L’Italia è uno dei Paesi ricchi con maggiore povertà infantile, l’allarme dell’Unicef
- 06/12/2023
- Giovani
L’Italia è al 34° posto su 39 Paesi nella classifica della povertà monetaria dei bambini nei Paesi ricchi.
Un risultato negativo, registrato nonostante tra il 2015 e il 2021 il Belpaese abbia ridotto dal 15,8% al 7,1% la percentuale di bambini che vivono vivono in condizioni di grave privazione materiale, come riportano le recenti pubblicazioni dell’UNICEF Innocenti – Global Office of Research and Foresight.
La situazione sarebbe stata di gran lunga peggiore senza interventi specifici della politica: il rapporto dimostra che, se non ci fossero stati trasferimenti monetari, nel 2021 la povertà minorile in Italia avrebbe toccato il 35,9% dei bambini. I sostegni in denaro per i più piccoli hanno portato al di sopra della soglia di povertà quasi il 30% dei bambini altrimenti condannati al di sotto della soglia di povertà. “I sussidi in denaro – spiega il direttore dell’UNICEF Innocenti – Global Office of Research and Foresight Bo Viktor Nylund – hanno un effetto immediato nell’alleviare la povertà. I decisori politici possono sostenere le famiglie dando priorità e aumentando la spesa per gli assegni familiari e per i figli a carico”.
In Italia a tenere banco sono soprattutto le difficili condizioni abitative che riguardano quasi 1 bambino su 5 (18,1%) lungo la penisola.
La povertà infantile nel mondo
La “Report Card 18: Bambini poveri che vivono nei paesi ricchi” (Child poverty in the midst of wealth) – che analizza il benessere dei bambini nei paesi dell’Ocse e dell’Ue – rivela che tra il 2014 e il 2021 alcuni dei Paesi più ricchi del mondo hanno registrato forti aumenti della povertà minorile. Secondo gli ultimi aggiornamenti dell’Organizzazione, nei paesi più ricchi più di 1 bambino su 4 (25,5%) vive in condizioni di povertà relativa legata al reddito (media tra il 2019 e il 2021).
Numeri alla mano, nonostante la diminuzione complessiva della povertà di quasi l’8% in 40 Paesi tra il 2014 e il 2021, alla fine del 2021 c’erano ancora oltre 69 milioni di bambini che vivevano in famiglie che guadagnavano meno del 60% del reddito medio nazionale.
L’Unicef spiega che gli esempi da seguire sono quelli di Polonia e Slovenia che stanno ottenendo risultati eccellenti nel contrasto alla povertà minorile, seguite da Lettonia e Repubblica di Corea. Risultati ottenuti nonostante questi non siano tra gli Stati più ricchi del mondo. Più nel dettaglio, Polonia, Slovenia, Lettonia e Lituania – che l’Organizzazione ricorda non essere tra i Paesi più ricchi dell’Ocse e dell’Ue – hanno ottenuto importanti riduzioni della povertà minorile, -38% in Polonia e -31% negli altri Paesi.
Nello stesso periodo, cinque tra i Paesi a più alto reddito hanno registrato i più grandi aumenti del numero di bambini che vivono in famiglie con difficoltà economiche dal 2014: Regno Unito +20% e Francia, Islanda, Norvegia e Svizzera intorno al +10%.
Il confronto tra gli Stati diventa fondamentale per apprendere e applicare le best practice in grado di ridurre la povertà infantile: “Si può imparare molto dai successi di altri Paesi. Il modo in cui utilizzeremo quanto appreso determinerà l’efficacia con cui potremo garantire il benessere dei bambini oggi e in futuro”, ha spiegato il direttore Bo Viktor Nylund.
Le condizioni dei bambini indipendenti dal Pil del Paese
I dati raccolti dall’Unicef evidenziano un aspetto fondamentale per contrastare la povertà infantile: le condizioni di vita dei bambini possono essere migliorate indipendentemente dalla ricchezza di un Paese. Una dimostrazione eclatante arriva dal fatto che Paesi con livelli simili di reddito nazionale, come la Slovenia e la Spagna, hanno registrato forti differenze nei tassi di povertà minorile, rispettivamente del 10% e del 28%.
Non solo aspetti prettamente economici. Il rapporto ‘Child poverty in the midst of wealth’ evidenzia anche enormi disuguaglianze nel rischio di povertà. Nei 38 Paesi con dati disponibili, infatti, è emerso che i bambini che vivono in una famiglia monoparentale hanno una probabilità oltre tre volte maggiore di vivere in povertà rispetto agli altri bambini. Anche i bambini con disabilità e quelli provenienti da minoranze etniche/razziali hanno un rischio superiore alla media.
Parole che fanno eco al Focus su disuguaglianze sociali al Congresso della Sip (Società italiana di pediatria) di Torino, dove è emerso come i bambini stranieri vivano situazioni particolarmente sfavorevoli, anche rispetto ai ‘marginalizzati’ italiani, a causa di barriere linguistiche, marginalità, condizioni sociali ed economiche, ostacoli burocratici e amministrativi e traumi pregressi.
In sostanza, chi è socialmente svantaggiato lo è anche nella salute.
“Per la maggior parte dei bambini significa che potrebbero crescere senza cibo nutriente, vestiti, materiale scolastico o un posto caldo da chiamare casa. Impedisce ai bambini di godere dei propri diritti e può portare a un cattivo stato di salute fisica e mentale”, dichiara Nylund che spiega come in alcuni Paesi, secondo il rapporto, una persona nata in un’area svantaggiata rischi persino di vivere da otto a nove anni in meno rispetto a una persona nata in un’area ricca.
Come sradicare la povertà infantile
Per sradicare la povertà minorile, la Report Card invita i Governi e le parti interessate a:
- Espandere la protezione sociale per i bambini, anche con assegni familiari e per i figli a carico per integrare il reddito familiare;
- garantire a tutti i bambini l’accesso a servizi di base di qualità, come l’assistenza all’infanzia e l’istruzione gratuita, essenziali per il loro benessere;
- garantire misure adatte alle esigenze specifiche dei gruppi minoritari e delle famiglie con un solo capofamiglia, per facilitare l’accesso alla protezione sociale, ai servizi fondamentali e al lavoro dignitoso, e ridurre le disuguaglianze.
- creare opportunità di lavoro con retribuzioni adeguate e politiche favorevoli alla famiglia, come il congedo parentale retribuito, per sostenere i genitori e le persone che si prendono cura dei bambini nel conciliare lavoro e responsabilità di cura.
Quest’ultimo punto ha un ruolo fondamentale anche in chiave prettamente demografica, visto che molte donne riscontrano difficoltà ad avere figli proprio per l’assenza di servizi e di condizioni economiche favorevoli. In questa direzione va l’idea di inserire la figura dell’assistente materna in Italia dal 2024, anche se la sensazione è che per sostenere la natalità e abbattere le disuguaglianze occorra fare molto di più.
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