Se non dici nulla per 20 secondi non è violenza sessuale, cos’è il consenso?
- 26/06/2024
- Popolazione
Devi essere svelta, a dire di no. Meno di mezzo minuto. Una sentenza della Corte d’Appello di Milano, che sta suscitando parecchie polemiche, ha assolto un uomo perché la donna ha impiegato 20 secondi per esplicitare il suo dissenso.
Protagonisti della vicenda un sindacalista della Cisl e una hostess, che lo ha accusato di violenza sessuale. I fatti: nel marzo del 2018 la donna, in un ufficio della Fit Cisl all’aeroporto di Malpensa, è stata approcciata dall’uomo. Durante i “20-30 secondi iniziati con un massaggio sulle spalle e poi con baci sul collo e palpeggiamento del seno”, come ha riferito lei stessa in aula, era rimasta in silenzio, finché l’uomo non era passato agli slip e lei aveva reagito. L’uomo va precisato, a quel punto aveva interrotto ogni contatto.
Tuttavia anche il fatto di essere di spalle è stato un ulteriore elemento di valutazione: il 47enne in tal modo “non poteva percepire eventuali espressioni di contrarietà” della controparte.
La sentenza della Corte d’Appello milanese conferma quella emessa in primo grado dal Tribunale di Busto Arsizio (Varese) che nel 2022 aveva assolto l’ex sindacalista per lo stesso motivo.
Insomma, il fatto in sé non è in discussione: entrambi i tribunali confermano che era avvenuto, peraltro testimoniato anche da alcune colleghe della hostess che avevano vissuto vicende simili con la stessa persona. Ma il punto, secondo i giudici, era che l’uomo non aveva compiuto “alcun costringimento fisico della vittima”, la quale non ha reagito per 20 secondi e che poteva andarsene dato che la porta della stanza era aperta.
Una sentenza che “porta indietro di 30 anni”
Maria Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale di Differenza Donna, a cui la hostess si era rivolta, ha dichiarato che così si torna “indietro di 30 anni”, senza contare che la giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso esplicito della donna è violenza e dunque reato: “Un atto sessuale compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza il consenso della donna che lo subisce è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato”.
Invece questa sentenza rimane attaccata a una concezione antica per la quale la violenza è tale solo in presenza di un atto di forza da parte dell’aggressore. In Italia, infatti, è considerato violento solo l’atto sessuale ottenuto “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità”. Una concezione confermata dall’elevata percentuale di uomini, il 40%, che pensa che la donna possa “sottrarsi a un rapporto sessuale se non lo vuole” (indagine Istat sugli stereotipi di genere e l’immagine sociale della violenza).
Questo modo di vedere le cose stabilisce una gerarchia tra i diversi reati sessuali, e mette di fatto la vittima sul banco degli imputati: in quest’ottica, infatti, ricade sulla donna l’onore di dimostrare di essere stata costretta e, a questo punto, di aver essersi opposta platealmente e pure molto molto velocemente.
Una vittimizzazione secondaria che passa per le domande più incredibili, che negli anni hanno echeggiato nelle aule dei tribunali: “Perché non ha reagito?”; “Se aveva le gambe piegate, come ha fatto a toglierle i pantaloni?”, solo per dire le più banali.
Il concetto di consenso in Italia manca del tutto
In realtà tutto dovrebbe ruotare intorno al concetto di consenso: quando c’è, quando non c’è, la libertà di revocarlo anche se inizialmente c’era. In Italia manca una chiara definizione di cosa sia il consenso, sia a livello culturale che normativo e giurisprudenziale, e questo porta alla beffa di molte pronunce, tra cui quella di ieri.
Manente, infatti, a cui si sono unite anche le voci di altre associazioni e di parlamentari, ha ribadito la necessità di riformare il Codice Penale in modo che sia chiaramente stabilito che il reato di stupro è “qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso della donna (il cui dissenso è sempre presunto) così come previsto dalla Convenzione di Istanbul”.
La legge sarebbe già un inizio ma la sentenza è anche l’occasione per un dibattitto ancora più ampio, sugli stereotipi di genere, sul sessismo, e sulla necessità di un’educazione sessuale e sentimentale ampia che cominci dalle scuole e che si ampli a tutta la società.
Non dimentichiamo che nel 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per le “affermazioni colpevolizzanti e veicolanti stereotipi sessisti” in una sentenza di assoluzione di uno stupro di gruppo. Il problema insomma è ampio: le sentenze in fondo ricalcano anche lo spirito dei tempi.
La paralisi da panico
C’è poi un altro aspetto che non è stato minimamente considerato in questa e altre vicende: i giudici a quanto pare non hanno mai sentito parlare della paralisi da panico. Si tratta di una reazione di animali e uomini (donne in questo caso) di fronte a pericoli imminenti, ben conosciuta dalla scienza e applicabile anche alla violenza sessuale.
È proprio la neurobiologia degli stati di paura e panico a spiegare perché molte volte le donne non reagiscano all’istante, o addirittura per niente. Non perché ‘gli piaccia’, altro stereotipo sessista, ma perché semplicemente e letteralmente sono paralizzate. Si tratta di un comportamento difensivo che impedisce di fare qualsiasi cosa finché non cessa la minaccia.
La cosa è confermata da uno studio che riporta come circa il 70% delle vittime di stupro e violenza sessuale riferiscano di aver provato una tale condizione di immobilità. Una condizione che peraltro lo studio definisce ‘comune’ e predittiva del disturbo da stress post-traumatico e della depressione grave.
Altre sentenze discutibili
La pronuncia della Corte milanese è l’ultima di molte sentenze discutibili, e su cui infatti si è discusso.
Impossibile non ricordare quella del 1999 per la quale, dato che la vittima portava i jeans, non poteva essere stata stuprata: troppo difficili da togliere senza il consenso (verdetto annullato poi in Cassazione).
Oppure quella della Corte di cassazione del 2018 per la quale se la vittima di uno stupro ha consumato consapevolmente alcol in eccesso, ai colpevoli di violenza sessuale non può essere contestata l’aggravante di aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche.
Non solo, ma anche quanto e come ti opponi conta: nel 2017 il tribunale di Torino ha assolto dall’accusa di violenza sessuale un operatore della Croce Rossa perché lei disse “basta” ma non urlò. In particolare, la donna, che poi è stata anche citata per calunnia, non avrebbe “tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona”, ovvero “non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”.
Sempre sul filone ‘la vittima ha reagito ma non troppo’, il tribunale di Firenze nel 2023 ha assolto tre giovani perché, anche se la ragazza 18enne implorava “Smettetela, smettetela” e nonostante uno di loro, ridendo, dicesse “Questo è uno stupro”, per i giudici c’era stato da parte degli imputati un errore di valutazione del consenso.
Rimanendo invece in tema di tempo, l’anno scorso un bidello romano è stato assolto nonostante avesse palpeggiato una studentessa minorenne (anche qui non si metteva in dubbio il fatto) perché la molestia era durata solo una “manciata di secondi”, nello specifico 5-10: troppo poco per esserci stata volontà.
Ma merita di essere citata anche una pronuncia del 2021 a Benevento relativa al caso di una donna che aveva denunciato il marito per maltrattamenti e atti sessuali violenti in quanto la obbligava a concedersi, anche con una lama: per il giudice a volte un uomo “si trova a dover vincere quel minimo di resistenze che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”.
Per non parlare infine della sentenza del 2019 della Corte d’Appello d’Ancona, secondo cui siccome la vittima era poco avvenente, i due giovani imputati andavano assolti dall’accusa di violenza sessuale. A parte la fallacia pratica di un tale assunto – certamente non subiscono molestie e violenze solo le belle donne, checché ne dicesse Berlusconi e forse una parte degli italiani – , pare un po’ labile la prova: per i giudici al principale imputato la ragazza, una 22enne, nemmeno piaceva, tanto che sul suo cellulare l’aveva registrata come ‘Vikingo’ per la sua scarsa femminilità (e giù altri stereotipi, tra l’altro).
Insomma, non solo il concetto di consenso sfugge a tutte queste sentenze, così come all’educazione e alla sensibilità di quasi tutti noi (per non parlare dell’empatia), ma anche un’altra grande verità su cui non si riflette adeguatamente: la violenza non ha a che fare con il sesso, ma con il potere.
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