Gender pay gap nel privato, Italia quarta in Europa. LHH: “Limite per la crescita economica”
- 20/02/2024
- Welfare
La parità di genere passa anche attraverso un’equa distribuzione degli stipendi tra uomini e donne. Il divario, però, non è ancora stato colmato e le differenze culturali, oggi ancora radicate nei diversi settori, portano alla costruzione di disuguaglianze in molte aree sociali. Il gender pay gap, quindi, diventa lo strumento più chiaro per monitorare l’andamento e lo sviluppo del problema.
A fotografare lo scenario attuale, uno studio di LHH, provider unico e globale di soluzioni Hr end-to-end che guida aziende e persone nell’intero ciclo professionale. L’analisi sul tema è stata realizzata insieme all’Osservatorio JobPricing e IDEM Mind The Gap. Ecco cosa è emerso.
Occupazione femminile
Negli ultimi trent’anni le donne hanno avuto una sempre maggiore possibilità di prendere attivamente parte al mercato del lavoro, ma la parità non è ancora stata raggiunta. Nel 2022, nello specifico, l’occupazione femminile ha superato il 51%, contro il 69% degli uomini. A testimoniare l’aumento del numero di donne entrate o rientrate a far parte nel mondo del lavoro è anche la riduzione del tasso di disoccupazione, che si attesta al 9,5% per le donne e al 7% per gli uomini.
Il problema però sembra riguardare l’accessibilità, la remunerazione e la possibilità di svolgere ruoli apicali sia all’interno del settore pubblico che in realtà private. Le donne occupate, così, risultano essere di meno, trovano meno lavoro e tendenzialmente sono scoraggiate dalla difficoltà di trovare un impiego che rispecchi realmente l’impegno e il tempo impiegati e una remunerazione consona ad essi.
Una speranza emerge dalla ricerca: dal punto di vista del livello di istruzione, sono principalmente le non laureate a scontare una minor presenza nel settore rispetto ai colleghi. Al contrario, quando laureate, le donne ricoprono numericamente ruoli superiori agli uomini.
Gender pay gap
L’analisi si è soffermata sul calcolo della RAL annuale in Full Time Equivalent (Fte) del settore privato, escluse sanità e istruzione privata. Nell’anno 2022, l’Osservatorio JobPricing ha registrato un pay gap pari all’8,7%, che raggiunge il 9,6% considerando la RGA (Retribuzione Globale Annua, comprensiva cioè̀ della parte variabile). In altre parole, guardando al gap in termini monetari, parliamo di 2.700 euro lordi sulla RAL e 3 mila sulla RGA.
I numeri negli anni sono andati man mano migliorando, ma guardando al divario retributivo di genere complessivo (gender overall earnings gap), e cioè alla differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini, questo si stima per l’Italia al 43%, posizionando il Belpaese quarto posto tra i divari più alti in Europa, dopo Paesi Bassi, Austria e Svizzera.
Percorsi di carriera
Nei ruoli dirigenziali e quadri le donne rappresentano una minoranza. Disparità, però, ancora più evidente nel settore privato con l’83% dei dirigenti rispetto al 17% delle donne e il 69% “quadri” maschili rispetto al 31% femminile. Se si guarda il dato del mercato nel suo complesso, la situazione risulta migliore, segno che nel settore pubblico il gap è meno accentuato (dirigenti: 67% uomini, 33% donne; quadri: 55% uomini, 45% donne).
Tra le società quotate, le amministratrici delegate rappresentano solo il 2% del totale e il 3,8% di chi ricopre il ruolo di presidente del Consiglio di amministrazione. Le percentuali rispecchiano l’andamento diffusosi dal 2013 ad oggi, dimostrando che non è cambiato molto in merito.
Ma ci sono ruoli in cui le donne hanno una maggioranza rappresentativa? Nell’ambito privato, seppur non proprio in totale maggioranza, le donne manager in auditing, compliance e risk management si dimostrano numericamente di più. Le altre aree in cui ciò si verifica è “area tecnica e ricerca e sviluppo”, risorse umane e organizzazione, marketing e comunicazione.
“Soffitto di cristallo”
LHH, guardando ai dati, parla di un “soffitto di cristallo” o di “pavimento appiccicoso”. Il riferimento è alla impossibilità di staccarsi da ruoli lavorativi inferiori rispetto ad altri e la difficoltà, quindi, di spaccare quel soffitto che sembra essersi creato sulle teste delle donne e che impedirebbe l’accesso ad una carriera in ascesa.
Questo tipo di andamento rischia di diventare un problema per l’economia italiana in quanto, diversi studi hanno dimostrato che aziende con a capo delle dirigenti donne ottengono migliori risultati nella valorizzazione dei talenti, consolidando reputazione e responsabilità di impresa, che risultano più innovative e registrano miglioramenti delle performance finanziarie. Le conseguenze di una insufficiente battaglia sulle disuguaglianze si misura sulla mancata crescita delle aziende e su una riduzione del valore per gli azionisti.
Top earners
Il segmento di mercato monitorato dall’Osservatorio JobPricing esclude i cosiddetti top earners, cioè chi guadagna gli stipendi più alti: gli amministratori delegati e i dirigenti con responsabilità strategiche delle imprese quotate. In questa fetta di mercato, il differenziale salariale cresce esponenzialmente. I gap più alti si osservano tra chi ricopre il ruolo di presidente del CdA senza ricoprire altre cariche (ad esempio senza essere AD) e tra i consiglieri esecutivi. A ciò si aggiunge che, se si guarda la classifica (stilata da Consob) dei top earners, considerando le prime 100 posizioni, per trovare una figura femminile bisogna scorrere lo sguardo fino a quota 66, e in totale sono soltanto 3 le donne che compaiono tra le 100 figure più remunerate delle società quotate.
“Il gender gap deve essere considerato come un vero e proprio danno per la nostra società: la disuguaglianza è in primis un problema etico, ma non solo. Si tratta anche di un limite per la crescita economica. In questo senso, incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro risulta una linea di intervento urgente e necessaria. Da un lato, è fondamentale mettere in atto politiche che supportino in maniera concreta le famiglie e le imprese e, dall’altro, coltivare la cultura della parità di genere nel mercato del lavoro e all’interno delle organizzazioni, oltre che nella sfera educativa, sociale e privata. Infatti, non possiamo mai dimenticare che le aziende sono composte da persone con un bagaglio culturale, che in primis ha radici nella formazione individuale e nelle relazioni sociali”, ha commentato Luca Semeraro, Amministratore delegato di LHH Italia e Spagna.
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