Affidamento congiunto? “Fino ai tre anni il figlio non può dormire con il papà”
- 24/07/2024
- Famiglia
“Fino al compimento dei tre anni, il minore dorme con la mamma”. A deciderlo è una sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe confermato quanto già disposto dalla Corte di Appello di Ancona rispetto all’affidamento congiunto di due genitori nei confronti del figlio neonato.
Ma in Italia l’affidamento congiunto è paritetico? E un papà ha gli stessi diritti della mamma? Scopriamolo insieme.
Affidamento congiunto: la storia
Una coppia di genitori si è rivolta al Tribunale di Macerata per definire l’affidamento congiunto del figlio, all’epoca di 16 mesi. Secondo la decisione del tribunale, il padre avrebbe avuto diritto di visita del bambino; avrebbe dovuto pagare gli alimenti per il mantenimento del figlio e, al 50% con l’altro genitore, si sarebbe occupato delle spese straordinarie del neonato.
La donna ha fatto ricorso alla Corte di Appello di Ancona ottenendo dai giudici la modifica parziale della decisione del Tribunale (con decreto n. 654/2022 pubblicato in data 26.07.2022), raggiungendo sia l’aumento della cifra del mantenimento, “considerato il basso reddito della madre” del neonato, sia le modalità di visita e di pernottamento (esclusivo) del bambino.
Come si legge nella sentenza pubblicata dall’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, “fino al terzo anno di età del bambino”, il padre avrebbe potuto passare due pomeriggi alla settimana con il figlio, uno infrasettimanale e uno nel weekend, per poi riportare il figlio a casa della madre. Lì avrebbe dovuto trascorrere la notte.
Durante l’estate, il papà avrebbe, inoltre, potuto passare anche due settimane non consecutive con il figlio, ma senza il pernottamento. Lo stesso vale per le vacanze natalizie. E solo dopo il compimento del terzo anno di età del bambino, a quel punto, il genitore avrebbe potuto trascorrere una notte infrasettimanale e una nel fine settimana con il figlio.
Il ricorso in Cassazione
L’uomo ha deciso di fare ricorso alla Corte di Cassazione contro la decisione della Corte di Appello di Ancona, sostenendo che le modalità di visita erano contrarie al “principio di bigenitorialità” e dannose per lo sviluppo del minore. Inoltre, il papà ha lamentato l’omessa motivazione riguardo al potenziale danno al minore derivante dai pernottamenti presso di sé, così come l’onere della distanza tra la casa paterna e quella materna che avrebbero potuto inficiare le visite genitoriali.
La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato l’uomo a rifondere le spese legali del giudizio. Ma perché?
Il principio di “bigenitorialità”
Il papà maceratese si era appellato al “principio della bigenitorialità” (introdotto con la legge 54/2006). Secondo la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, il nostro Paese non ha predisposto un sistema giuridico adeguato a garantire questo principio. Anche se il principio sia stato ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con Ordinanza 28723/2020, la stessa Cassazione, con Sentenza del 24 marzo 2022, ha sancito che il diritto alla bigenitorialità è sempre subordinato a quello del benessere del minore.
Il benessere del minore, quindi, può andare anche a “discapito” di quello del genitore e dei suoi interessi. Ciò spiegherebbe la sentenza della Corte d’Appello d’Ancona: dormire nell’abitazione del padre non è conciliabile con la tenera età del figlio, che al momento della presentazione del ricorso in primo grado aveva appena 16 mesi di vita ed era ancora allattato al seno dalla madre.
Leggi e norme italiane
Il Codice civile (art. 33 ter.) afferma che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale. Valuta, cioè, prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascun genitore debba contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.
Se non contrari all’interesse dei figli, il giudice prende atto degli accordi tra i genitori, in particolare quando sono stati raggiunti in seguito ad un percorso di mediazione familiare. Il mantenimento, inoltre, è previsto con un assegno periodico e si determina considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
La responsabilità genitoriale è quindi tutelata e esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte “di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente”, si legge nel Codice civile.
Novara, su sentenza Cassazione: “Finalmente!”
“La Cassazione ha finalmente emesso la sua sentenza su una questione che da almeno 10 anni attendeva chiarezza: per la tutela dei bambini e delle bambine nei primi tre anni di vita, la prevalenza materna, specie di notte, deve essere garantita, assoluta e tutelata dalla legge. A meno di casi particolari ed eccezionali”. Ad affermarlo è Daniele Novara, pedagogista italiano, fondatore e direttore del Centro Psico-pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, in relazione alla sentenza sull’affidamento notturno di bambini non più grandi di tre anni e figli di genitori separati.
“Non ha alcun senso ed è dannoso per i piccoli essere continuamente sballottati da una casa all’altra senza una permanenza fissa – ha aggiunto il pedagogista -, che favorisca una abitudinarietà e una stabilità che nei primi tre anni di vita segnano tutto il resto dell’esistenza finalmente anche i giudici, con questa importante sentenza, ratificano che le leggi devono sottostare ai principi di sintonizzazione con le fasi educative e psicologiche di crescita infantile. Ogni cosa a suo tempo”.
“Mi auguro che anche su altri aspetti delle vicende relative alle separazioni genitoriali la giustizia sappia ribadire la priorità delle fasi di crescita rispetto ai desideri possessivi di determinati genitori che rischiano di lasciare ferite profonde nella crescita dei loro figli – ha concluso Novara -. Se un genitore vuole essere tale, deve conoscere le fasi di crescita, rispettarle e non sollecitare inversioni di giudizio a scapito proprio dei suoi bambini e bambine”.
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