Enigma lavoro: aumentano le assunzioni, ma calano i contratti a tempo indeterminato
- 28/12/2023
- Welfare
Più assunzioni non significa necessariamente più lavoro. Per capire concretamente come si sta evolvendo il panorama lavorativo del paese, bisogna considerare il tipo di rapporto occupazionale (full time/part time) e la stabilità dello stesso.
Si parta considerando che le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati nei primi nove mesi del 2023 sono state 6.272.000, in leggera flessione rispetto allo stesso periodo del 2022 (-0,3%) ma comunque superiori al livello prepandemico, ovvero lo stesso periodo del 2019.
Questo aumento va letto sotto diverse lenti. In primis, rispetto al 2022, risultano in diminuzione le assunzioni a tempo indeterminato che registrano un rilevante -5%, i contratti in somministrazione (-7%) e in apprendistato (-4%). D’altra parte, tutte le altre tipologie registrano una leggera crescita: lavoro intermittente +4%, stagionali e tempo determinato +2%. Da questi primi dati emerge come la stabilità occupazionale stenti a crescere, con tutte le conseguenze che ciò genera soprattutto sui più giovani, evidentemente restii a fare progetti di lungo termine con contratti in scadenza.
I dati emergono dall’osservatorio sul precariato dell’Inps sul periodo gennaio-settembre 2023, quando le cessazioni sono state 5.527.000, in diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-2%). Concorrono a questo risultato i contratti in somministrazione (-7%), a tempo indeterminato (-6%) e i contratti in apprendistato (-5%). In controtendenza invece risultano i contratti a tempo determinato (+1%) e quelli di lavoro intermittente (+3%), stabili i contratti stagionali.
Una nota positiva sono le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato che nel corso dei primi nove mesi del 2023 sono state 580.000, +4% rispetto allo stesso periodo del 2022 e di pochissimo inferiori – in valore assoluto – al livello straordinario dei primi nove mesi del 2019, quando erano risultate 582.000.
Crollo importante, invece, per le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo: – 17% rispetto al corrispondente periodo del 2022. In realtà, spiega l’Istituto nazionale di previdenza, si tratta di un affetto atteso, a tre anni di distanza, della caduta delle assunzioni di apprendisti osservata nel 2020.
La sintesi più rapida del panorama occupazionale viene data dal saldo annualizzato che consiste nella differenza tra i flussi di assunzioni e le cessazioni verificatesi negli ultimi dodici mesi. A settembre 2023 l’Inps registra un saldo positivo pari a 508.000 posizioni di lavoro: +373.000 unità per i contratti a tempo indeterminato e +135.000 unità per i contratti a tempo determinato.
L’analisi dell’Inps restituisce anche uno spaccato della demografia delle imprese: si registra una lieve flessione di assunzioni per le classi di dimensione aziendale fino a 15 dipendenti (-2%) e per 100 e oltre (-1%); cresce invece la classe dimensionale intermedia da 16 a 99 dipendenti (+3,5%).
Per quanto riguarda le tipologie orarie l’incidenza del part time è rimasta pressocché stabile sia per l’insieme delle assunzioni a termine (45%) che per quelle a tempo indeterminato (32%).
In questa tabella è possibile osservare l’andamento negli specifici settori:
Le agevolazioni ai rapporti di lavoro
Quando si parla di lavoro, si parla anche di demografia, i cui numeri sono gravemente inficiati dagli stipendi troppo bassi e dalle scarse prospettive future per i giovani italiani che già lasciano casa più tardi degli altri giovani europei. Anche per cercare di contrastare il calo demografico, da anni si succedono delle agevolazioni alle assunzioni dei più giovani, ma il loro impatto risulta molto contenuto rispetto alle aspettative.
Al netto dei rapporti di lavoro di apprendistato, le attivazioni di rapporti di lavoro incentivati nei primi nove mesi del 2023, considerando sia le assunzioni che le variazioni contrattuali, sono cresciute appena dell’1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’agevolazione “Decontribuzione Sud” segna una buona crescita (+5%) confermandosi come l’agevolazione di maggior impatto. Ma su questo fronte, purtroppo, le buone notizie finiscono qui.
Infatti, proprio le misure che dovevano servire a sostenere il sistema hanno sottoperformato: l’esonero donne e le altre misure hanno registrato una flessione negativa rispetto allo stesso periodo del 2022 mentre per l’esonero contributivo totale giovani la variazione percentuale è pressocché nulla.
Il lavoro occasionale
Si registra invece un aumento percentuale importante per i Contratti di Prestazione Occasionale (CPO) che a settembre 2023 si attestano intorno alle 18.000 unità, registrando addirittura un +22% rispetto allo stesso mese del 2022. L’importo medio mensile lordo della remunerazione effettiva, osserva l’Inps, risulta pari a 248 euro.
La Cassa integrazione
Torna a numeri fisiologici il ricorso alla Cassa integrazione guadagni, dopo lo straordinario ricorso datato 2020 e generato dalla crisi pandemica, quando i lavoratori interessati erano ben 5,6 milioni.
A maggio 2021 i lavoratori in CIG risultavano scesi a poco meno di 1,5 milioni con una media mensile pro capite di 69 ore. A fine 2022 la media mensile annualizzata del numero di beneficiari era scesa sotto le 300.000 unità e nel corso del 2023 si è stabilizzata su questo valore. A settembre 2023 (mese cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) i cassintegrati risultavano 214.000, con una media di 42 ore pro capite.
Considerazioni finali
La scarsa efficacia delle agevolazioni occupazionali è un campanello d’allarme da cogliere per tempo, soprattutto in un sistema instabile come quello italiano. Analizzando l’Eu labour force survey (ovvero rilevamento sulla forza lavoro) di Eurostat sul 2022, risulta che ’Italia si colloca al sesto posto in Europa per incidenza di contratti a tempo determinato, ma è il paese che registra la tendenza peggiore tra i 27 nell’ultimo decennio con un aumento del 3,4% dal 2013 al 2022.
Uno scenario che colpisce maggiormente i giovani, aumentando le incertezze sul futuro economico e demografico dell’Italia.
I numeri dell’Istat certificano che la situazione è ancora recuperabile ed evidenziando la scarsa efficacia degli strumenti messi in campo invitano ad una politica decontributiva ancora più decisa.
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