Neanderthal e Sapiens: così la dieta di larve aiuta a capire la convivenza tra le due specie
- 12 Agosto 2025
- Popolazione
Recentemente, una ricerca pubblicata su Science Advances ha ribaltato l’idea per cui i Neanderthal fossero “ipercarnivori”, scoprendo che dietro gli “altissimi” livelli di azoto c’era il consumo di carne infestata dalle larve, che ha ottimizzato la dieta dei nostri antenati. Questo sofisticato adattamento alimentare spiega come riuscirono a resistere alle fluttuazioni climatiche e alla competizione con l’Uomo Sapiens molto più a lungo di quanto gli scienziati immaginassero.
L’analisi dei livelli di azoto-15 nelle loro ossa, condotta dal Forensic Anthropology Center dell’Università del Tennessee, ha rivelato che consumavano regolarmente larve di mosca cresciute su carne in decomposizione – non per necessità, ma per strategia nutrizionale.
Infatti, incrociando questa ricerca con altri studi si riesce a capire come abbia fatto l’Uomo di Neanderthal a sopravvivere abbastanza a lungo da convivere con l’Uomo Sapiens per migliaia di anni.
La loro flessibilità alimentare fu una strategia evolutiva che prolungò la loro esistenza fino alla definitiva assimilazione genetica.
Neanderthal e Sapiens: da Princeton alla grotta di Mandrin
Già nel luglio 2024, lo studio dell’Università di Princeton, pubblicato su Science, aveva rivoluzionato la comprensione dei rapporti tra le due specie utilizzando l’algoritmo Ibdmix. I ricercatori identificarono tre ondate di ibridazione tra Neanderthal e Sapiens lungo un periodo di 200mila anni: tra 250mila-200mila anni fa, tra 120mila-100mila anni fa, e la più massiccia tra 60mila-50mila anni fa.
A dicembre, un’altra ricerca, pubblicata su Nature, ha quindi precisato i tempi dell’ultima grande mescolanza: tra 50.500 e 43.500 anni fa, un periodo di circa 7mila anni durante il quale le due specie convissero in Europa.
Ma come riuscirono i Neanderthal, con una popolazione stimata di appena duemilaquattrocento individui riproduttivi, a mantenere comunità stabili abbastanza a lungo da permettere questa ibridazione prolungata? Lo studio di Princeton ha dimostrato come i Neanderthal possedessero dal 2,5% al 3,7% di patrimonio genetico Sapiens.
La ricerca sulla particolare ‘dieta’ dell’Uomo di Neanderthal ha aggiunto un ulteriore tassello alla ricostruzione: la capacità di sfruttare ogni risorsa nutritiva disponibile, incluse quelle che altri ominidi avrebbero scartato, fu fondamenta per la coesistenza delle due specie distinte del genere Homo.
Quando i Neanderthal conservavano carne nelle fosse durante i rigidi inverni pleistocenici – pratica necessaria per sopravvivere ai periodi di scarsità – le larve di mosca vi si sviluppavano inevitabilmente. Consumare queste larve significava ottenere grassi essenziali e proteine concentrate, risorse cruciali per mantenere comunità stabili durante le crisi climatiche.
Questa strategia alimentare spiega come piccole popolazioni neanderthaliane riuscirono a persistere in nicchie ecologiche specifiche anche quando i Sapiens iniziarono a espandersi in Eurasia. L’analisi dei dati genetici suggerisce che la prima espansione dall’hub che lasciò discendenti moderni in Eurasia orientale si verificò intorno a 45mila anni fa. Successivamente, qualche millennio dopo, un’ondata più consistente raggiunse l’Europa, rimpiazzando le popolazioni precedenti quasi estinte.
“I valori di azoto-15 nelle ossa neanderthaliane erano troppo elevati anche per una dieta esclusivamente carnivora”, spiegano i ricercatori. “Raggiungevano livelli paragonabili a predatori apicali come leoni e iene”. La soluzione dell’enigma è arrivata dall’analisi delle larve che crescono su tessuti in decomposizione: concentrazioni di azoto-15 fino a quattro volte superiori rispetto agli erbivori del Pleistocene.
La coesistenza nelle Montagne Zagros
La ricerca dell’Università di Colonia aveva identificato nelle Montagne Zagros, tra Iran e Iraq, il probabile teatro dei primi incontri tra le due specie. Questa regione, con la celebre grotta di Shanidar, offriva l’alta biodiversità necessaria per sostenere entrambe le popolazioni.
Inoltre, mentre i Sapiens si concentravano su strategie di caccia collaborative e raccolta stagionale, i Neanderthal avevano sviluppato tecniche di conservazione e fermentazione che permettevano di sfruttare le carcasse per mesi. Le loro pratiche alimentari complementari riducevano la competizione diretta, facilitando la coesistenza prolungata.
Come osserva Liming Li di Princeton, la ricerca del 2024 ha rappresentato “la prima volta che i geneticisti identificano multiple ondate di mescolamento tra umani moderni e Neanderthal”.
La scoperta sulla dieta suggerisce che queste ondate furono possibili proprio perché le due specie occupavano nicchie ecologiche parzialmente diverse.
Joshua Akey, dell’Università di Princeton aveva descritto la fine dei Neanderthal come “onde che si infrangono su una spiaggia, erodendo lentamente ma costantemente la riva”. La ricerca pubblicata su Science Advances conferma questa metafora: i Neanderthal non scomparvero per problemi di alimentazione, ma furono demograficamente sommersi dall’arrivo dei Sapiens.
Cosa ci resta di Neanderthal e Sapiens?
Ogni persona di origine non africana porta nei propri cromosomi l’eredità di almeno due specie umane. Le ricerche del 2024 pubblicate su Science e Nature hanno mappato questa doppia eredità genetica che deriva da settemila anni di ibridazione continua tra 50.500 e 43.500 anni fa, l’ultima fase di coesistenza in Europa, nonché la più intensa.
Le percentuali di dna neanderthaliano variano significativamente tra popolazioni contemporanee.
Le popolazioni dell’Asia orientale mostrano percentuali superiori (2,3-2,6%) rispetto a europei e medio-orientali (1,8-2,1%), una differenza che riflette rotte migratorie diverse e intensità di contatto variabile.
Questa variazione geografica non è casuale ma traccia le antiche migrazioni sapiens fuori dall’Africa.
I primi gruppi che raggiunsero l’Asia attraversarono territori dove i Neanderthal erano più numerosi e stabili, permettendo ibridazioni più prolungate. Le popolazioni europee successive incontrarono comunità neanderthaliane già ridotte demograficamente, limitando gli scambi genetici.
Le popolazioni himalayane rappresentano un caso particolare: oltre al Dna neanderthaliano, ereditarono dai Denisoviani – cugini dei Neanderthal – varianti del gene EPAS1 che favoriscono la vita ad alta quota.
Le varianti neanderthaliane tendono ad attivare maggiormente geni legati alla risposta infiammatoria acuta, vantaggiosa in ambienti con elevata pressione patogena ma potenzialmente dannosa oggi, dove contribuisce a malattie cardiovascolari.
D’altra parte, il (circa) 98% del patrimonio genetico derivante dai sapiens porta le caratteristiche del successo evolutivo. Geni specificamente sapiens legati allo sviluppo della corteccia cerebrale e alla plasticità sinaptica permisero di sviluppare linguaggio complesso, arte e tecnologie sofisticate.
Evoluzione continua: il futuro nei nostri geni
Il mosaico genetico sapiens-neanderthaliano continua a evolversi. Alcune varianti neanderthaliane stanno diminuendo di frequenza nelle popolazioni moderne, probabilmente perché svantaggiose nel contesto attuale.
L’urbanizzazione e i cambiamenti alimentari esercitano nuove pressioni evolutive su geni metabolici: varianti neanderthaliane vantaggiose per diete paleolitiche potrebbero diventare svantaggiose con l’alimentazione industriale.
Infine, la comprensione di questa “doppia eredità” sta rivoluzionando la medicina personalizzata. I farmaci mostrano efficacia diversa a seconda delle varianti genetiche neanderthaliane o sapiens. Le terapie immunosoppressive richiedono dosaggi calibrati in base alle varianti Hla ereditate.
Alcuni anticoagulanti mostrano effetti collaterali aumentati in presenza di varianti neanderthaliane del gene Cyp2c9, mentre antidepressivi specifici risultano più efficaci quando agiscono su recettori con caratteristiche sapiens.