Pensione, i giovani non la vedranno prima dei 74 anni e sarà anche povera
- 09/08/2023
- Giovani
Gli under 35 rischiano di andare in pensione a 74 anni. E con un assegno medio di poco superiore a 1000 euro. E’ il Consiglio Nazionale dei Giovani a lanciare l’allarme, facendo riferimento a uno studio condotto insieme ad Eures dal titolo ‘Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani’ e chiedendo di intervenire per evitare una situazione socialmente insostenibile.
“La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”, ha sottolineato Maria Cristina Pisani, presidente del Cng, in occasione della presentazione della ricerca.
Pensione lontana e povera
La ricerca, condotta da Eures su dati Inps relativi al monte retributivo dei giovani (15-35 anni), spiega come i ragazzi che hanno cominciato a lavorare nel 2020 a 22 anni in Italia raggiungeranno l’età pensionabile a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei, ma con un assegno talmente basso da dover continuare a lavorare fino a raggiungere il minimo previsto dalla legge, ovvero 2,8 volte l’assegno sociale.
Per rispondere a questo requisito gli under 35 dovrebbero ritirarsi dal lavoro quasi a 74 anni (73,6), con un assegno di 1.561 euro lordi mensili (1.093 al netto dell’Irpef, 1.134 euro per gli uomini e 1.041 per le donne), ovvero 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale. Per i lavoratori a Partita Iva (sempre con ritiro a 73,6 anni) l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), ovvero 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
Le cause
Molteplici le cause di questo fenomeno:
• discontinuità lavorativa
• basse retribuzioni
• mancanza di garanzie sociali
• questione demografica
• passaggio al sistema ‘contributivo puro’
Discontinuità lavorativa
Quanto al primo punto, il Cng sottolinea l’importante crescita dei contratti a tempo determinato e di quelli atipici (a termine, stagionali, in somministrazione, ecc.) per gli under 35, passati negli ultimi 10 anni dal 29,6% al 39,8% del totale. Nel 2021, soltanto un giovane su tre (33,9%) ha lavorato per l’intera annualità (17,7% tra gli under 25), il 36,7% è stato retribuito per non oltre 6 mesi ed il restante 29,5%, tra 6 e 12 mesi. Una realtà inconciliabile con una contribuzione piena e con una crescita retributiva.
Basse retribuzioni
Con riguardo al secondo punto, nel 2021 i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media complessiva, mentre i lavoratori tra i 25 e i 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro, il 78% della retribuzione media. Non solo: mentre le retribuzioni totali hanno registrato tra il 2011 e il 2021 una crescita nominale di 1.186 euro (+5,7%), cui corrisponde una flessione del 4,1% in termini reali, per gli under35 la crescita nominale negli ultimi dieci anni è stata di 102 euro, ovvero pari a +0,7% che, al netto dell’inflazione, significa una flessione dell’8,6%.
Da segnalare, inoltre, un forte divario retributivo tra donne e uomini, che si amplia nel tempo e che si riverbera nell’assegno pensionistico, penalizzando così ulteriormente le donne.
Denatalità e invecchiamento
La questione demografica poi non aiuta: il progressivo invecchiamento della popolazione e le crescenti uscite dal mercato del lavoro per vecchiaia non hanno favorito il ricambio generazionale. Al contrario, la percentuale di lavoratori dipendenti under 35 nel privato è passata dal 35,7% nel 2011 al 31,5% nel 2021 (da 5,23 a 5,12 milioni di unità), e allo stesso tempo è cresciuta l’incidenza dei lavoratori ultra 45enni, che assorbono il 44,5% dei 16,2 milioni di lavoratori del settore privato (+11,3 punti percentuali rispetto al 2011).
Il passaggio al sistema contributivo
Il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo, che ha coinvolto i Paesi europei e, in particolare, quelli con il rapporto più elevato tra uscite previdenziali e Pil come Grecia e Italia, è stato motivato dalla necessità di riequilibrare le uscite previdenziali, condizionate dalla denatalità e dall’invecchiamento della popolazione, con la tenuta del bilancio pubblico. Si è così proceduto a riforme che hanno allungato sempre più gli anni di permanenza sul mercato del lavoro: i dati Ocse prevedono per l’Italia, al 2070, un’uscita a 71 anni rispetto ai 62 indicati per il 2020.
Secondo l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia rappresenta il 17,6% del Pil nel 2020, il secondo più alto nell’Ue27 dopo la Grecia e molto superiore alla media dell’Ue27 pari al 13,6%. Il Cng invita a tal proposito a considerare però che la spesa per le sole pensioni di vecchiaia, ovvero quelle interamente correlate alla carriera lavorativa, è pari a 227,3 miliardi di euro e rappresenta il 12,7% del Pil (anno 2021, ultimo disponibile). Un valore che scende al 9,3% se considerato al netto dell’Irpef, ‘recuperato’ dallo Stato attraverso il prelievo sulle pensioni.
Tuttavia, come abbiamo visto, dato che il sistema contributivo puro è agganciato alle retribuzioni, penalizza chi prende stipendi inferiori e chi non gode di stabilità lavorativa, ovvero soprattutto giovani e donne.
Una situazione socialmente insostenibile
Se dunque la precarizzazione del lavoro associata ai bassi stipendi ha come conseguenza che il lavoratore potrà smettere di lavorare solo per vecchiaia, quindi tardi, e con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale, si prevede una situazione che creerà parecchi problemi.
“Se si vuole scongiurare un futuro pensionistico in povertà per i giovani lavoratori di oggi – afferma il Cng – appare necessario apportare dei correttivi all’impianto del ‘contributivo puro’ o, comunque, strumenti di sostegno in itinere o ex post (contributi figurativi o pensione di garanzia)”.
“La crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, colpisce in particolare i giovani e le donne, rendendo più difficile il loro percorso di ingresso nel mercato del lavoro, la stabilità contrattuale e i livelli retributivi. Tutto questo comporta un impatto significativo sulla situazione previdenziale futura dei giovani”, ha sintetizzato Maria Cristina Pisani, presidente del Cng, in occasione della presentazione della ricerca.
Occorre, ha concluso, “un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni. È una questione di giustizia intergenerazionale e di sostenibilità del nostro sistema sociale”.
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