“La non reazione non è consenso”, così la Norvegia approva legge contro lo stupro
- 10 Giugno 2025
- Mondo
Il sesso senza consenso è stupro. Lo ribadisce la Norvegia, che negli scorsi giorni ha compiuto un passo storico nella lotta contro la violenza sessuale. Con una maggioranza schiacciante nel parlamento norvegese (91 voti a favore e solo 12 contrari) ha approvato l’emendamento che ridefinisce il reato, basandolo su un modello chiaro e inequivocabile: solo sì significa sì.
La riforma legislativa che la Norvegia ha approvato lo scorso venerdì rappresenta una vittoria non solo per le donne, ma per la società intera. Il consenso esplicito, espresso a “parole o con azioni”, diventa ora un pilastro della giustizia norvegese, superando vecchie definizioni che lasciavano spazio a interpretazioni ambigue e pericolose.
Freezing, cos’è la paralisi emotiva e fisica
Il grande passo è che la legge riconosce il fenomeno del “freezing”. Si tratta di “paralisi emotiva e fisica” che molte vittime sperimentano in situazioni di coercizione e violenza e chiarisce che l’assenza di reazione non equivale mai a un consenso.
Le nuove disposizioni prevedono pene fino a sei anni per chiunque abbia rapporti sessuali con una persona che non abbia espresso chiaramente il proprio consenso. Inoltre, se lo stupro avviene mediante violenza, minacce o con una vittima incapace di resistere, la pena sarà ancora più severa.
Un sospiro di sollievo espresso solo a metà per gruppi di femministe e organizzazioni no-profit che da anni si battono per i diritti delle donne. Amnesty International, ad esempio, ha elogiato il provvedimento, sottolineando la necessità di una formazione adeguata a garantire una corretta applicazione della legge. Questa riforma non è solo un deterrente per i crimini sessuali: è un cambiamento culturale. L’obiettivo non è riempire le carceri di stupratori, ma prevenire gli stupri stessi.
Negli ultimi anni, anche Svezia, Danimarca, Finlandia e Islanda hanno introdotto leggi sullo stupro basate sul consenso. Nel 2018 la Svezia ha modificato la definizione legale di stupro in sesso senza consenso, una modifica che, secondo le autorità, ha portato a un aumento del 75% delle condanne per stupro. Così come la Danimarca ha approvato nel 2020 una legge che amplia le circostanze in cui si può configurare uno stupro.
Ma ancora molto c’è da fare: “All’elenco degli Stati europei che hanno adeguato il proprio Codice penale agli obblighi internazionali manca ancora l’Italia, che ancora una volta si conferma fanalino di coda quando si tratta di diritti”, ha dichiarato Tina Marinari, campaigner di Amnesty International Italia.
“Consenso” e leggi nazionali e europee
Sull’onda del movimento #MeToo – la campagna femminista globale nata nel 2017 che ha portato all’attenzione pubblica la questione della violenza sessuale e delle molestie – la parola “consenso” è entrata nei dibattiti pubblici. Di origine giuridica, la nozione è diventata l’oggetto di prese di posizione, appelli e polemiche per via della sua implicazione nel contesto sessuale e sentimentale: la storia di Gisèle Pelicot, per anni drogata, sedata e violentata dal marito Dominique e da decine di altri uomini, ha ulteriormente rilanciato la questione.
Ma tale concetto, in ambito giuridico italiano, sancisce la libertà e l’autodeterminazione di ogni individuo nella sua vita sessuale. Ogni rapporto dovrebbe essere il risultato di un libero e consapevole accordo tra le persone coinvolte, senza costrizione, minaccia o abuso di potere. In particolare, è l’articolo 609bis del Codice penale che punisce gli atti di violenza sessuale che si configurano come reati quando il consenso non è libero e consapevole. Ma il nostro Paese non dispone di una definizione legale di stupro fondata sul consenso.
Intanto, lo scorso anno, il Parlamento Europeo ha discusso una direttiva sulla violenza di genere, che includeva una proposta per definire lo stupro come sesso senza consenso. Tuttavia, il dibattito tra i 27 Paesi membri ha portato a un compromesso: la definizione di stupro è stata inserita in una parte diversa della direttiva, ma non è stata riconosciuta come reato comunitario. Alcuni Stati, tra cui Francia, Polonia e Ungheria, hanno insistito affinché le vittime dimostrassero l’uso della forza o della minaccia, mentre altri, come Italia, Spagna e Svezia, sostenevano il principio “No significa no”.
L’accordo finale obbliga gli Stati membri a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che il sesso non consensuale è considerato un reato penale, ma non impone una definizione uniforme di stupro a livello europeo. Questo ha suscitato critiche da parte di associazioni e politici che avrebbero voluto una normativa più incisiva.
“Solo sì significa sì”: ma quando?
Nel saggio “Consenso e violenza sessuale: tra normatività e problematicità”, la professoressa di Filosofia del diritto dell’Università degli studi di Torino, Maria Borrello, ha così sintetizzato le dinamiche per le quali spesso il “no”, se pronunciato dalle donne, non trova il riscontro sperato.
Le donne sono spesso indotte a non dire “no” perché sentono di non avere i mezzi o il diritto di porre fine a un comportamento indesiderato, o per evitare conseguenze che considerano più gravi. Anche quando il rifiuto viene manifestato, non è raro che venga totalmente ignorato o reinterpretato come un “sì”. Questo si inquadra nella rappresentazione patriarcale dei rapporti tra i generi, dove il “no” della donna può essere visto come parte di un “gioco seduttivo” o una “sottomissione” al potere dell’uomo.
La professoressa Borrello, la inquadra nella cornice della “disabilitazione illocutoria” e l'”ingiustizia epistemica”: “La mancata ricezione del rifiuto trova, infatti, la sua spiegazione entro le diffuse rappresentazioni della donna come ‘a secondary being’, che la collocano entro una gerarchia, supposta naturale, che la individua, secondo un’espressione di uso comune assai indicativa, come il “sesso debole”.
E poi si verifica il fenomeno della “vittimizzazione secondaria“, noto come “victim blaming“, nel processo penale: in sede giudiziale, la testimonianza della vittima che ha detto “no” viene spesso svuotata di senso, e la responsabilità viene ribaltata sulla donna, attribuendole la “colpa” per aver “provocato” la reazione dell’uomo. E in molte sentenze, anche italiane, il “no” della vittima non viene recepito o riconosciuto come tale.
E così, mentre la Norvegia segue le orme di altri Paesi nordici, portando a 19 il numero degli Stati dell’Area economica europea che hanno adottato una legislazione simile, un’ombra rimane sul nostro Paese, che resta ancora indietro su questo fronte.
“Nel 2020 abbiamo lanciato la campagna ‘Io lo chiedo’ per inserire il concetto di consenso nel nostro codice penale ma, nonostante le promesse, tutto è ancora in discussione. Attualmente è in corso una discussione alla Camera dei deputati. Speriamo che il voto della Norvegia sia la spinta decisiva per inserire l’Italia tra gli Stati che riconoscono che il sesso senza consenso è stupro”, ha concluso Marinari.
La Norvegia ha dimostrato che proteggere le vittime e prevenire la violenza sessuale è possibile. E ora, il resto d’Europa è chiamato a seguire il suo esempio.