Salute mentale, i dati Oms: oltre 1 miliardo di persone convive con un disturbo
- 3 Settembre 2025
- Mondo
Un miliardo di persone nel mondo vive con un disturbo mentale. È la cifra che l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo sul tavolo con i suoi ultimi rapporti: un dato che non si presta a interpretazioni né a giri di parole. Ansia e depressione sono ormai malattie di massa, con un impatto devastante sulla salute e sull’economia globale. Non si tratta di un fenomeno marginale: i disturbi mentali sono la seconda causa di disabilità a lungo termine e bruciano circa 1 trilione di dollari l’anno in produttività persa.
Il suicidio resta il segnale più devastante di questa crisi: 727mila morti nel 2021, con i giovani in prima linea. E mentre l’Agenda 2030 puntava a ridurre di un terzo la mortalità entro la fine del decennio, sulla traiettoria attuale si arriverà al massimo a un -12%. Una distanza abissale. Le donne pagano un prezzo più alto degli uomini, soprattutto nei disturbi d’ansia e depressione. I paesi poveri, invece, si scontrano con un’altra barriera: meno del 10% delle persone con psicosi riceve cure, contro oltre il 50% nei paesi ricchi. La geografia dei servizi si traduce in una disuguaglianza brutale: chi nasce nel posto sbagliato rischia di restare senza aiuto.
L’Europa spende più di tutti ma resta inchiodata
Dentro questa cornice globale, l’Europa rappresenta un caso particolare. È la regione che mette più risorse sul piatto, ma resta impantanata in numeri che non migliorano. Nel 2024 la spesa media pro capite per la salute mentale è stata di 51,76 dollari, contro i 6,86 delle Americhe. Un abisso. Anche la quota sul bilancio sanitario è da record: 4,5% rispetto al 2,1% della media mondiale.
Eppure la prevalenza dei disturbi non cala, anzi. Tra il 2001 e il 2021 è cresciuta dal 14% al 15,4% della popolazione. E l’accesso ai servizi resta un miraggio: solo il 9% dei depressi riceve cure, il 40% delle persone con psicosi trova assistenza. Il resto resta fuori dal radar. “Quelli sono i numeri di cui preoccuparsi”, ha dichiarato Dévora Kestel dell’Oms. Numeri che raccontano un continente capace di stanziare fondi ma incapace di trasformarli in risposte efficaci.
Le ragioni stanno in sistemi ancora troppo centrati sugli ospedali psichiatrici. Quasi la metà dei ricoveri è involontaria e oltre il 20% dura più di un anno. Meno del 10% dei paesi ha completato la transizione a un modello comunitario.
I buchi neri delle politiche globali
Dal 2020 molti governi hanno rivisto piani e linee guida sulla salute mentale. Alcuni hanno introdotto approcci basati sui diritti, altri hanno rafforzato il supporto psicosociale nelle emergenze. Ma quando si passa alle leggi, lo scenario cambia. Solo il 45% dei paesi ha una normativa in linea con gli standard internazionali sui diritti umani.
Gli investimenti, poi, sono fermi. A livello globale la quota di spesa pubblica per la salute mentale resta inchiodata al 2% del budget sanitario. Non è cambiata dal 2017. Nei paesi ricchi si arriva a 65 dollari a persona, in quelli poveri a 0,04. Il divario si traduce anche in forza lavoro: in media ci sono 13 operatori ogni 100mila abitanti, ma nei paesi a basso reddito la carenza è cronica.
La conseguenza è che milioni di persone finiscono in ricoveri di lunga durata, spesso contro la loro volontà, in assenza di alternative comunitarie. Un modello che genera costi elevati e risultati scarsi. L’Oms lo definisce insostenibile, ma la trasformazione resta bloccata da inerzie politiche e resistenze culturali.
L’appello dell’Oms
“Investire nella salute mentale significa investire in persone, comunità ed economie – un investimento che nessun paese può permettersi di trascurare”, ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. È un richiamo a passare dalle promesse ai fatti.
Le priorità sono già scritte: finanziamenti equi e stabili, leggi che rispettino i diritti, più personale specializzato e una rete di servizi comunitari in grado di sostituire il vecchio modello ospedaliero. In parallelo, prevenzione: programmi nelle scuole, sostegno all’infanzia, strategie anti-suicidio.
Qualcosa si muove: oltre l’80% dei paesi oggi include servizi psicosociali nelle risposte alle emergenze, contro il 39% del 2020. La telemedicina è in crescita, anche se l’accesso resta diseguale. Ma per l’Oms serve un salto negli investimenti: senza decisioni politiche coraggiose, i progressi rischiano di restare pezzetti isolati. Il banco di prova sarà il vertice Onu di settembre 2025 a New York. Lì si capirà se la salute mentale resterà confinata ai comunicati ufficiali o se diventerà finalmente una priorità concreta.