Pensioni: crollano le anticipate, le donne ricevono il 30,3% in meno degli uomini
- 25 Luglio 2025
- Welfare
Per capire cosa sta succedendo alle pensioni anticipate italiane, possiamo prendere in prestito il principio di diritto secondo cui “situazioni straordinarie richiedono regole straordinarie”. Questa regola vale anche in demografia, soprattutto quando ad essere straordinaria è la natalità, mai così bassa come nel 2024. La crisi demografica, che prosegue da oltre un decennio, ha portato il governo a disincentivare le pensioni anticipate, per evitare (o rimandare) il crollo della produttività italiana. Se qualcuno esce, non è detto che qualcun altro entri.
I numeri del primo semestre 2025
I dati rilasciati dall’Osservatorio Inps sono eloquenti: da gennaio a giugno del 2025 sono state liquidate 98.356 pensioni anticipate, -17,3% rispetto allo stesso periodo del 2024, quando ammontavano a circa 118.550. Ha contribuito al calo la stretta su Quota 103 (in pensione a 62 anni con 41 di contributi) decisa da Palazzo Chigi, con il calcolo dell’assegno basato interamente con il metodo contributivo, meno generoso di quello retributivo. Per motivi analoghi sono crollate anche le pensioni liquidate con Opzione donna: 1.134 nel primo semestre 2025 contro le 3.590 di tutto il 2024.
Complessivamente, nei primi sei mesi di quest’anno sono state pagate 397.691 pensioni:
- 901 pensioni di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi) per 1.136 euro medi al mese;
- 356 pensioni anticipate (42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età, per le donne un anno in meno, e altre forme di uscita anticipata dal lavoro come Quota 103). Nonostante le restrizioni degli ultimi anni, queste pensioni sono molto più ricche di quelle ‘ordinarie’: il cedolino medio è di 2.076 euro mensili contro i 1.136 euro delle pensioni di vecchiaia. Questo succede perché vengono scelte più frequentemente da lavoratori che possono permettersi di uscire prima dal lavoro e che ricevevano uno stipendio più alto (e quindi versavano più contributi) rispetto alla media dei lavoratori italiani;
A queste vanno aggiunte le pensioni ai superstiti (106.693 trattamenti), quelle di invalidità (23.996 trattamenti) e gli assegni sociali uniti ad altre prestazioni specifiche (50.745 trattamenti in tutto).
Il numero che colpisce di più è il calo delle pensioni anticipate rispetto all’anno scorso, che diventa più significativo se si considera che i dati del 2024 parlavano già di una drastica discesa.
Il calo dal 2024
Il giro di vite, infatti, è iniziato con la legge di Bilancio 2024, quando l’introduzione di Quota 103 e la stretta su Opzione Donna hanno dato una sterzata alle scelte degli italiani. Nei primi sei mesi dello scorso anno, l’Inps ha registrato un calo del 14,15% nelle pensioni anticipate rispetto allo stesso periodo del 2023, con soli 99.707 nuovi assegni erogati contro i 116.143 dell’anno precedente. Il sistema richiede 62 anni di età e 41 anni di contributi con finestre passate da 3 a 7 mesi per i lavoratori privati e da 6 a 9 mesi per i pubblici.
Particolarmente colpita è stata la misura Opzione Donna. Le nuove restrizioni hanno fatto crollare le adesioni: solo 2.107 donne hanno usufruito di questa opzione nei primi sei mesi del 2024, rispetto alle 11.576 del 2023.
Gli importi medi delle pensioni
Il cedolino pensionistico cambia molto tra le varie categorie. In media le nuove pensioni riconosciute nel primo semestre 2025 hanno un importo di:
- 1379 euro al mese per i dipendenti privati;
- 2056 euro per i dipendenti pubblici;
- 859 euro per autonomi e parasubordinati.
Nel primo semestre 2025, sono state liquidate in tutto quasi 347 mila pensioni di reversibilità, il trattamento economico erogato dall’Inps ai familiari superstiti di un pensionato o di un lavoratore deceduto che aveva maturato i requisiti per la pensione, per un importo medio di 1.320 euro al mese.
Il gap tra uomini e donne
Ancora una volta, si segnala un enorme gap economico tra le pensioni degli uomini e quelle delle donne. Considerando la totalità delle pensioni erogate:
- L’importo medio della pensione per gli uomini è di 1.449 euro al mese;
- Il cedolino pensionistico medio delle donne è di 1.009 euro al mese.
Le donne, dunque, ricevono pensioni più basse del 30,3% rispetto agli uomini.
Il gap dipende da due fattori principali: il salary gap tra i due generi, per cui le donne guadagnano meno (e quindi versano meno contributi) degli uomini e la iniqua distribuzione dei carichi familiari che, tuttora, costringe molto donne a lasciare il lavoro dopo la maternità.
In Italia, le donne guadagnano ancora il 9,3% in meno rispetto agli uomini, un dato tra i più bassi dell’Unione Europea e il 20% smette di lavorare dopo aver avuto un figlio, come emerge dal report ‘Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025′.
Come si posiziona l’Italia rispetto agli altri Paesi
L’Italia occupa il 96esimo posto su 146 Paesi nel mondo in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro, mentre rispetto al gender gap retributivo si trova alla 95esima posizione. Nello specifico, più di una donna su quattro nel nostro Paese è a rischio lavoro a basso reddito (il 26,6%) contro il 16,8% registrato tra gli uomini.
La child penalty riguarda principalmente le donne. Se lavora il 68,9% di quelle senza figli, dopo la maternità la quota scende al 62,3%. Per gli uomini il dato è differente: il 77,8% senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri. Il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie.
Il gap uomo-donna non riguarda solo l’Italia, che comunque si posiziona agli ultimi posti in Occidente. In Europa, nel 2020, le donne guadagnavano in media il 13% in meno rispetto agli uomini a parità di ruolo e di ore lavorate.
Nel frattempo, sempre più uomini chiedono di avere maggior tempo da dedicare ai propri figli e una maggiore distribuzione dei carichi familiari. In questa direzione va il primo sciopero dei papà del Regno Unito, avvenuto l’11 giugno scorso, quando centinaia di papà inglesi hanno lasciato il lavoro alle 15 e fatto una richiesta precisa: almeno sei settimane di congedo di paternità retribuito a pieno, contro le attuali due settimane pagate meno della metà del salario minimo.
Anche l’Europa prova ad assottigliare la distanza di genere. Per effetto della Direttiva (Ue) 2023/970, dal 2026 le aziende saranno obbligate a rivelare gli stipendi degli uomini e delle donne all’interno dell’impresa. Ai datori di lavoro sarà inoltre vietato chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite in precedenti esperienze professionali, impedendo così che le disparità salariali persistano quando si cambia lavoro.