Giovani disorientati, speranza per il futuro? Il peso delle responsabilità
- 18/01/2024
- Giovani
“Sono convinto che il disorientamento (dei giovani, ndr) che realmente talvolta affiora sia responsabilità di noi adulti. Come potrebbero gli studenti sentirsi a loro agio, trovare i parametri di riferimento, coordinate di comportamento, nel mondo che oggi gli adulti presentano loro in questo periodo?”.
A domandarselo è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante il suo intervento all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università del Piemonte orientale a Vercelli. Un quesito che in effetti trova terreno fertile in un contesto sociale altamente frammentato.
Il termine “disorientamento” è quello che più si addice alle nuove generazioni. A cavallo tra un mondo obsoleto, si ritrovano a fare i conti con una realtà moderna e ipertecnologica, nella quale sono nati, ma che non padroneggiano.
Giovani sentimenti
Frustrazione, rabbia e depressione sono solo alcuni dei sentimenti che incombono sui ragazzi di oggi. Infatti, sono sempre di più coloro i quali vivono il disagio di un mondo che ha fatto della meritocrazia uno strumento di aggressione e che si scontra con delle disuguaglianze eccessive per cui neanche l’accesso ai servizi risulta più paritario.
A lanciare l’allarme in tal senso è stata Oxfam che stimando il patrimonio dei cinque più ricchi del mondo ha significativamente contestato una distribuzione della ricchezza iniqua: “A fine 2022 – si legge nel report Oxfam in merito ai dati italiani -, l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva una ricchezza 84 volte superiore a quella del 20% più povero della popolazione. Il nostro Paese occupa inoltre da tempo le ultime posizioni nell’Ue per il profilo meno egalitario della distribuzione dei redditi”.
I giovani cresciuti in questo contesto sono quelli ai quali si chiede di accontentarsi di retribuzioni minime senza garanzie. Sono gli stessi giovani che nell’ultimo anno avranno visto aumentare le assunzioni in aziende. Aziende che lamentano una mancanza di competenze effettive, sempre meno disposte alla formazione, in cerca di determinazione e “fame”.
Dall’altro lato, però, ci persone che si sono preparate con sacrificio, in università e scuole con personale ridotto e strutture in decadenza. Che all’università hanno abbinato un lavoro o per meglio dire “lavoretti” stagionali, con paghe misere e completa assenza di sicurezze effettive.
Sono gli stessi giovani che solo nella prima metà dello scorso anno, in oltre 200 si sono tolti la vita perché iscritti a percorsi di laurea che non riuscivano a portare a termine, per il senso di angoscia generalizzata che respirano.
Sono coloro i quali, secondo i dati Unicef-Policlinico Gemelli, per quasi il 40% soffrono di ansia e depressione in età adolescenziale. Sono gli stessi che si tolgono la vita per delle Challenge sui social, gli stessi che hanno paura di uscire di casa perché il mondo “reale” non è all’altezza di quello “virtuale” e gli stessi che vivono in famiglie su cui pesano l’inflazione e il caro vita.
Le incertezze del futuro
Il quotidiano l’Avvenire ha riportato in un pezzo corale le voci di giovani studenti universitari che si alternano tra i disagi accademici e quelli del lavoro. Giovani che ricevono diagnosi di disturbi dell’apprendimento e che non vengono creduti dai docenti, gli adulti. Gli stessi adulti di cui parla Mattarella.
Per chi è sopraffatto da quella che in molti chiamano “svogliatezza” e che definiremo, per chiarezza, “ansia da prestazione, indecisione e insoddisfazione”, c’è il limbo della nullafacenza. Si stima che nel 2023 i Neet, cioè coloro che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione, fossero in Italia oltre 5.700.000 di cui 1,7 milioni quelli di età compresa tra i 15 e 24 anni.
E se questi sono i giovani sui quali l’Italia sta proiettando la speranza per il suo futuro, il rischio è che non solo siano così disorientati, ma che quantitativamente siano sempre meno. La denatalità è peggiorata nel 2023 con i dati Istat che segnalano che tra gennaio e giugno le nascite sono state quasi 4 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Questo vuol dire meno mano d’opera in futuro, età pensionabile sempre più alta, meno consumatori, meno produttori.
A rendersene conto, però, sembra essere solo il presidente della Repubblica.
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