Sud presenta ancora tassi significativamente più alti. Nel 2023, la disoccupazione nel Nord è al 4,6%, contro il 14% del Mezzogiorno, con un divario di 9,4 punti percentuali rispetto agli 11,5 punti percentuali del 2013. Nonostante il miglioramento, il divario rimane ampio. Al Sud, nel 2023, i disoccupati sono quasi il doppio di quelli al Nord, con oltre un milione di persone in cerca di occupazione rispetto alle 592mila del Nord, per un divario di 433mila individui.
Il rapporto di Demoskopika evidenzia anche che quattro degli altri cinque indicatori – reddito disponibile familiare, speranza di vita, sanità e ricchezza pro-capite – hanno raggiunto il massimo punteggio di 100 punti, contribuendo all’aumento del divario. In particolare, l’indicatore delle persone a rischio di povertà ha registrato un picco negativo nel 2019, con un valore di 97,9 punti.
Reddito e povertà al Nord e al Sud
Nel 2023, la forbice del reddito disponibile familiare tra Nord e Sud Italia si è ulteriormente allargata. La differenza reddituale è passata dai 12.969 euro del 2013 ai 16.916 euro del 2023, con un abissale incremento delle disparità economiche pari al 30,4%. L’indice di riferimento è aumentato da 76,7 punti nel 2013 a 100 punti nel 2023, che si traduce in un potere d’acquisto significativamente maggiore per le famiglie del Nord rispetto a quelle del Mezzogiorno.
Chiaramente anche il prodotto interno lordo pro capite ha mostrato una crescita diseguale tra le due aree. Nel Nord, il PIL pro capite è aumentato da 32.919 euro nel 2013 a 36.904 euro nel 2023, mentre nel Mezzogiorno, è passato da 17.980 euro a 19.821 euro nello stesso periodo. Il divario in termini assoluti è pari a 17.083 euro nel 2023, anche questo in aumento.
Tradotto in termini INDES, il punteggio è passato da 87,4 nel 2013 a 100 punti nel 2023, riflettendo una maggiore capacità del Nord di generare ricchezza rispetto al Sud. Per ridurre questo divario, sarebbero necessarie politiche di sviluppo economico mirate, come l’attrazione di investimenti e il supporto all’imprenditorialità nel Mezzogiorno.
L’altro lato della medaglia misura la povertà e conferma quanto visto sopra: la povertà nel Mezzogiorno continua a essere significativamente più alta rispetto al Nord, con una tendenza al peggioramento. Nel 2023, quasi 4 milioni di persone in più erano a rischio povertà nel Mezzogiorno rispetto al Nord: 6,7 milioni al Sud contro poco più di 2,7 milioni al Nord e il divario rischia di allargarsi con l’autonomia differenziata.
Parlare in termini assoluti offre un’analisi parziale perché il Sud è (sempre) meno popolato del Nord Italia. Se si guardano ai tassi, però, la situazione resta preoccupante: nel 2023 il tasso di povertà è del 9,9% nel Settentrione contro il 33,7% del Meridione. Un divario di 23,8 punti percentuali rispetto ai 22,9 punti percentuali del 2013. L’indice di povertà è passato da 94,2 nel 2013 a 97,9 punti nel 2023, il che significa che una parte significativa della popolazione del Mezzogiorno vive in condizioni di povertà.
Al Sud si vive un anno e mezzo in meno
Cosa fa più male alla salute, la povertà o lo stress? Una risposta, almeno parziale, arriva dall’indagine di Demoskopika. Si è soliti pensare il Sud Italia offra quantomeno un miglior tenore di vita rispetto al Nord e, più in generale, una salute migliore. Le difficoltà economiche e strutturali, però, contrastano i benefici naturali che il Mezzogiorno offre ai suoi residenti e così, nonostante il proverbiale “tran tran”, al Nord Italia la speranza di vita è più alta rispetto al Meridione.
Nel 2023, la speranza di vita è di 83,6 anni nel Nord e 82,1 anni nel Mezzogiorno; quindi, in media si vive un anno e mezzo di più al Nord. Dieci anni prima, nel 2013, la differenza era meno marcata: 82,7 anni nel Nord e 81,6 anni nel Sud e nelle Isole, con un divario di 1,1 anni. In pratica, nell’ultimo decennio il Mezzogiorno ha perso circa cinque mesi di longevità rispetto al Nord. In termini di INDES, la forbice sulla speranza di vita è aumentata da 68,8 nel 2013 a 100 punti nel 2023, segnalando un peggioramento relativo delle condizioni nel Sud.
Bisogna sottolineare che su questo incide anche la carenza della sanità pubblica che se al Nord è un problema al Sud è sempre più un dramma. Insomma, povertà e ospedali al collasso inficiano sulla speranza di vita nel Meridione, al netto della qualità della vita di tutti i giorni.
Le differenze nella sanità tra Nord e Sud Italia
Una conferma arriva dall’indicatore sanitario di Demoskopika che si riferisce alla valutazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che misurano la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari.
In questo caso l’ultimo anno disponibile con dei dati è il 2022, quando il divario tra Nord e Sud ha raggiunto 68,3 punti rispetto ai 57,2 punti del 2017. In soli cinque anni l’INDES sanitario ha registrato un allargamento della forbice Nord-Sud di oltre dieci punti percentuali, evidenziando una crescente disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi sanitari. L’indice sanitario è passato da 83,7 nel 2017 a 100 punti nel 2022.
Ovviamente, questa disparità produce effetti significativi sulla salute della popolazione del Mezzogiorno, contribuendo a una minore speranza di vita e a un peggioramento generale della qualità della vita. Per migliorare questa situazione, è necessario aumentare gli investimenti nella sanità nel Mezzogiorno, garantendo che i LEA siano rispettati uniformemente su tutto il territorio nazionale. E proprio questo è uno dei punti più criticati dalle opposizioni sull’autonomia differenziata che rischia di creare “cittadini di serie a e di serie b” (così Elly Schlein in Aula) anche di fronte a un diritto costituzionalmente garantito come la salute. Non a caso, anche la Commissione Ue ha bocciato l’autonomia differenziata.
Le disparità in termini di speranza di vita e qualità dei servizi sanitari tra Nord e Sud Italia rappresentano una sfida significativa per il sistema sanitario nazionale. Ridurre questo divario richiede un approccio integrato e sostenibile che coinvolga non solo l’aumento degli investimenti, ma anche riforme strutturali mirate.
Politiche di lungo termine dovrebbero includere:
- Miglioramento delle infrastrutture sanitarie: costruzione e modernizzazione di ospedali e cliniche nel Mezzogiorno;
- Formazione e assunzione di personale sanitario: incremento del numero di medici, infermieri e personale sanitario qualificato nelle regioni del Sud;
- Accesso uniforme ai farmaci e alle tecnologie: assicurare che le innovazioni mediche e i farmaci essenziali siano disponibili in modo uniforme su tutto il territorio nazionale;
- Prevenzione ed educazione sanitaria: promozione di campagne di prevenzione e programmi di educazione sanitaria per sensibilizzare la popolazione sui benefici di stili di vita sani;
- Monitoraggio e valutazione: implementare sistemi di monitoraggio per valutare l’efficacia delle politiche sanitarie e apportare miglioramenti continui.
Il commento di Raffaele Rio, presidente Demoskopika
Commentando i risultati dell’indagine, il presidente dell’istituto di ricerca italiano, Raffaele Rio ha evidenziato l’urgenza di cambiare direzione: “È fondamentale mettere da parte le contrapposizioni ideologiche e avviare un processo di autonomia consapevole piuttosto che differenziata o, peggio ancora, gridata, garantendo equo accesso ai servizi essenziali per tutti i cittadini, con tanto di definizione, a monte e non a valle, dei livelli essenziali delle prestazioni e della necessaria copertura finanziaria”.
Per Rio, le politiche economiche e sociali dovrebbero concentrarsi su due aree fondamentali:
- miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione pubblica, il che implica una riforma della governance degli interventi statali, un significativo miglioramento delle risorse umane e tecnologiche della pubblica amministrazione e un forte orientamento verso il raggiungimento degli obiettivi, supportato da sistemi di incentivazione;
- potenziamento dell’iniziativa privata per ridurre i deficit infrastrutturali nel Mezzogiorno, sfruttando appieno il potenziale delle aree urbane e migliorando la qualità del tessuto produttivo.
“Senza un innesto di maggiore dignità e pragmatismo istituzionale – conclude il presidente – si rischia una guerra civile psicologica, uno scontro al massacro e sempre più ideologico tra Nord e Mezzogiorno del paese. E a pagarne le conseguenze sarà l’Italia intera (linea condivisa dall’Ue, ndr.), con in testa alla lista, i suoi individui più deboli, i suoi sistemi più fragili”.
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