La Cina riconosce a un bambino il diritto di avere due madri
La Corte Popolare di Pechino ha stabilito che una donna può ottenere la custodia condivisa di un bambino nato da una relazione con un’altra donna. Si tratta di una sentenza storica in Cina che ha segnato un cambiamento significativo nella lotta per i diritti Lgbtqi+.
Una decisione che, sebbene non cambi radicalmente il panorama giuridico cinese, rappresenta un segnale di apertura e di cambiamento. Ma per la protagonista di questa vicenda è solo una vittoria a metà: scopriamo il perché.
La storia
Due donne cinesi hanno deciso di sposarsi e creare una famiglia. Per farlo si sono dirette negli Stati Uniti dove si sono sottoposte a un trattamento di fecondazione in vitro. Lo sperma di un donatore, gli ovuli e embrioni di una delle due impiantati in entrambe e tanto amore. Così nascono due figli nel 2017: una bambina da una donna e un bambino dall’altra.
La coppia si spera nel 2019, anche se legalmente è ancora unita negli Usa. E come per la maggior parte dei matrimoni che finiscono, iniziano le pratiche per l’affidamento congiunto. Una delle due, però, decide di portare via entrambi i figli a Pechino. E da qui ha luogo la controversia legale per l’affidamento.
Prevale il diritto di parto o quello genetico?
Quattro anni dopo, la donna ha ottenuto una vittoria (a metà): il tribunale di Pechino ha stabilito che alla mamma alla quale sono stati in qualche modo sottratti i figli debbano essere consentite visite mensili con la bambina che ha dato alla luce nel 2017, ma non con l’altro bambino.
Diritti Lgbtqi+ in Cina
La legge cinese ha un “approccio di evitamento” alle relazioni gay, ha detto Gao Mingyue, l’avvocato difensore della protagonista della vicenda, come riportato dal Guardian: “Non definisce chiaramente i diritti delle coppie dello stesso sesso”.
Il codice civile e la legge cinese sul matrimonio impongono che un bambino nasca in una famiglia eterosessuale la cui coppia sia unita in matrimonio. Esistono disposizioni per l’adozione e i genitori acquisiti, ma non esiste alcun meccanismo per gestire l’approccio della “maternità condivisa” che le coppie lesbiche a volte usano per avere figli.
Il problema risiede nel fatto che un embrione creato con l’ovulo di una donna, quando viene impiantato nell’utero dell’altra, porta al concepimento e al parto. E per la normativa cinese, chi partorisce è la madre biologica: “Amo davvero entrambi i miei figli, voglio prendermi cura di loro”, ha detto la donna al Guardian.
L’apertura del Tribunale di Pechino, secondo l’avvocato, è da considerarsi legata al calo delle nascite in Cina e al desiderio di proteggere sempre più i diritti dei bambini, anche nati fuori dal matrimonio, da famiglie Lgbtqi+ o da genitori single.
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