Denatalità, Rosina: “Fare figli non è un obbligo, ma servono condizioni per farli”
Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano e saggista ci aiuta a fare il punto della situazione sul futuro dell’Italia, sul posto che occupa in Europa e sull’invecchiamento della popolazione. Tra denatalità, spopolamento delle città, conciliazione lavoro-famiglia: la demografia italiana è uscita dalle aule universitarie divenendo sempre più un tema di interesse pubblico.
Ma siamo già in ritardo per porre rimedio al calo delle nascite?
“L’Italia è il Paese che più rischia di essere vicino al punto di non ritorno. Punto che abbiamo già superato dal 2014. Un continuo declino che aumenterà per tutto il secolo. La natalità era 1,24 figli per donna nel 2022. Nel 2023 l’Istat propone stime a ribasso. Ma l’Italia è scesa sotto la media già nel 1984. Quarant’anni sotto quel livello. Conseguenza di questo fenomeno è l’aumento della longevità. Vuol dire che abbiamo impoverito la popolazione che può avere figli e neanche l’immigrazione potrà contribuire neppure in presenza di flussi consistenti. Il problema vero sono gli squilibri interni che preoccupano le economie avanzate. La popolazione anziana fa aumentare la richiesta di servizi e ciò produce due effetti. Oltre la riduzione della popolazione, si riduce anche il funzionamento del welfare statale.
L’Istat prevede che il numero di figli nel 2050 sarà da meno di 1,25 a 1,4, ma comunque le nascite andrebbero a diminuire. Lo scenario ci colloca già in una situazione in cui l’aumento della fecondità non sarà sufficiente: 365mila nascite non sono abbastanza. L’obiettivo, per evitare nascite in continua riduzione, non è più convergere verso la media europea, ma superarla: arrivare almeno ad 1,7 figli per donna.
I dati da soli possono dirci cosa sta accadendo e in che direzione stiamo andando o serve un approccio multidisciplinare?
“Il punto di riferimento non è guardare i dati, non dobbiamo convincere le persone ad avere figli usando numeri sull’invecchiamento e tassi di fecondità. L’approccio così non convince nessuno. Dobbiamo partire dalle persone, dai loro obiettivi di vita, dal numero di figli desiderato: dobbiamo pensare a politiche che creino ecosistemi favorevoli. Chi in questo paese vuole avere figli deve essere messo nelle condizioni: senza complicazioni lavorative, con possibilità di conciliabilità e senza impoverirsi. Partiamo da chi desidera figli e mettiamoli nelle condizioni migliori. Saranno loro i testimonial di una conseguenza positiva ad una scelta presa. Non c’è da convincere o costringere nessuno, fare figli non è un obbligo: però chi lo desidera deve vivere in un Paese che glielo consentirà.
Qualcuno ha definito la natalità come una “missione per le donne”. Come si scontra con il tema delle scelte e libertà individuali? Si può rendere “attrattiva” la genitorialità?
“Questo aspetto è accentuato dal fatto che mancano politiche di supporto. Oggi i costi ricadono sui genitori. Non c’è più il tema di “bene condiviso” perché lo Stato non mette le coppie nelle condizioni di ritenere tale il proprio figlio. Servono politiche educative, di investimento sulla scuola, familiari in generali. In altri Paesi a 20 anni si è indipendenti, in Italia no. Il titolo di studio dei ragazzi in Italia è fortemente legato a quello dei genitori. Così come la possibilità di acquisto di un immobile. Siamo un Sistema-Paese che ha fatto in modo che i genitori siano gli unici supporter dei figli. Questo ha contribuito all’individualismo. Quando i giovani vanno all’estero, in Francia, ad esempio, dove le politiche familiari sono più solide, rilevanti e consistenti, la fecondità cresce. Non portano lì la cultura dell’iper-protezionismo”.
Che responsabilità ha il governo e quali misure di welfare servono? Pensa che si sia fatto abbastanza?
“Fare figli oggi non è una scelta scontata rispetto al passato: le nuove generazioni non vogliono sentire l’avere figli come un dovere sociale. Crisi climatica, guerre, insicurezze, come la pandemia, contribuiscono all’instabilità. Non dipende tutto da un bonus che oggi c’è e domani no, ma da una politica che sostiene ogni giorno e anno dopo anno il fare figli come una scelta positiva. La natalità aumenta se aumenta lavoro, valorizzazione dei giovani: non c’è una pillola magica da prendere. L’autonomia e la stabilità può garantire un futuro migliore. Lo stesso vale per l’occupazione femminile. Siamo un Paese con più Neet e più bassa occupazione femminile. Servono investimenti che arricchiscano giovani e donne”.
Abbiamo il tempo di vedere i risultati delle politiche di welfare attuate oggi?
“Non c’è più tempo. Il Governo ha la responsabilità di intervenire oggi ed è ancora più urgente muoversi in questo senso”.
È davvero solo una questione di investimenti? O c’è dell’altro?
“Il governo deve fare la propria parte. Non si può dire che i giovani sono rinunciatari se non hanno gli strumenti per crescere. Non è solo una questione di investimento? Quando avremo politiche familiari al livello degli altri paesi europei e continueranno a non avere figli, allora potremo dire che non è solo una questione economica. Finché mancheranno strumenti oggettivi, non potremo dire che la natalità è più bassa per motivi culturali. Ci sono sicuramente anche cause di questo tipo, ma si superano dimostrando che il Paese investe, ci vuole un chiaro segno di incoraggiamento”.
Demografia non è solo denatalità, è quindi anche invecchiamento della popolazione. Conviene iniziare a puntare sulla Silver Economy? È una strategia vincente?
“La Silver Economy da sola non basta. Ma è importante valorizzare la lunga vita attiva. La longevità – con le nuove tecnologie – ci consente di valutare un ampio margine della popolazione che vede consumi, prodotti e servizi, che migliorano l’economia reale. È una fascia della popolazione in crescita, ma parliamo anche di una crescita qualitativa con un miglioramento dei consumi e che merita attenzione.
Tutto ciò, insieme agli investimenti di cui abbiamo parlato, deve creare un “Progetto Paese”, un modello sociale e di sviluppo per rispondere ai reali bisogni. I cambiamenti culturali e demografici spostano il peso elettorale. Anche gli over 65 elencano tra le priorità, dopo il sistema sanitario nazionale funzionante, considerano l’occupazione giovanile. Sono a conoscenza che le pensioni dipendono da un rapporto positivo con le nuove generazioni. Ci vuole consapevolezza per scegliere”.
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