Nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi
- 26/08/2024
- Welfare
Nel cuore del Mezzogiorno le pensioni superano già gli stipendi. E, sebbene il fenomeno possa sembrare circoscritto a questa parte d’Italia, le analisi rivelano che questo squilibrio potrebbe presto diffondersi anche nelle regioni centro-settentrionali. Un approfondimento dell’Ufficio Studi della CGIA, che ha esaminato dati INPS e ISTAT, evidenzia una dinamica che potrebbe minacciare la sostenibilità economica del nostro paese.
La demografia che non tira il freno
La realtà è che il nostro Paese sta affrontando una crisi demografica profonda. Entro il 2028, ben 2,9 milioni di italiani raggiungeranno l’età pensionabile, di cui 2,1 milioni attualmente lavorano nelle regioni centro-settentrionali. Questo massiccio esodo di lavoratori sta creando una situazione in cui gli assegni pensionistici iniziano a superare le buste paga degli operai e degli impiegati. La CGIA sottolinea che, con una crisi demografica così grave, è difficile immaginare di sostituire adeguatamente questi lavoratori, minacciando così la sostenibilità economica del sistema previdenziale e sanitario del nostro Paese.
Nel 2022, i dati erano già preoccupanti: i lavoratori dipendenti e autonomi erano circa 23,1 milioni, mentre gli assegni pensionistici erano poco meno di 22,8 milioni, con un saldo positivo di 327mila. Tuttavia, la situazione non è migliorata. L’aumento degli occupati, come indicato dall’Istat, non ha compensato l’incremento delle pensioni, che ha continuato a crescere a un ritmo superiore.
Il Mezzogiorno e il nuovo equilibrio sociale
La provincia di Lecce, con un saldo negativo di 97mila, rappresenta il punto critico del Mezzogiorno, seguita da Napoli (-92mila), Messina (-87mila), Reggio Calabria (-85mila) e Palermo (-74mila). Non è solo il numero di pensioni di vecchiaia a influenzare questi dati, ma anche l’elevata diffusione di trattamenti sociali e inabilità. Questi numeri riflettono i profondi problemi strutturali del Sud Italia: denatalità, invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione inferiore alla media dell’UE e una preoccupante quantità di lavoro irregolare. Questi fattori combinati hanno ridotto il numero di contribuenti attivi, aumentando quindi la platea dei percettori di welfare.
Ma non è solo una questione meridionale. La crisi si sta estendendo anche alle regioni più ricche del Nord. Oggi, 11 province del Settentrione registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga. Sondrio, Gorizia, Imperia, La Spezia, Vercelli, Rovigo, Savona, Biella, Alessandria e Ferrara sono le province che mostrano questo squilibrio, con Genova in testa con un saldo negativo di 20mila. Questo dimostra che l’inevitabile crisi demografica non risparmia neanche le aree più prospere.
Nonostante il quadro desolante, esistono delle eccezioni. Le aree più virtuose del Paese riescono a mantenere un saldo positivo tra pensionati e lavoratori. Milano, con un saldo positivo di 342mila, Roma (+326mila), Brescia (+107mila), e altre città come Bolzano e Verona sono esempi di realtà economiche che riescono a bilanciare meglio i due indicatori. In Toscana, province come Prato, Pisa e Pistoia mostrano anch’esse risultati positivi, anche se limitati.
Queste differenze territoriali evidenziano il fatto che le crisi demografiche e pensionistiche non colpiscono in maniera uniforme, ma seguono un pattern che riflette le diversità economiche e sociali del Paese.
La sfida delle politiche pubbliche
Il segretario della CGIA, Renato Mason, lancia un avvertimento chiaro: “Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere”. Questo trend potrebbe minare l’equilibrio dei conti pubblici, richiedendo interventi significativi per invertire la tendenza. Mason suggerisce che la soluzione passa attraverso l’aumento della platea degli occupati, la lotta al lavoro nero e il miglioramento dei tassi di occupazione giovanile e femminile.
Un Paese con una popolazione sempre più anziana si trova a fronteggiare sfide economiche significative. La maggiore spesa per sanità, pensioni e assistenza agli anziani, combinata con una minore propensione al consumo da parte degli over 65, potrebbe ridurre l’attività in settori come il mercato immobiliare, i trasporti e il settore della moda. Tuttavia, le banche potrebbero trarre vantaggio dall’aumento dei risparmi degli anziani, una tendenza che potrebbe ampliare i depositi bancari e beneficiare il settore finanziario.
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