Le crescenti sfide demografiche dell’Italia viste dall’Unione europea
- 26/06/2024
- Welfare
Cause e conseguenze del calo demografico italiano? Ci pensa la Commissione europea a dipingere il quadro della situazione nell’ultimo Country report 2024 dedicato al Belpaese. Dai tassi di natalità ai minimi storici, passando per una popolazione sempre più anziana, fino alla spesa per le pensioni in aumento e le conseguenze che avrà l’assenza di un ricambio generazionale nel sistema-lavoro, per la Commissione la situazione è chiara: è necessario intervenire. Come? Investendo nel futuro di donne e giovani e puntano al Mezzogiorno come hub per l’energia. Scopriamo nel dettaglio perché.
Tasso di natalità
Ormai è noto che nel 2022 il tasso di natalità ha registrato un picco storico che è andato peggiorando nel 2023. L’età media delle donne alla nascita del primo figlio è 31.7, contro una media dell’Ue di 29.4. Il saldo migratorio rimane positivo ma non compensa più il basso tasso di natalità. Nel 2022, oltre 410.000 persone sono emigrate in Italia, mentre circa 150.200 hanno lasciato il Paese. “Poiché gli emigranti hanno un livello medio di competenze superiore a quello degli immigrati, la fuga di cervelli rimane una sfida”, si legge nel report.
Come se non bastasse, l’aumento dell’età media del nostro Paese ha fatto sì che una popolazione sempre più anziana non trovasse un numero congruo di giovani nella forza lavoro. L’Italia, con la sua media di 48.4 anni nel 2023, prevede una diminuzione della popolazione in età lavorativa dello 0,7% entro il 2030. Fino al 2050, questo calo sarà pari al 14,1% e la sostenibilità delle finanze pubbliche inizia a vacillare. Su questo tema sono stati chiari anche gli attuali ministri del governo Meloni che, in un evento dedicato alla denatalità, hanno spiegato le l’Italia è già in ritardo sulle politiche lavorative e che donne e giovani restano la sfida maggiore. Dall’occupazione di questi due grandi gruppi può dipendere concretamente il futuro produttivo del Paese.
Spesa per le pensioni
Come spiega la Commissione nel Country Report, gli sviluppi demografici sfavorevoli “prevedono di aumentare la spesa per le pensioni prima che inizi a diminuire nel lungo termine grazie alla riforma delle pensioni del 2011. La spesa pensionistica dell’Italia come quota del Pil è tra le più alte dell’Ue (nel 2022, 15.6% del Pil contro l’11.4% nell’Ue), il che limita le risorse disponibili per la spesa a favore della crescita, soprattutto considerando l’alto livello del debito pubblico. Sebbene la riforma delle pensioni del 2011 aiuterà a ridurre la spesa per le pensioni nel lungo termine, si prevede che questa aumenterà sostanzialmente nel medio termine a causa degli sviluppi demografici”.
Ma ancora più critica è la visione sulle misure politiche adottate negli ultimi anni. Secondo la Commissione, infatti, queste hanno ulteriormente aumentato la spesa delle pensioni. Dal regime pensionistico anticipato, meglio noto come Quota 100 e introdotto nel 2019, fino alla recente decisione di estenderlo con criteri di accesso più rigorosi (Quota 102 e Quota 103) e altri regimi temporanei di pensionamento anticipato per le donne e i lavoratori vulnerabili, potrebbero anche peggiorare la situazione.
Sostenibilità fiscale a rischio
Insieme a bassi tassi di partecipazione e crescita della produttività, ciò contribuisce ai rischi stimati di sostenibilità fiscale dell’Italia nel medio termine e ai rischi medi nel lungo termine. “L’assegno universale per i figli aiuterà a combattere la povertà infantile e potenzialmente il basso tasso di natalità, se integrato con investimenti nei servizi di assistenza e un migliore accesso al mercato del lavoro”, specifica la Commissione.
Ciò che aumenta i rischi di povertà è:
- La mancanza di accesso a servizi di assistenza di qualità e a prezzi accessibili.
- L’ingresso tardivo nel mercato del lavoro.
- I lavori a bassa qualità e la stagnazione salariare a lungo termine.
Tuttavia, l’impatto positivo delle politiche familiari è minore quando ci sono maggiori incertezze economiche.
La soluzione? “Un modo per mitigare questo è rafforzare le politiche di equilibrio tra lavoro e vita privata e fornire assistenza all’infanzia accessibile e di alta qualità – ha suggerito la Commissione -. L’assegno universale per i figli, così come le misure incluse nella legge di bilancio 2024, potrebbero aiutare ad aumentare il tasso di natalità nel lungo termine; oltre all’investimento del Prr, ulteriori misure nei servizi di assistenza potrebbero anche stimolare i tassi di natalità permettendo alle donne di lavorare. Allo stesso modo, misure per promuovere pari opportunità e equilibrio tra lavoro e vita privata, tra cui congedi parentali più generosi per i padri, aumentando la quota di adulti che partecipano alla formazione e sostenendo la partecipazione delle donne e dei giovani sarebbero benefici”.
Le politiche migratorie
Uno dei temi che maggiormente influenzano le politiche demografiche e familiari è quello dell’immigrazione. Le politiche migratorie, infatti, secondo la Commissione, “potrebbero essere rafforzate per mitigare le dinamiche demografiche sfavorevoli nel breve e medio termine. Il nuovo decreto del 2024 sui flussi migratori raddoppia quasi il numero di cittadini stranieri provenienti da paesi non Ue ammessi ogni anno in Italia rispetto al precedente decreto sui flussi migratori del 2020 (+99.5%). Estende la durata del permesso di lavoro a tre anni e aggiunge nuovi settori di lavoro. Semplifica anche il processo di conversione dei permessi di studio in visti di lavoro e attiva la collaborazione con le giurisdizioni straniere per facilitare il riconoscimento delle competenze per i cittadini non Ue”.
Ma non basta. Perché per affrontare la fuga di cervelli nel breve termine servirà una strategia che possa attrarre e trattenere lavoratori e studenti altamente qualificati e allinearla “con le esigenze industriali e di sviluppo del Paese”.
“Sbloccare il potenziale del Mezzogiorno”
La Commissione, nell’analizzare la condizione demografica italiana, ha dedicato una sezione del Country Report al Mezzogiorno. Riconoscendone l’importanza, nel report si legge che “il sud ha un grande potenziale come hub logistico nel Mediterraneo. Nel 2022, il trasporto marittimo ha trasportato il 74% delle merci scambiate tra l’Ue e il resto del mondo (Eurostat). Il Mar Mediterraneo copre l’1% della superficie marina globale ma trasporta il 20% del trasporto marittimo. I porti del sud Italia stanno guadagnando competitività: Gioia Tauro si è classificata nono nell’Ue per il traffico di container, Augusta si è classificata settima per il commercio marittimo di massa liquida e Napoli, Palermo e Messina sono tra i primi 20 porti del Mediterraneo per passeggeri da crociera”.
Nel 2021, l’Italia è stata il primo paese dell’Ue per il trasporto marittimo a corto raggio, fornendo il 17,6% di tutto il traffico dell’Ue. Data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, l’Italia potrebbe avere un ruolo maggiore nel fornire collegamenti (e commercio) nella regione. Ma non c’è una strategia univoca a supporto.
Le energie rinnovabili
Inoltre, c’è il grande tema dell’energia rinnovabile. Il 96,3% dell’eolica italiana e il 40,2% della fotovoltaica sono prodotte al Sud. “Data la sua elevata potenzialità di energia rinnovabile, il sud ha rappresentato anche l’80,7% delle richieste di connessione alla rete elettrica nazionale per l’energia solare e l’88,0% per l’energia eolica nel 2022 – spiega la Commissione -. Diverse misure politiche, in particolare gli incentivi fiscali, sostengono le attività economiche nel sud, ma mancano di un focus chiaro. Il principale strumento utilizzato è il credito d’imposta per il sud. Nel 2020, questa misura ha beneficiato soprattutto la manifattura (35,1%), il commercio (16,8%) e l’edilizia (14,8%). I principali beneficiari sono le micro o piccole imprese, che assorbono il 64% di tutte le risorse”.
I sussidi al Mezzogiorno e i rischi dell’autonomia differenziata
“Resto al Sud” è il primo incentivo di cui, circa il 50%, è destinato al turismo, il 22% alla manifattura, il 20% ai servizi personali e meno del 3% all’Ict. I vantaggi concessi alle imprese che operano nelle otto zone economiche speciali, tra le quali l’avere procedure semplificate, hanno attirato investimenti nella transizione energetica, nella logistica, nell’agroalimentare, nel commercio al dettaglio, nella riparazione di veicoli e nel settore della metallurgia (tra gli altri).
Inoltre, le imprese che operano nel sud hanno anche diritto a contributi sociali ridotti per i dipendenti (escludendo settori come l’agricoltura, il lavoro domestico e le entità pubbliche): “Le simulazioni effettuate dal Centro comune di ricerca della Commissione mostrano che un aumento dei salari nella parte bassa della distribuzione dei salari sarebbe particolarmente vantaggioso per i dipendenti nel sud”, ha suggerito la Commissione. Nel 2022, inoltre, è stato creato un nuovo ministero che combina gli affari dell’Ue con la coesione territoriale. Nel 2023, il “decreto Mezzogiorno” ha trasferito la responsabilità dai commissari straordinari a un unico organismo dedicato e sotto la responsabilità dello stesso ministero.
Un approccio ecosistemico potrebbe integrare la definizione della strategia industriale per il sud, basandosi sulle specializzazioni industriali esistenti e sulle catene di valore strategiche. La Commissione riporta a questo punto l’esempio della Sicilia che sta beneficiando di investimenti specifici su microelettronica e energia rinnovabile, con la costruzione della prima linea di produzione di barre di carburo di silicio in Europa: “La gigafactory 3Sun di Catania sta diventando anche un attore chiave nella produzione di pannelli solari in Europa, e ci sono investimenti importanti supportati dalla politica di coesione. Tuttavia, c’è margine per sviluppare ulteriormente gli ecosistemi industriali attorno a questi investimenti strategici. Basandosi sugli investimenti mirati nel piano di ripresa e resilienza, l’Italia potrebbe incoraggiare la consolidazione tra i principali attori e le nuove imprese lungo le catene di valore strategiche, rafforzare le partnership con il mondo accademico e il trasferimento di tecnologia, e migliorare l’offerta di competenze fornendo formazione professionale mirata”.
E, infine, un ultimo capitolo è stato dedicato all’autonomia differenziata. Il Senato ha approvato la legge quadro per l’attuazione di livelli differenziati di autonomia delle regioni con statuto ordinario all’inizio di quest’anno.
Il disegno di legge, adesso, è nelle mani della presidenza della Repubblica, e “comprende alcune garanzie per le finanze pubbliche, come ad esempio le valutazioni periodiche della fiscalità regionale e dei requisiti regionali relativi ai contributi per raggiungere gli obiettivi del bilancio nazionale. Tuttavia – chiarisce la Commissione -, mentre il disegno di legge attribuisce specifiche prerogative al governo nel processo di negoziazione, esso non fornisce alcun quadro comune per valutare le richieste regionali. Inoltre, permangono rischi di aumento delle diseguaglianze”. Questa legge, in sintesi: “Aumenterà la complessità istituzionale, portando il rischio di maggiori costi sia per il pubblico che per i cittadini e il settore privato”.
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